In Veneto il fattore Zaia provoca il ribaltone a destra: più di 200mila preferenze personali e la Lega doppia Fdi
- Postato il 25 novembre 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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È racchiuso in 203.054 preferenze il plebiscito di Luca Zaia, governatore veneto che non si è rassegnato alla conclusione di tre lustri di potere. Aveva fortissimamente voluto restare in sella per la quarta volta. La legge glielo ha impedito. Avrebbe voluto una lista con il proprio nome, ma gli alleati di centrodestra non l’hanno consentito. Si è così candidato come capolista in tutte le sette circoscrizioni del Veneto e ha raccolto una pioggia di voti. Per l’appunto più di 200mila preferenze su un totale di 607.220 voti raccolti dalla Lega. Un leghista su tre lo ha scelto, pur sapendo che il suo destino (al di là delle dichiarazioni di convenienza) non sarà legato al nuovo consiglio regionale di cui è entrato a far parte. Il numero di preferenze equivale a un elettore su sei del centrodestra, visto che il neo eletto Alberto Stefani ha ottenuto un milione 211mila e 356 voti, pari al 64,39 per cento di chi è andato alle urne. Siccome nella lista si potevano indicare solo due nomi, un candidato uomo e una candidata donna, la presenza di Zaia ha comunque provocato delusioni e bocciature per non pochi degli altri candidati leghisti, rimasti fuori dall’elenco dei 19 eletti dal partito.
IL FATTORE Z. PROVOCA IL RIBALTONE
I numeri disegnano la forza di traino che il fattore Z. ha portato in queste elezioni, consentendo alla Lega di doppiare Fratelli d’Italia, da cui era distanziata alle europee del 2024: 13,15 per cento al partito di Salvini, 37,58 per cento al partito di Meloni. Adesso la Lega è al 36,28 per cento, il doppio del 18,69 per cento di FdI, infatti i seggi dei padani sono 19 quelli del partito di governo solo 9, mentre le aspettative del coordinatore regionale Luca De Carlo erano esattamente opposte. Zaia con 203.054 preferenze ha ottenuto più voti di tutti gli altri leghisti e leghiste messi assieme. Le donne hanno registrato 99.756 preferenze, gli uomini 97.793 voti, comunque al di sotto di quota 200 mila. È solo così che gli uomini (Zaia compreso) hanno contato 298.847 preferenze, circa la metà dei 607 mila voti della Lega, il che significa che metà dell’elettorato si è accontentato di mettere una croce sul simbolo, senza esprimere una preferenza individuale, a dimostrazione che il simbolo della Lega gode di una attrattiva che esula da quella dello stesso ex governatore.
TREVISO LA ROCCAFORTE
Zaia ha costruito il proprio successo personale, a costo di cannibalizzare la Lega, a partire dalla provincia di Treviso dove ha ottenuto 48.253 preferenze e la Lega ha raggiunto il 40,78 per cento. Lì i padani hanno registrato 127.882 voti, pari al 40,78 per cento. Le preferenze attribuite a un candidato-donna sono state 21.088, agli altri uomini 18.438. Lo strapotere di Zaia ha fatto qualche vittima illustre, come l’ex portavoce dell’intergruppo leghista in consiglio regionale Alberto Villanova. Secondo feudo, la provincia di Vicenza, con 44.252 preferenze su 119.680 voti leghisti. Anche in questo caso gli altri candidati non hanno preso tutti assieme i voti di Zaia, con il risultato di un’esclusione eccellente, quella di Roberto Ciambetti, con alle spalle quattro legislature, di cui due da presidente del consiglio regionale. Zaia ha raccolto nelle altre province venete le seguenti preferenze: 35.701 a Padova, 32.961 a Venezia, 29.078 a Verona, 6.883 a Rovigo e 5.926 a Belluno.
“HO VOLUTO QUESTA PROVA”
Il governatore uscente ha spiegato così la sua soddisfazione. “Mi si apre il cuore. Mi sono messo a disposizione perché Alberto Stefani mi aveva chiesto se gli davo una mano. Ho voluto questo banco di prova. Penso a un segno di vicinanza e ringraziamento, dopo quindici anni e mezzo i cittadini mi vogliono ancora bene”. Ha una spiegazione anche per la bassa affluenza, considerando che su 4 milioni 294 mila elettori, sono andati a votare solo un milione 917 mila cittadini, mentre 2 milioni e 377 mila sono rimasti a casa. Naturalmente la lettura è centrata su se stesso e non sulla disaffezione generale per effetto di una gestione della politica veneta non soddisfacente: “Molti si sono arrabbiati per il trattamento che ho avuto, il terzo mandato negato, il no alla Lista Zaia. L’avevo detto: la Lista Zaia non essendo un soggetto politico avrebbe portato più gente a votare e avremmo avuto più consiglieri di maggioranza”.
Glissa, come ha fatto in questi mesi, sul suo futuro. Non sa se farà il presidente del consiglio regionale, impegno che non sembra gradire, visto che richiederebbe una presenza continua nell’assemblea dove da governatore negli ultimi cinque anni si è presentato solo per una manciata di sedute, con un tasso di assenteismo del 94 per cento. Non sa neanche se farà l’assessore, ma la sua presenza sarebbe molto ingombrante per il neo eletto Stefani, che sentirebbe sul collo il fiato del predecessore. Una cosa però aggiunge, a dimostrazione di come le sue ambizioni non siano ancora finite nel cassetto: “Non ho avuto paura di misurarmi con l’elettorato e ora sono perfettamente ricandidabile alla presidenza della Regione. È questa l’assurdità della legge che non hanno voluto cambiare”. Non ha digerito il boccone amaro e sembra dimenticare che se è formalmente rieleggibile occorre attendere che vada a compimento la legislatura che dura cinque anni.
Per il momento resterà in consiglio regionale, con un ruolo di padre nobile. Il prossimo anno si terranno le elezioni del sindaco di Venezia e le supplettive per sostituire in Parlamento il posto che sarà lasciato libero da Alberto Stefani. Con il bagaglio di preferenze che ha ottenuto, Zaia non ha che da chiedere. Il referendum che ha indetto sulla propria persona porterà ancora frutti copiosi alla sua vigna che si trova nel cuore dello Zaiastan.
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