Ingegnere gestionale in Svizzera. “In Svizzera non offrono stage ai laureati, ma contratti stabili”
- Postato il 19 novembre 2025
- Cervelli In Fuga
- Di Il Fatto Quotidiano
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“L’Italia è il paese più bello del mondo. L’obiettivo di ritornare c’è, ma credo che all’inizio della carriera sia più facile crescere all’estero”. Eugenio Serafino ha lasciato Roma subito dopo il diploma per andare a studiare al Politecnico di Milano, ma finita la triennale il suo sguardo si è spostato più su, fino all’università di Losanna. Prima la magistrale, poi il lavoro a Zurigo, e in fondo al cuore il sogno di tornare in patria una volta cresciuto ancora un po’.
“Durante la triennale in ingegneria gestionale ho fatto uno stage in una piccola azienda. Non è stato un brutto periodo, non era retribuito ma ho imparato molto. Però la sensazione era che una volta finiti gli studi in Italia avrei dovuto lottare per trovare un mio posto”, quasi non potesse esistere un percorso lineare tra la fine degli studi e la ricerca del lavoro. Un’esperienza che, unita alla voglia di provare ad arricchire le sue competenze, lo ha portato a cercare un’università straniera dove proseguire con la magistrale, nonostante la prima scelta fosse sempre stata quella di rimanere in Italia. “Volevo vedere, esplorare qualcosa di nuovo. Le mie tre opzioni erano Inghilterra, Olanda e Svizzera, paesi con ottimi politecnici. Alla fine ho scelto la Svizzera, anche per una questione di vicinanza”. In effetti Losanna-Milano è una distanza addirittura inferiore a quella che c’è tra Milano e Roma, la città natale di Eugenio. Ma quello che ha trovato una volta varcato il confine è stato un mondo universitario con caratteri molto differenti.
“Se sulla mole di studio siamo più o meno sui livelli italiani – spiega Eugenio – la differenza più significativa riguarda la parte pratica. Ti buttano, ti fanno fare esperienze in azienda e progetti tecnici con le aziende stesse”, un sistema che parte dall’alto, da uno Stato che investe nelle università e nelle possibilità di far ricerca al loro interno. “Ci sono risorse economiche per fare ricerca, disponibili sia per i dottorandi che per gli studenti magistrali. A questo però, rispetto all’esperienza italiana, si affianca una minore formazione tecnica”, commenta mettendo a confronto i due Paesi, quasi mancasse il bilanciamento giusto tra competenze acquisite in aula e opportunità di portarle fuori prima della laurea.
Ciò che però distingue l’esperienza italiana da quella svizzera è il modo in cui viene visto il lavoro dei giovani. “Da una parte c’è un grande aiuto per l’imprenditoria, è facile ricevere finanziamenti tra i 10 e i 25mila franchi per avviare una start up”, spiega Eugenio ripercorrendo la sua esperienza, “dall’altra un eventuale fallimento iniziale non è una nota negativa sul curriculum. Aver avuto un progetto imprenditoriale andato male non è indice di fallimento, anzi. Meglio averci provato che esser stati fermi”, una mentalità diversa rispetto alla necessità di far bene tutto al primo colpo, più tipica del pensiero italiano.
Segno di un sistema, quello svizzero, in cui per i giovani diviene più facile fare il salto dal mondo dello studio a quello del lavoro. “Se in Italia il tirocinio è stata un’opportunità, in Svizzera si trattava di un obbligo, tanto che non puoi laurearti senza averlo fatto. E c’è un semestre dedicato esclusivamente a tesi e tirocinio”, senza l’aggiunta di esami o lezioni. La conseguenza è che si arriva al mondo del lavoro con una formazione pratica, a cui si aggiunge un sistema di leggi volto a stabilizzare i ragazzi quanto prima. “In Svizzera è difficile che un contratto a tempo determinato superi l’anno, perché si cerca di tutelare quanto più possibile i neoassunti e i giovani che si affacciano al mondo del lavoro”. E lo stesso sembra valere per gli stage, occasioni create per chi ancora deve ultimare gli studi. “Io adesso farei fatica a trovare uno stage” spiega ancora Eugenio, “e non perché non ci sia offerta ma perché ho una laurea. Finiti gli studi è molto più facile trovare un lavoro a tempo indeterminato”.
Eppure per Eugenio l’esperienza italiana non è stata un errore. “Penso che il nostro sia un sistema che funziona”, rimarca più volte, sottolineando come sia stata la formazione ricevuta durante la triennale a Milano ad avergli permesso di accedere alla magistrale in Svizzera. “Quella che ho frequentato dopo è un’università che prende i cosiddetti top talents, e tra loro ci sono molti italiani, alcuni in grado poi di distinguersi come migliori studenti a fine corso”. Una preparazione universitaria solida a cui però manca un ponte vero e proprio con la vita lavorativa. “Adesso le cose stanno iniziando a cambiare, grazie agli stage e ai career service, ma per iniziare una carriera guardare all’estero sembra più facile”. Come se ci fosse un muro tra la fine degli studi e un lavoro stabile, un muro aggirabile solo lasciando l’Italia per un po’ e poi tornando quando si è approdati con esperienza dall’altro lato.
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