India-Pakistan, cresce il rischio di escalation militare. L’analisi di Marino (Cesi)
- Postato il 30 aprile 2025
- Esteri
- Di Formiche
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La situazione al confine tra India e Pakistan appare al limite dello scontro aperto. Nelle ultime ore, diverse fonti hanno segnalato scontri e scambi di salve tra le Forze armate di Nuova Delhi e Islamabad. Il Pakistan, citando fonti di intelligence, ha dichiarato che l’India si prepara ad avviare un’operazione militare come forma di ritorsione per l’attacco terroristico del 22 aprile scorso. Airpress ne ha parlato con Tiziano Marino, analista esperto di India e responsabile del Desk Asia-Pacifico del Centro Studi Internazionali (Cesi), per inquadrare la situazione attuale e delinearne le possibili evoluzioni.
Come siamo arrivati alla situazione attuale?
Tutto è iniziato con l’attentato del 22 aprile a Pahalgam, nel Kashmir indiano, che ha comportato la morte di almeno 26 persone, prevalentemente di nazionalità indiana. Parliamo di un attentato che potremmo definire un “7 ottobre” per l’India, perché avviene in una fase storica nella quale il processo di normalizzazione in Kashmir era dato ormai per scontato. Questo attacco ha squarciato il clima di relativa tranquillità che c’era nella regione e la reazione della società indiana è stata molto forte. Di conseguenza, forte è stata anche la pressione nei confronti del governo di Nuova Delhi.
L’India ha indicato il Pakistan come mandante dell’attacco
Esatto, l’India ha individuato direttamente il Pakistan come responsabile per questo attacco, in quanto riconducibile alla sigla Trf (The Resistance Front), che sembrerebbe a sua volta collegata alla più nota Lashkar-e Taiba, la quale mantiene rapporti conclamati con le forze di sicurezza pakistane.
E come si è evoluta la situazione dal 22 aprile a oggi?
Come dicevamo, subito dopo l’attacco il governo indiano si è trovato a dover dare delle risposte rapide, anche su pressione dell’opinione pubblica. Quindi Nuova Delhi ha immediatamente imposto una serie di misure, tra cui la sospensione del trattato sulle acque dell’Indo e l’allontanamento dal territorio indiano dei cittadini pakistani che erano lì presenti con visto speciale garantito. Tuttavia la misura più netta è stata sicuramente il taglio alle relazioni diplomatiche e l’allontanamento degli addetti militari dalle ambasciate.
E il Pakistan come ha reagito?
Il Pakistan ha risposto con misure analoghe, non solo a causa delle accuse dirette dell’India, ma anche per i timori legati a questo trattato sulle acque dell’Indo, la cui sospensione rischia di scatenare una crisi idrica in alcune regioni chiave del Pakistan. Islamabad ha addirittura parlato di “water warfare” a tal riguardo.
Per quanto riguarda le accuse indiane di coinvolgimento nell’attacco?
Il Pakistan ha negato ogni responsabilità, tuttavia l’India ha le sue ragioni per pensare il contrario. Storicamente, il jihadismo nella regione — soprattutto quello che negli anni ha colpito l’India — è stato quasi sempre ricondotto, in maniera diretta o indiretta, alle forze di sicurezza pakistane. In questo caso rimane comunque difficile stabilire un link diretto tra gli attentatori e il governo pakistano. La questione del Kashmir, d’altronde, è sotto la lente di Islamabad sin dalla nascita del Paese e in passato è stato anche ammesso dai vertici politici pakistani che ci siano state diverse forme di supporto finanziario, logistico, di addestramento e di fornitura di armi ai gruppi attivi nella regione. Tuttavia, anche sui termini della rivendicazione del TRF, fino adesso non c’è chiarezza.
Veniamo alla situazione attuale, in queste ore giungono notizie non confermate di scontri e schermaglie sul confine tra India e Pakistan. Cosa sta succedendo sul campo?
Queste sono indubbiamente le ore indubbiamente più calde. L’opzione di una risposta militare indiana era sul tavolo fin dai giorni successivi all’attacco terroristico, ma queste sono le ore nelle quali si registrano delle violazioni ripetute del cessate il fuoco lungo la Line of Actual Control (Loc) al confine tra i due Paesi. Per il momento questi sono scontri limitati (parliamo prevalentemente di armi leggere), però si verificano anche spostamenti di truppe pesanti, soprattutto dopo l’incontro che c’è stato ieri tra vertici politici e militari indiani. Le ultime informazioni riportano che il governo Modi avrebbe dato carta bianca alle Forze armate per portare avanti un’operazione già nelle prossime ore o giorni.
Quali sono i possibili scenari adesso?
Dal punto di vista militare, c’è l’opzione che definirei “Scenario 2019”. Mi riferisco a quanto avvenuto — appunto — nel 2019, ossia degli attacchi mirati sul territorio pakistano per colpire le aree dove i miliziani hanno campi di addestramento, basi operative e linee logistiche. C’è poi anche l’opzione di possibili incursioni di piccole unità proprio nel Kashmir controllato dal Pakistan.
E sul medio termine?
Per capire il medio e lungo termine bisogna guardare al fatto che le Forze armate pakistane molto probabilmente reagiranno. Questo perché, data la condizione di estrema fragilità del Paese e data l’importanza che le Forze armate hanno per il Pakistan, i militari pakistani non possono esporsi al rischio di sfigurare davanti all’opinione pubblica. Quindi, in caso di azioni indiane, la risposta sarà immediata e anche successivamente il Pakistan proverà a rispondere colpo su colpo.
Quanto è alto il rischio di escalation?
Dal momento che parliamo di due potenze nucleari, i rischi di un allargamento del conflitto sono molto elevati. E questo chiama inevitabilmente in causa tutta una serie di attori poi internazionali, perché dal momento in cui ci si è resi conto che l’opzione militare è effettivamente sul tavolo, si sono attivati tutti i canali internazionali, dagli Stati Uniti ai Paesi del Golfo, per evitare un conflitto su larga scala. Molto probabilmente, da parte indiana, la volontà è quella di non allargare particolarmente il conflitto, ma almeno di dare una risposta forte che serva anche sul fronte interno. Tuttavia, dato anche il peso delle Forze armate all’interno di questi due Paesi, c’è il rischio che la situazione possa sfuggire di mano.
Quindi qual è la posizione degli Stati Uniti?
Nelle ore immediatamente successive all’attacco si percepiva un certo supporto all’India, anche in nome degli ottimi rapporti tra i due Paesi in questi ultimi anni. Ora che l’opzione militare è sul tavolo però, gli Stati Uniti stanno cercando di giocare un ruolo da conciliatori, con il segretario di Stato Rubio che ha confermato la volontà di parlare con gli omologhi di Pakistan e India per richiamare entrambi alla calma. Nessuno, né gli Stati Uniti né altri attori regionali vorrebbe vedere un conflitto tra queste due potenze che, ricordo, possiedono armi nucleari.
Parliamo dell’elefante nella stanza, qual è la posizione della Cina?
Senza dubbio la Cina e il Pakistan hanno un rapporto strategico, molto profondo e molto importante. Il Pakistan è un partner chiave della Cina, non solo nel settore della difesa, ma anche dal punto di vista commerciale. La penetrazione economica cinese in Pakistan è molto ampia e quindi sicuramente la Cina sostiene in tutto e per tutto il Pakistan, ma sempre con l’intenzione di evitare un conflitto su larga scala che avrebbe impatti economici enormi anche sull’economia cinese, che ultimamente non se la passa particolarmente bene.
Ha accennato anche agli altri attori regionali
Sì, nella regione mediorientale ci sono diversi attori interessanti e interessati. Penso all’Afghanistan, le cui relazioni col Pakistan, che dopo il ritorno dei Talebani si ritenevano in ascesa, sono oggi ai minimi storici. Poi viene in mente l’Iran, che però in questa fase sta negoziando con gli Stati Uniti sul nucleare e non vuole assolutamente vedere un’escalation regionale. Bisogna poi segnalare la vicinanza della Turchia — molto forte in questa fase — al Pakistan. Ankara e Islamabad sono infatti legate da un forte partenariato, se non proprio un’alleanza strategica.
E le monarchie del Golfo?
Per quanto riguarda le monarchie del Golfo, registriamo la volontà di mediare, o quantomeno di provare a mediare tra le parti. C’è stato un intervento dell’Arabia Saudita in questa direzione, poi ci sono gli Emirati Arabi Uniti, che sono molto legati all’India in questi anni, e che potrebbero provare a giocare un ruolo.