Intelligenza artificiale e lavoro, il segretario Pasa (Cgil): “Rischi e opportunità per il savonese, servono regole condivise”
- Postato il 18 febbraio 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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Savona. Il caso dei licenziamenti alla sede Maersk di Genova, con quattro dipendenti che saranno sostituiti dall’Intelligenza Artificiale, e con le minacce di sciopero da parte dei sindacati anche nelle attività portuali di Vado Ligure, apre uno scenario diretto e concreto nel nostro territorio per quanto riguarda il rapporto tra l’IA, il sistema produttivo e il futuro occupazionale dei posti di lavoro.
E’ chiaro che al momento è difficile a livello locale stilare dati e prospettive tangibili sugli effetti dell’Intelligenza Artificiale, ma ormai il dibattito è aperto e pone inevitabili riflessioni.
Fino ad ora sono stati sviluppati alcuni studi a livello mondiale: ad esempio, secondo il World Economic Forum – The Future of Jobs Report 2020, entro il 2025 circa 85 milioni di posti di lavoro saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale, ma ne saranno creati 97 milioni, quindi un saldo apparentemente positivo, ma che evidenzia una “rivoluzione” in atto nello stesso mondo del lavoro.
Ma vediamo quali sono le categorie maggiormente a rischio rispetto ai processi di automazione e al ruolo degli algoritmi: gli addetti allo smistamento documenti, gli addetti alle buste paga e gli uscieri in quanto le loro mansioni possono essere svolte da dall’AI con efficienza e precisione. Altre ricerche indicano questi possibili dati: gli impiegati (per l’81% il loro lavoro è automatizzabile), gli analisti gestionali (70%), gli operatori di telemarketing (68%), gli assistenti statistici (61%) e gli stessi cassieri (60%). Tuttavia troviamo anche scrittori tecnici, assistenti di ricerca in scienze sociali, correttori di bozze e copywriter.
Prospettive e pericoli alimentano un primo confronto e analisi che avranno man mano e nei prossimi anni effetti sostanziali, come ha evidenziato il segretario provinciale della Cgil savonese Andrea Pasa: “Oltre alle professionalità che saranno maggiormente soggette all’IA, le indagini di questi ultimi anni ci dicono chiaramente che entro il 2030 le dieci professioni che, più di altre, saranno soggette a mutamenti generativi ed evolutivi, sono gli addetti alle reti e comunicazioni informatiche, sicurezza IT, immagine, analisi e progettazione software, analisi di sistema, orientamento, assistenza sociale, ingegneria delle TLC, ingegneria biomedica e bioingegneria ed elettrotecnica dell’automazione industriale”.
“Il tema fondamentale è come si regola l’utilizzo, come si determinano i limiti, come si evita che il plusvalore generato da questa innovazione aumenti diseguaglianze e concentrazione di ricchezza e potere, a discapito del lavoro e delle diverse professionalità”.
“La storia ci insegna che l’innovazione tecnologica deve essere gestita per non sacrificare i lavoratori. L’introduzione dell’IA nelle aziende non deve essere vista come un semplice dato di fatto, ma come un processo che richiede la partecipazione del sindacato per tutelare i diritti dei lavoratori. Le parole chiave sono: contrattazione collettiva, formazione (intesa a tutto tondo) e monitoraggio e influenza sulle politiche pubbliche. Sono essenziali però due punti: consapevolezza e conoscenza dei temi legati alle nuove tecnologie e l’attività di sindacalizzazione e coinvolgimento attivo delle organizzazioni sindacali. La stessa contrattazione risulta quanto mai fondamentale per assicurare che l’uso dell’IA sia regolato da accordi che garantiscano trasparenza, limiti alla sorveglianza, e tutele contro la riduzione degli stipendi e la perdita dei posti di lavoro” afferma il segretario della Cgil savonese.
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“L’introduzione di sistemi di intelligenza artificiale, nel più generale processo di digitalizzazione, sta avvenendo in tutti i settori industriali, del terziario e dei servizi, con un effetto paragonabile all’introduzione della meccanizzazione nelle industrie a partire dalla metà del Settecento. Studi recenti sull’impatto dell’intelligenza artificiale ci consegnano un quadro in grande trasformazione, sia dal punto di vista produttivo che professionale e occupazionale. Il fenomeno è talmente profondo che produrrà effetti sul 60% dei lavoratori delle economie avanzate e sul 40% a livello globale”.
“A preoccuparci sono le ripercussioni che questa trasformazione tecnologica potrà avere soprattutto su settori costituiti in buona parte da Pmi e da imprese artigiane (dal commercio alla filiera del turismo). È difficile immaginare che le aziende di piccola dimensione siano in grado di rispondere alla concorrenza di multinazionali capaci di investire enormi capitali in questo ambito – il problema per il nostro territorio potrebbe essere ancor più devastante, visto che oltre il 90% del sistema produttivo savonese è costituito proprio da piccole e piccolissime realtà -. Sono perciò convinto che la risposta a questo cambiamento epocale debba essere sistemica, con politiche industriali dirette a ridurre la concorrenza tra imprese, per facilitare lo sviluppo di tecnologie e ridurre i costi. La questione, quindi, è come si agirà per accompagnare e tutelare il lavoro, dove sarà allocato e se si produrrà occupazione povera o di qualità”.
“Penso sia determinante un tavolo istituzionale con il governo e le parti sociali – e magari anche a livello territoriale tra sindacato e associazioni datoriali – per una valutazione generale del fenomeno e si avvii un confronto tra le parti per una valutazione di impatto, per una discussione sulla trasformazione dei modelli organizzatavi, per ragionare di professioni, formazione, salario e durata della prestazione lavorativa. In tal senso va rafforzato il ruolo della contrattazione collettiva e si definiscano delle nuove politiche industriali. Abbiamo la necessità di un intervento dello Stato che indirizzi lo sviluppo, che accompagni le transizioni digitali e green, che sostenga processi di formazione continua, che garantisca ammortizzatori sociali e politiche attive in grado di garantire una giusta transizione del lavoro”.
Tra i maggiori timori sull’IA espresse dal segretario Pasa: “Non mi pare che fino ad oggi ci sia particolare attenzione ai mutamenti delle professioni e ambiti occupazionali, né da parte della politica né da parte delle imprese, eppure sarebbe prioritario un attento approfondimento sulle opportunità formative, per ogni ordine e grado, poiché le conoscenze e competenze richieste dal mercato del lavoro mutano costantemente e anche sul nostro territorio registriamo frequentemente una forte distanza tra le offerte formative e le esigenze delle persone e delle imprese, a tutti i livelli”.
“Una tecnologia per il benessere, non per la precarietà – è l’invito lanciato da Pasa -. Per questo è essenziale aprire una discussione a livello nazionale, ma anche locale, su come e per quali finalità si utilizza la tecnologia, coinvolgendo lavoratori, sindacati, associazioni datoriali e politica, in quanto non si può accettare che l’innovazione venga usata per aumentare precarietà e licenziamenti in un Paese e, soprattutto, in una provincia come quella savonese dove l’apparato industriale continua a ridursi a favore del terziario e dove la stessa precarietà ha raggiunto una situazione drammatica (anche nel corso del 2024 il 92% dei nuovi contratti è precario), un contesto che sottolinea l’importanza di investire in formazione e infrastrutture” conclude il segretario della Cgil.