Intervista a Dino Vannini. Dagli esordi in pubblicità ai vertici di Sky Arte
- Postato il 22 novembre 2024
- Who's Who
- Di Artribune
- 1 Visualizzazioni
Dino Vannini oggi è il responsabile dell’emittente Sky Arte, il canale televisivo di divulgazione culturale che ha contribuito a fondare nel 2012 assieme a Roberto Pisoni e altri colleghi. La storia di Vannini inizia da Biella, città dove è nato nel 1975. Dalla provincia piemontese si sposta a Milano dove studia design allo IED per poi dare inizio ad un’articolata carriera – anche internazionale – nel mondo della pubblicità, della comunicazione, degli eventi e dell’art direction. Alla vigilia dei suoi 50 anni, Vannini ci ha rilasciato una prima lunga intervista ‘di carriera’ rispondendo alle domande delle studentesse e degli studenti del Laboratorio di Editoria per l’Arte dell’Università IULM. Dal dialogo è emerso il profilo di un professionista poliedrico che spazia dal collezionismo, alla grafica, dallo sport, all’arte. L’intervista si è svolta effettivamente in un’aula dell’ateneo ed è stata poi elaborata in ogni suo dettaglio direttamente dagli studenti che hanno seguito l’editing e curato i contenuti testuali e fotografici. Ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista a Dino Vannini
Dino Vannini, partiamo dagli inizi. Non professionali ma proprio personali.
Tutto inizia da Biella, città dove sono nato nel 1975 e dove ho fatto i primi studi.
Come era l’ambiente di Biella a cavallo tra gli Anni Ottanta e Novanta?
Senz’altro parliamo di una cittadina piuttosto provinciale dove mancava una vera proiezione internazionale. Però c’è da dire che era presente in quegli anni una significativa comunità creativa legata da una parte all’Arte Povera, con Pistoletto che era ed è l’artista più celebre della città, e dall’altra alla grande tradizione dei lanifici.
Dino Vannini: i primi anni e gli studi tra Biella e Milano
Risultava per te un ambiente stimolante?
In realtà non troppo, tanto è vero che non appena potevo saltavo sul treno per spostarmi su Milano alla caccia di gallerie d’arte, fondazioni, incontri, librerie indipendenti, negozi di vinili e edicole dove facevo incetta di magazine di comunicazione, cultura, design, pubblicità e moda che iniziavo a collezionare.
La passione per la comunicazione è nata da lì?
Esattamente. Anche se sul finire degli studi hanno provato a spingermi verso settori più classici come economia o ingegneria…
Colpa dei tuoi genitori?
No, anzi. Loro mi hanno sempre supportato nelle mie passioni. Il loro merito è stato poi quello di farmi viaggiare molto e avere amici in giro per l’Italia ha contribuito parecchio ad aprirmi la mente in quegli anni.
Allora chi è che cercava di dissuaderti?
Ad esempio i professori del liceo che non vedevano di buon occhio il fatto che intraprendessi un percorso più creativo. Per fortuna non gli ho dato troppa retta e da lì è iniziata una fase di formazione più specifica nell’ambito della comunicazione.
In che periodo ci troviamo?
Era il 1994: esattamente 30 anni fa.
Insomma, alla fine: Milano!
Sì. E faccio subito l’errore del provinciale: mi stabilisco sui Navigli e praticamente per un anno intero rimango confinato in quella zona perdendomi tutto il resto della città che già in quegli anni iniziava a trasformarsi nei suoi quartieri più esterni come Lambrate o Isola.
E per quanto riguarda gli studi?
Scelgo di frequentare lo IED. Che in quegli anni era importante ma non certo internazionale come probabilmente è oggi. Infatti durante l’estate – anche grazie ad alcune borse di studio che erano facili da ottenere perché nessuno aveva voglia di andare a studiare ad agosto – mi spostavo sempre in Inghilterra per integrare la formazione con corsi estivi in grafica e advertising o per lavorare in piccoli studi di graphic design. E ovviamente facevo anche il barista, come tutti…
Non hai mai fatto una cosa per volta…
Sì, anche durante l’anno mentre studiavo mi piaceva comunque mettere in pratica ciò che imparavo. Ad esempio lavoravo in uno studio di architettura internazionale all’epoca attivo a Milano e in Giappone.
Hai sempre avuto uno sguardo su ciò che si faceva all’estero…
Già negli anni dello IED mi sono reso conto che ad esempio la nostra comunicazione pubblicitaria era particolarmente tradizionale rispetto a quella di altri Paesi, molto legata allo spot televisivo. L’ho capito partecipando al Festival della Creatività di Cannes Giovani Leoni dove si confrontano i pubblicitari under 30. In effetti già negli ultimissimi anni di IED già lavoravo per un grande brand internazionale.
L’inizio della carriera come pubblicitario
Siamo quindi alla fine degli Anni Novanta?
Sì, inizio a lavorare nell’agenzia Publicis nel 1998 a 23 anni. Ci rimango fino al 2000 occupandomi di vari clienti visto che l’organizzazione prevedeva una grande turnazione tra di noi: seguii progetti sulla cosmesi, sul beverage, sull’automotive e poi organizzammo il primo grande MTV Music Award che si tenne a Milano. Ma mi rendo sempre di più conto che questa professione stava invecchiando, le modalità di lavoro erano sempre le stesse e c’era un’eccessiva enfasi sulla parte scritta rispetto alle immagini. Ad un certo punto però si crea una occasione di lavoro molto più internazionale finalmente…
Torni all’estero?
No. Tutto il contrario. Torno a casa a Biella.
Ma in che senso?
Vi ricordate le industrie tessili e i lanifici di cui vi parlavo prima? Ecco uno di questi, la FILA, decide in quegli anni di realizzare un’agenzia creativa interna all’azienda. Non volevano più rivolgersi fuori per produrre eventi o inventare campagne di comunicazione ma intendevano costituire un polo aziendale concentrato vicino all’azienda, che appunto ha sede proprio a Biella.
Uno shock…
Proprio così. Mi è sembrata una legge del contrappasso dantesco: altro che Londra o Amsterdam, ero tornato nella mia cittadina.
Come sono stati gli anni in FILA?
Sono stati comunque anni straordinari che mi hanno permesso di seguire un’azienda impegnata in settori che mi appassionavano come lo sport e il ciclismo in particolare. Ho viaggiato tantissimo, ho potuto frequentare Roma e i suoi Internazionali di Tennis (l’evento più divertente del mondo nella città di tutti i miei grandi amori!), sono andato fino a Sydney dove durante le Olimpiadi del 2000 abbiamo affittato il Bounty a bordo del quale organizzavamo eventi e feste, ho collaborato con Wes Anderson così come con Michael Schumacher che facemmo fotografare dal suo fotografo Michel Comte per una campagna pubblicitaria. Tutto al fianco del grande art director Alessandro De Pestel.
L’inizio del percorso in Sky di Dino Vannini
Ad un certo punto anche questa storia finisce…
Si, trovavo che l’ambiente fosse diventato claustrofobico e ho iniziato a guardarmi intorno. C’erano all’orizzonte le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 e feci qualche colloquio con loro per la parte comunicazione: andare a lavorare a Torino sarebbe stato emotivamente disorientante visto che in città c’erano tutti i miei vecchi compagni di scuola di Biella che nel frattempo svolgevano dei lavori “veri”. Però proprio in quel momento mi arriva una chiamata.
Sky?
Esattamente. SkyArte è nata nel 2012 ma io sono in Sky da molto prima: esattamente dall’arrivo della società in Italia nel 2003. Mi chiamano proprio per lo start-up italiano.
Quindi cosa hai fatto prima della nascita del progetto SkyArte?
Quando da perfetto ignorante del mondo della tv sono entrato in Sky, ancora non c’era niente. Era tutto da fare. C’era solo un logo bruttissimo che per fortuna ho contribuito negli anni a modificare.
E poi?
E poi quello che ho sempre fatto: eventi, comunicazione, iniziative per promuovere questa nuova realtà. Come quando provammo a trasformare il problema delle parabole, brutte e ingombranti, in qualcosa di più artistico e creativo. Erano anni avvincenti perché nascevano nuove piattaforme e nuovi canali, come ad esempio Sky Cinema, e ad ogni lancio era necessario organizzare una campagna, un evento, un tour. Non ero più nella mia comfort zone del mondo della pubblicità, ma in compenso il motivo per cui avevo scelto quest’azienda era confermato: lavoravo in un contesto pienamente internazionale.
Hai sempre cambiato lavoro ogni pochi anni, invece su Sky sono oltre venti…
In realtà poco prima del progetto di SkyArte ero in procinto di lasciare l’azienda per andare a lavorare in Luxottica.
E però appunto è arrivata SkyArte.
La ciliegina sulla torta di questi anni, e anche qui da outsider visto che non ho mai studiato storia dell’arte. Era il 2012 e ancora sono qui. Il progetto nasce con Roberto Pisoni e Guido Casali e io che dovevo seguire particolarmente gli eventi. Poi Guido va via e io mi avvicino anche ai lavori di scrittura e di coordinamento della parte editoriale. Ci rendevamo conto che i nostri contenuti erano piuttosto respingenti rispetto al pubblico medio televisivo, ci siamo applicati a rendere cool anche cose che di cool non avevano nulla, abbiamo puntato ad un palinsesto inclusivo, che fosse legato ai territori e che interpretasse i linguaggi della street art, della musica, dell’arte contemporanea e del patrimonio storico artistico. Naturalmente non sono mancati gli errori…
Dino Vannini e gli anni in Sky Arte
Hai comunque continuato a seguire gli eventi sul territorio?
Certo. Abbiamo organizzato contest di street art a Roma, eventi e festival a Napoli, iniziative con la Fondazione Trussardi di Milano. Erano tutti modi per toccare il pubblico da vicino e dare una direzione non solo televisiva ma culturale in senso più ampio.
Avete prodotto tutto voi per quanto riguarda i programmi messi in onda?
In parte producevamo e produciamo, e in parte invece abbiamo acquisito sul mercato dei prodotti esteri che tra l’altro nessuno comprava per l’Italia e che quindi avevano un costo molto contenuto.
Quali sono i contenuti andati meglio?
Beh nei primi anni nulla funzionava come gli Impressionisti e i Queen!
Dopo qualche anno diventate un grande polo di produzione europeo…
A 3 anni dalla nascita di SkyArte nasce lo Sky Arts Production Hub. Una piattaforma di produzione internazionale che realizzava programmi che sarebbero andati in onda non solo sul mercato italiano, ma anche in Gran Bretagna, Irlanda, Germania e Austria. Alla guida però eravamo proprio noi dall’Italia e in particolare dall’allora sede Sky di Roma.
Ci fai qualche esempio di produzioni internazionali di successo di quegli anni?
Il progetto dell’Hub dura dal 2015 al 2020. Se devo indicare qualche grande successo di quel quinquennio, mi viene in mente il talent show sul mondo della fotografia Master Of Photography, la docuserie Mistery of the Lost Paintings e anche Artists in Love sui grandi amori distruttivi della storia dell’arte.
Il grande hub internazionale è durato fino ai tempi della pandemia. Cosa è successo in quegli anni?
Nei mesi più duri del Covid siamo riusciti a mettere online gratuitamente il canale, cosa significativa per una realtà che vive di abbonamenti. Il gesto ci è valso una lettera di encomio del Ministero della Cultura. Naturalmente visti i tempi abbiamo risposto con delle produzioni ad hoc come Io Ti Vedo Tu Mi Senti che segna l’inizio della collaborazione con Nicolas Ballario. E a livello di produzione ci siamo focalizzati sui documentari, ad esempio quello su Michelangelo o la serie La Mala – Banditi a Milano sulla malavita milanese. E siamo ai giorni d’oggi…
In tutto questo percorso ci sono personalità che puoi indicare come tuoi maestri o mentori?
Credo che sia importantissimo avere persone-faro e modelli da seguire. Per me sicuramente c’è stato Alessandro De Pestel: mi ha insegnato a fare ricerca e guardare sempre un po’ più in là. Si tratta di una persona che sento ancora (anche perché è un fanatico della bicicletta come me). Unico problema nel lavorare con lui? Detestava l’arte contemporanea. E poi c’è Roberto Pisoni, con cui abbiamo fondato SkyArte e al quale sono subentrato alla direzione del canale una volta che lui si è spostato su altri lavori ancor più importanti in azienda. Riuscire a lavorare con qualcuno che reputi un amico è un patrimonio: tanti scontri, ma una chimica molto costruttiva tra noi.
Per chiudere il nostro confronto, quali suggerimenti daresti a dei giovani che vogliono lavorare in questo settore?
Devo dire che per me ad esempio negli ultimi dieci anni il tempo è volato. Dunque il primo consiglio può essere quello di cercare sempre il modo di lavorare divertendosi rispetto a quello che si fa.
Dino Vannini: traguardi di oltre 25 anni di carriera
Beh non è facilissimo raggiungere questo risultato…
Sì, occorre cercare un equilibrio. Bisogna farsi incuriosire da ogni stimolo e in particolar modo da quelli che apparentemente non ci interessano. Dopodiché è necessario selezionare, non farsi prendere dalla smania e rendersi conto che non si può approfondire tutto. La creatività va allenata continuamente.
Sintetizzando in pochi concetti?
Curiosità, ricerca e umiltà.
Quindi umiltà sullo stesso livello della curiosità?
Sì, quella è la grande chiave di volta: mangiare merda fa i muscoli.
a cura di Marta Albertinelli, Andrea Battista, Anna Giulia Benvenuti, Federica Ciucarelli, Elena Maria Folegani, Desirèe Mercia, Martina Eleonora Natoli, Caterina Platania, Giacomo Pratelli, Matilde Sozio, Irene Vitarelli
L’articolo "Intervista a Dino Vannini. Dagli esordi in pubblicità ai vertici di Sky Arte" è apparso per la prima volta su Artribune®.