Iran-Israele, quando una partita di calcio segnò la frattura nei rapporti tra i due Paesi
- Postato il 5 luglio 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Oggi, con la guerra e poi la fragile tregua tra i due Paesi, potrebbe sembrare impensabile, ma c’è stato un tempo in cui Iran e Israele mantenevano relazioni diplomatiche per così dire più che cordiali, se non proprio amichevoli. Tanto da incontrarsi spesso anche su un rettangolo verde, come accadde nel 1974, a conferma degli ottimi rapporti bilaterali. A circa un anno dal termine della guerra dello Yom Kippur, infatti, Teheran si era ritrovata ad ospitare i Giochi Asiatici, una kermesse in grado di coinvolgere 18 discipline differenti. Il regime imperiale dello Scià voleva mettere in vetrina un Iran moderno, progressista e aperto, dimostrando che il suo Paese era in grado di gestire la sfida organizzativa e logistica, in prospettiva di un’eventuale futura candidatura ad ospitare le Olimpiadi. Tra le nazionali partecipanti al torneo di calcio, naturalmente, c’era anche Israele. I padroni di casa erano i naturali favoriti, ma Israele (campione d’Asia nel 1964) era riuscito a farsi strada sino alla finale, da giocare proprio contro l’Iran, sfruttando anche i ritiri di Corea del Nord e Kuwait, che si erano rifiutate di giocarci contro. A differenza di oggi, in quell’epoca – tra la fine degli anni ’50 e primi anni ’70 – Team Melli e Biancoblu di Gerusalemme si sfidavano con una certa regolarità. La gallery dei precedenti, infatti, era già piuttosto affollata, ma ad essere particolarmente ricordata era la partita della Coppa d’Asia del 1968. L’Iran, al debutto nel torneo da Paese ospitante, affrontava un Israele campione in carica, per la prima volta di scena a Teheran. Di fronte alla folla impressionante dello stadio Amjadieh, Israele passò in vantaggio, ma alla fine ad imporsi in rimonta fu l’Iran, che poi avrebbe sollevato anche il trofeo, il primo di tre consecutivi.
Il fatto più significativo, però, non era accaduto in campo, ma sugli spalti. Profondamente scosso dalla recente Guerra dei sei giorni e in solidarietà con la causa palestinese, nonostante i buoni rapporti tra i governi, il pubblico iraniano aveva riservato un’accoglienza a dir poco ostile alla nazionale iraniana, urlando anche diversi slogan antisemiti. Non a caso, secondo una ricerca di Or Hareuveny e Yehuda Blanga, docenti dell’Università israeliana Bar Ilan, questa partita ha fatto emergere una frattura tra il sentimento popolare e la linea diplomatica condotta dalle autorità, diventando di fatto una sorta di turning point nella storia dei rapporti tra Iran e Israele.
Sei anni più tardi, davanti alla folla oceanica che invade gli spalti dell’Amjadieh – successivamente finito in secondo piano dopo la costruzione dello stadio Azadi – il clima è altrettanto incandescente. Anche se inizialmente tutto sembra filare liscio. “Gli ebrei iraniani ci hanno offerto la loro ospitalità. Durante il torneo ci hanno fatto dei regali, incoraggiandoci e supportandoci”, ha ricordato Shiye Feigenbaum, uno dei pilastri della selezione israeliana, intervistato dal sito d’informazione Ynet.com. “Tuttavia, prima della finale, ci hanno comunicato che non potevano partecipare”.
Sono le avvisaglie di ciò che sta per succedere. La finale dei Giochi 1974 si gioca in un’atmosfera a dir poco intimidatoria. “C’erano molti soldati a proteggere l’hotel. Mentre viaggiavamo in autobus verso la partita, eravamo affiancati da grosse motociclette della polizia, che ci hanno scortati fino al campo”, continua Feigenbaum. “Hanno cercato di disturbare il nostro sonno, suonando il clacson tutta la notte. Poi ci hanno lanciato di tutto, anche polli macellati”. L’incubo per i biancoblù, però, è appena iniziato. “Quando la gara è cominciata, ho sentito le gambe cedere. È stato orribile, davvero spaventoso”, prosegue ancora Feigenbaum. “È stato come un vulcano in eruzione, non so se un giocatore in Israele abbia mai giocato davanti a 120mila tifosi“. Gli fa eco Moshe Onana, icona del calcio israeliano negli anni ’70 e miglior marcatore all time del Maccabi Jaffa: “I nostri giocatori e la delegazione erano terrorizzati”, racconta. “Avevamo giocatori combattivi, come Vissocker, Lev, il compianto Schwager, Rosen, Shum, Damati e Feigenbaum, ma il clima anti-israeliano ci aveva spaventato molto”. A temere il peggio è anche Mordechai Spiegler, l’autore del primo e unico gol di Israele in un Mondiale: “In tribuna stampa si respirava un’aria di vero panico. Temevamo che, se avessimo segnato per primi, la folla inferocita si sarebbe vendicata di noi”, ricorda. La paura paralizza le gambe dei biancoblu, anche se al quinto minuto è proprio Feigenbaum a colpire la traversa, sfiorando il gol del vantaggio. “Se il mio tiro fosse entrato ci avrebbero linciato”, confessa, ricordando le sensazioni di quel momento. Poco più tardi, però, l’Iran prende il controllo delle operazioni e alla mezzora sblocca la partita grazie ad un’autorete di Itzhak Shum. Il risultato non cambierà più. L’Iran, allenato dall’irlandese ex United Frank O’ Farrell, conquisterà il trofeo, ma anche a Israele tutto sommato va bene così, come lascia intendere inequivocabilmente l’allenatore David Schweitzer: “Abbiamo perso la partita, ma ci siamo salvati la vita”.
Gli eventi di quel torneo, addizionati al moltiplicarsi dei rifiuti sempre più numerosi di nazionali musulmane a sfidare Israele, segneranno un punto di svolta, portando la AFC – il governo del calcio asiatico – a mettere alla porta Israele. Quello stesso anno, infatti, la proposta di estromettere la nazionale israeliana dalle competizioni asiatiche passerà con 17 voti favorevoli (13 contrari e 6 astenuti), condannando i biancoblu ad un lungo esilio tra Europa e Oceania, terminato soltanto nel 1994 con l’adesione ufficiale all’UEFA. Esattamente vent’anni dopo l’espulsione dalla AFC.
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