Inchiesta urbanistica Milano, il Riesame: “Non dimostrato il patto corruttivo. Da gip e pm argomentazioni svilenti”

  • Postato il 16 settembre 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Argomentazioni svilenti di pm e gip”. “Non dimostrato il patto corruttivo”. Ma anche la certezza che non può valere la corruzione “automatica”. Nelle due motivazioni con cui il Tribunale del Riesame di Milano, lo scorso agosto, ha annullato gli arresti dell’architetto Alessandro Scandurra e del patron Bluestone, Andrea Bezziccheri, l’inchiesta della procura di Milano sull'”incontrollata espansione edilizia” della città, che aveva portato a sei richieste di arresto, viene pesantemente criticata dalle magistrate Vincenza Papagno, Francesca Ghezzi e dalla presidente del collegio Paola Pendino, giudice estensore.

Non dimostrata la corruzione

Il collegio ritiene che non sia stato “dimostrato il patto corruttivo” contestato a Scandurra, membro della commissione paesaggio. “Non si comprende – si legge nelle motivazioni – sulla scorta di quali evidenze il gip abbia ritenuto che gli incarichi di progettazione siano stati affidati a Scandurra in ragione della sua funzione pubblica e non dell’attività di libero professionista. A diverse conclusioni potrebbe giungersi” se “fosse stato dimostrato il patto corruttivo, ma ciò non è avvenuto”. I pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici contestavano a Scandurra 279.136 euro da Egidio Holding per i progetti Hidden Garden, Salomone 77, Grazioli 59, Park Towers e East Town, 321.074, 72 da Castello Sgr per il progetto Torre Futura, 2.579.127,98 da Kryalos Sgr per il progetto Verziere 11/Cavallotti 14, e 138.873,19 dalla Coima di Manfredi Catella per il progetto PII Porta Romana e P39 Pirellino.

Per il Riesame “difetta (…) l’individuazione degli elementi essenziali del reato” e “non risulta adeguatamente indagata la genesi del patto corruttivo” contestato dai pm, secondo i quali Scandurra, mentre era membro della Commissione per Paesaggio, tra il 2018 e il 2024, aveva ricevuto incarichi progettuali, remunerati, da diversi imprenditori. Ciò avrebbe dovuto, secondo l’accusa, imporgli di astenersi dal partecipare alle sedute dell’organismo comunale per conflitto di interesse, laddove venissero trattati non solo i progetti di cui si occupava direttamente ma anche quelli degli imprenditori con cui lavorava e assegnati ad altri professionisti. La mancata astensione di Scandurra, per i pubblici ministeri incarna l’atto contrario ai doveri d’ufficio, “cristallizzato nelle conversazioni chat” e rappresentato “dal pagamento delle fatture” all’architetto e pubblico ufficiale.

“Ragionamento congetturale”

Tali argomentazioni “non convincono” il Tribunale del Riesame. Infatti, si legge, le “complessive emergenze processuali non hanno dimostrato che tra Scandurra e imprenditori di riferimento (…) si sia formata e fosse persistentemente operativa – nell’arco dei due mandati in seno alla Commissione Paesaggio – una convenzione i cui termini peraltro non manifestati da costoro (…) ma dedotti dal gip con ragionamento congetturale (incarico professionale/remunerazione/corruzione)”, implicavano un’attività “pregiudizievolmente favorevole ai privati dei poteri attribuiti al Pubblico ufficiale beneficiato da incarichi di progettazione”.

Quindi per i giudici non è stata provata alcuna corruzione e tanto meno nei rapporti con l’amministratore delegato di Coima, Manfredi Catella. Riguardo al Pirellino “non persuade” la ricostruzione dei pm secondo cui Scandura avrebbe favorito la Sgr. “Non vi sono, in atti, evidenze di preliminari “avvicinamenti” o “condizionamenti” di membri della Commissione da parte di Scandurra. Le interlocuzioni con l’architetto Stefano Boeri sono state definite dallo stesso gip “amicali”; non è stato rintracciato alcun contatto tra Scandurra e Coima”, all’epoca della trattazione del progetto che si è poi arenato. “Sarebbe sufficiente, per il gip, l’esistenza di un pagamento e lo svolgimento della funzione pubblica in presunto conflitto di interessi per poter ritenere sussistente un accordo corruttivo” e questa “semplificazione argomentativa è svilente”. I giudici parlano di “un quadro fattuale confuso” nelle indagini dei pm e non hanno riconosciuto a carico di Scandurra gravi indizi di colpevolezza. “Non si evince da alcuna delle evidenze investigative che Scandurra fosse consapevole di un dovere di astensione di portata più ampia rispetto a quello previsto dal Regolamento Edilizio”, scrive il Riesame, che ha revocato i domiciliari a Scandurra, difeso dagli avvocati Giacomo Lunghini e Luciano Paris. “Neppure può inferirsi alcuna consapevole violazione dell’obbligo di astensione da parte di Scandurra – si legge ancora – dal contenuto, piuttosto disadorno, delle conversazioni intrattenute con altri componenti della CdP o con gli imprenditori”.In “nessuno dei messaggi rinvenuti e trascritti scambiati tra l’indagato e gli altri soggetti coinvolti si coglie alcun riferimento a tale circostanza, né si palesa alcuna sollecitazione da parte dei privati affinché Scandurra si adoperasse positivamente coltivando adeguatamente il loro interesse”.

“Omesse le risultanze probatorie”

Il gip Mattia Fiorentini “nelle sue valutazioni, rimandando alla richiesta cautelare del pm, omette di considerare le risultanze probatorie nella loro dimensione dinamica riproponendole acriticamente e connotandole di autoevidenza come dimostrano le chiose finali, comuni a tutti gli indagati ed ai rispettivi capi di incolpazione”. Sempre il gip, a detta del Riesame, parla di “remunerazioni ricevute da Scandurra che si assume essere indebite senza, tuttavia, chiarirne le ragioni se non attraverso il ricorso a congetture”. II gip, si legge ancora, “omette di considerare che Scandurra è un professionista di alto livello, destinatario di riconoscimenti internazionali. Ha svolto i suoi incarichi per i quali ha ricevuto il giusto compenso – si legge nell’ordinanza -. Non vi è traccia di sovrafatturazioni o di fatture false”. I compensi “non possono di certo definirsi ‘lucrosì”. E il “quadro fattuale confuso” non “permette di apprezzare se Scandurra avesse concretamente polarizzato attorno a sé una cerchia di imprenditori risoluti a pagarlo per ottenere l’aggiudicazione di pareri favorevoli dalla Commissione per il Paesaggio”.

La posizione di Bezziccheri

Se Scandurra “non era consapevole” di un obbligo di astensione dalla Commissione, “a maggior ragione non poteva esserlo Bezziccheri che di certo non era a conoscenza, e non era tenuto a conoscerla, della disciplina regolamentare sul conflitto di interessi che riguardava i membri della Commissione per il Paesaggio né tantomeno della modulistica di riferimento”. I giudici fanno notare che “la disciplina del conflitto di interessi” nella Commissione “era connotata da indubbi profili di lacunosità e ambiguità a riprova della non immediatezza della portata precettiva della regolamentazione, circostanza del tutto trascurata dal Gip che, anziché affrontare il tema con argomentazioni più ficcanti, ha biasimato gli indagati”.

Per l’accusa, Scandurra “membro della Commissione per il Paesaggio 2018/2024, aveva ricevuto incarichi progettuali, remunerati, da diversi imprenditori e tra questi Bezziccheri”, difeso dal legale Andrea Soliani. E, secondo pm e gip, ciò “avrebbe dovuto imporre, di per sé solo, a Scandurra di astenersi dal partecipare, per evidente conflitto di interessi, alle sedute della Commissione” nella quali “erano previste le trattazioni, tanto che si trattasse di progetti a lui direttamente affidati, quanto che i progetti riguardassero comunque l’imprenditore con il quale intratteneva rapporti di collaborazione anche se i progetti erano affidati ad altri professionisti”. Proprio “nella mancata, doverosa, astensione di Scandurra” andava “ravvisato l’atto contrario ai doveri d’ufficio” e “dunque, la corruzione”. Il patto corruttivo “doveva ritenersi cristallizzato” nelle chat tra Scandurra e gli “imprenditori/corruttori che dimostravano, secondo il Gip, la funzionalità di quei contatti alla realizzazione dell’interesse del privato”. E la “dazione corruttiva era rappresentata dal pagamento delle fatture” per gli incarichi. Per il Riesame, però, “le argomentazioni” del gip “non convincono”. Mancano gli “elementi essenziali” della corruzione.

Non risulta “adeguatamente indagata la genesi del patto corruttivo”. Al più, scrive il Riesame, in questo caso “in difetto della prova” sarebbe “piuttosto ipotizzabile l’applicazione della fattispecie di abuso di ufficio”, reato di recente abrogato. La Commissione, fa notare ancora il Riesame, “era composta da 11 membri” e “non vi sono evidenze di indebite pressioni o sollecitazioni da parte di Scandurra”. E ancora: “Durante i due mandati Scandurra si è sempre astenuto in occasione della trattazione di progetti a lui affidati”. In sostanza, per i giudici l’architetto-componente della Commissione paesaggio ha sempre rispettato le regole comunali sull’astensione, poi modificate, e non gli può essere attribuito nemmeno il falso contestato. Nelle motivazioni il Riesame smonta le ipotesi d’accusa su tutti i capi contestati come accordi corruttivi a Bezziccheri e Scandurra per i progetti Park Towers, Hidden Garden, via Salomone, via Grazioli, East Town. Per ora sono state depositate queste due motivazioni e mancano ancora quelle su Manfredi Catella di Coima (domiciliari annullati anche per lui) e sull’ex assessore Giancarlo Tancredi, sull’ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni e sul manager Federico Pella (revocati gli arresti, con misure interdittive per tutti e tre). Scontato il ricorso in Cassazione della Procura.

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