Infrastrutture critiche e integrità dell’Occidente. La nuova geografia del rischio secondo Elisabeth Braw
- Postato il 20 luglio 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Le infrastrutture critiche di informazione e telecomunicazione sottomarine, vere e proprie superstrade connettive mondiali, stanno diventando teatro di consequenziale competizione tra grandi potenze. Attorno submarine cables, alla loro sicurezza e al loro sabotaggio, infatti, attori statali e non statali trovano terreno di scontro, speso operando al di sotto della soglia del conflitto ufficiale.
Sabotaggi e sabotatori
“Quello che sta succedendo è che assistiamo ad una raffica di incidenti molto sospetti, perché differiscono dai normali guasti o danni ai cavi sottomarini, nel Mar Baltico e anche al largo delle coste di Taiwan”, afferma Elisabeth Braw, senior fellow dell’Atlantic Council, che poi avverte: “Il problema è che anche quando si può dimostrare che una specifica imbarcazione ha danneggiato i cavi, non si può dimostrare che il capitano, l’equipaggio e dunque la nave abbia agito intenzionalmente per danneggiare le infrastrutture e, ancora, che abbia agito per conto di uno Stato ostile”. Di fronte alla problematica di accountability rispetto ai danneggiamenti da parte delle navi straniere, sostiene l’esperta di sicurezza transatlantica, “è necessario cercare di pattugliare e proteggere le proprie infrastrutture critiche da chiunque desideri danneggiarli, da ogni attore ostile, come stanno facendo la Joint expeditionary force e la Nato con Nordic Warden e Baltic Sentry”.
Mettere a sistema le minacce
Gli attacchi ai cavi sottomarini e alle infrastrutture critiche, ricorda Braw, non rappresentano solo una minaccia geopolitica e finanziaria, per via degli elevati danni economici di riparazione e di interruzione della connettività su larga scala, ma anche un tassello di una strategia più grande che mira a sovvertire l’ordine occidentale.
“Occorre mettere le minacce in prospettiva, all’interno di un quadro generale”, sottolinea l’analista dell’Atlantic Council, “si tratta dell’aggressione della zona grigia da parte di Russia e Cina, cresciuta con particolare rapidità negli ultimi due o tre anni, insieme ad altre minacce”. Interferenze elettorali, disinformazione, attacchi informatici, uso delle migrazioni come arma, flotte ombra, sabotaggi di automobili in Germania, attacchi incendiari, questi solo alcuni degli attacchi ibridi che Elisabeth Braw individua come parte della stessa strategia di sovversione e disturbo delle società occidentali: “La caratteristica più allarmante”, aggiunge, “è che in molti casi gli autori sono normali cittadini dei nostri Paesi, reclutati da Stati ostili su app per perpetrare atti specifici e successivamente pagati: sono gig worker ibridi, gig worker della zona grigia”.
Riguardo alle azioni di contrasto e precauzione, oltre allo studio degli attacchi e delle minacce nel loro complesso, non come casi isolati ma come parti di un sistema di minaccia complesso ed interconnesso, Elisabeth Braw è certa che non basterà sviluppare difese mono-dominio e mono-settoriali: “Quando abbiamo avuto essenzialmente disinformazione e attacchi informatici, ci siamo concentrati sulla difesa informatica, poi nel rilevamento e contrasto alle campagne di disinformazione. Ma quello che è successo quando siamo stati più bravi in questo è che hanno trovato nuovi modi per danneggiare i nostri Stati”. Ed è quello che sta facendo la Russia oggi. Occorre dunque ripensare ad un ecosistema di difesa nazionale ed europea che si fondi sulla comprensione dei fenomeni nella loro collettività e nella messa a sistema di questi per ideare e produrre risposte comuni ed efficaci, tenendo traccia del panorama di minaccia complessivo.