In Vaticano è partita ‘l’operazione Biden’: convincere il Papa a dimettersi “per il bene della Chiesa”. Tra pressioni e fazioni, la diffidenza di Bergoglio

  • Postato il 21 febbraio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Calato, si spera, il sipario sulle fake news sulla morte di Papa Francesco, è iniziato il dibattito sulle sue possibili dimissioni. Mentre prosegue il ricovero di Bergoglio al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale, che sarà inevitabilmente lungo, il Collegio cardinalizio si infiamma sull’ipotesi, da Francesco sempre scongiurata, di un bis di ciò che fece Benedetto XVI. Qualche attento osservatore l’ha già ribattezzata in modo molto efficace “operazione Biden”. Ovvero una pressione interna al Collegio cardinalizio per costringere l’88enne Bergoglio, una volta guarito e rientrato a Casa Santa Marta, a cedere il passo e così ad affrettare l’inizio della Sede Vacante che, diversamente, inizierebbe solo con la sua morte. Francesco aria di pre conclave la fiuta e la denuncia pubblicamente da anni: “Sono ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”. Non è, dunque, un caso se alla premier Giorgia Meloni, che è andata a trovarlo al Gemelli, ha detto: “Lo so che là fuori c’è qualcuno che dice che è giunta la mia ora. Me la tirano sempre!”. E ha aggiunto: “Qualcuno in effetti ha pregato perché il Pontefice andasse in Paradiso, ma il Padrone della Messe ha pensato di lasciarmi ancora qui”.

A rompere il tabù sulle dimissioni di Bergoglio è stato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura, 82 anni, quindi non elettore in un eventuale conclave. Un porporato ambrosiano che, però, ha sempre fatto chiaramente intuire di aver votato Bergoglio e non il condiocesano Angelo Scola nel conclave del 2013. Ravasi ha affermato: “Se è verosimile l’ipotesi che Papa Francesco si possa dimettere? Io penso che possa farlo perché è una persona che, da questo punto di vista, è abbastanza decisa nelle sue scelte. Finora ha ritenuto di continuare la sua attività, anche quando, per esempio, c’è stata la difficoltà del ginocchio, che ha cambiato il normale stile di relazione della figura pubblica con l’intera comunità ecclesiastica mondiale. In quell’occasione, ebbe quella famosa battuta secondo cui si governa con il cervello e non con il ginocchio. Quindi, c’è sempre stata la tendenza a combattere e a reagire, ed è anche una scelta legittima, perché ha potuto affrontare perfino viaggi in condizioni assolutamente difficili e impegnative, come quello nell’Estremo Oriente. Tuttavia, è fuori di dubbio che, se si trovasse in una situazione in cui fosse compromessa la sua possibilità di avere contatti diretti, come lui ama fare, di poter comunicare in modo immediato, incisivo e decisivo, allora credo che potrebbe decidere di dimettersi. Il Papa ha affermato esplicitamente di aver consegnato la lettera nelle mani del segretario di Stato dell’epoca, quindi si tratta di un atto formale”.

Ravasi ha, poi, aggiunto che la situazione clinica del Papa “rimane complessa, ma non critica”. “L’apprensione c’è stata, è vero, soprattutto quando si è manifestata la sindrome della polmonite bilaterale, che, in una persona con un polmone a cui è stato asportato un lobo in passato, rappresenta evidentemente una situazione piuttosto difficile da superare. Tuttavia, sembra che ora l’orientamento generale sia più positivo, considerando una struttura fisica complessivamente forte e abituata a superare interventi impegnativi. Le notizie verranno fornite di momento in momento, in una situazione che, comunque, rimane complessa. Tuttavia, non si tratta di una situazione critica, come sospettato da alcuni mezzi di comunicazione. Io uscivo dal Vaticano l’altra sera e già una giornalista mi chiedeva se avessi visto rientrare il Papa a Santa Marta per un motivo non positivo. Invece no, tutto normale”.

Le parole del porporato ambrosiano hanno subito trovato sponda nel cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, 66 anni: “Tutto è possibile. Non ho letto quanto ha affermato il cardinale Ravasi, ma tutto è possibile. Stiamo vivendo questo momento con una certa preoccupazione, ma senza cercare di anticipare quello che potrà succedere”. E ha aggiunto: “Sono fiducioso nella sua lucidità, è libero: è una cosa che non si faceva troppo, ma ora c’è un esempio con il suo predecessore immediato e dunque se ritiene che sia la migliore cosa per il bene della Chiesa, lo farà. Non sono medico, non sono al Gemelli, ma non mi esprimerei al riguardo, anche perché non ho nulla da dire. Domando nella preghiera che il Signore ce lo conservi”. Il porporato francese, inoltre, ha sottolineato: “Il Papa era stanco. Fa parte di quelle persone che si riposano solo se vengono ricoverate”. Riguardo alle fake news sullo stato di salute di Bergoglio, Aveline ha commentato: “Non mi piace quando si specula sulla salute del Papa” e “finché non si hanno informazioni precise, soprattutto se si tratta di salute, è meglio rimanere discreti”. Gli ha fatto eco il cardinale Juan José Omella Omella, arcivescovo di Barcellona, 78 anni: “Non ho la vocazione del profeta: sappiamo che nella Chiesa la morte e la rinuncia sono previste dal diritto canonico, e ora c’è anche l’esperienza di Benedetto XVI, ma non so niente, non ho parlato con il Papa. Tutto è possibile, è a lui decidere, ma credo che sia importante vivere l’oggi di Dio. La malattia ci porta a dipendere dai medici, ma soprattutto da Dio, che conduce la storia di ciascuno e la storia dell’umanità”.

Di parere diametralmente opposto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, da sempre fedelissimo collaboratore di Bergoglio con cui ha una particolare sintonia sia di magistero che di azione pastorale. Il porporato ha sottolineato che c’è preoccupazione per le condizioni di Papa Francesco. Ma anche un pizzico di ottimismo per il fatto che “siamo nella direzione giusta di un pieno recupero”. E ha aggiunto: “Certo, siamo tutti preoccupati, ma siamo anche convinti che tutte le cose che si dicono sono esattamente quelle che avvengono. Il fatto che il Papa abbia fatto colazione, abbia letto i giornali e abbia ricevuto delle persone vuol dire che siamo nella direzione giusta di un pieno recupero, che speriamo avvenga presto”. Dichiarazioni che scacciano via ogni ipotesi di dimissioni. Ma, indubbiamente, la pressione resta. Pio XII, san Paolo VI e san Giovanni Paolo II hanno a lungo meditato sull’opportunità delle dimissioni. Benedetto XVI è stato il primo Papa dei tempi recenti a metterle in pratica. Pio XII pensò di dimettersi durante la seconda guerra mondiale, quando il pericolo che Adolf Hitler potesse arrestarlo era abbastanza concreto: “Così i nazisti deporteranno il cardinale Eugenio Pacelli, non il Papa”, fu la sua spiegazione, consegnando la lettera di dimissioni che aveva preparato qualora i tedeschi avessero compiuto quello che solo Napoleone Bonaparte osò fare, ovvero arrestare il Pontefice. Diverso è, invece, il caso del Papa bresciano. Monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, il più autorevole biografo di Montini, ha pubblicato le lettere riservate con le dimissioni di san Paolo VI.

Si tratta di due missive, la prima indirizzata al cardinale segretario di Stato e la seconda al decano del Collegio cardinalizio, che Montini scrisse nel 1965, appena due anni dopo la sua elezione: “Dichiariamo: nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo, di rinunciare al nostro sacro e canonico ufficio, sia come vescovo di Roma, sia come capo della medesima Santa Chiesa cattolica, nelle mani del signor cardinale decano del Sacro Collegio cardinalizio, lasciando a lui, congiuntamente almeno ai signori cardinali preposti ai dicasteri della Curia romana, ed al cardinale nostro vicario per la città di Roma (sempre che siano normalmente convocabili; e in caso contrario ai signori cardinali capi degli ordini del Sacro Collegio), la facoltà di accettare e di rendere operanti queste nostre dimissioni, che solo il bene superiore della Santa Chiesa ci suggerisce, ed al quale bene noi scongiuriamo con tutto il cuore quanto meglio possibile di provvedere, auspice la nostra apostolica benedizione”.

Parole, quelle di Montini, che sono state anche oggetto di meditazione da parte di Bergoglio: “Ho letto con stupore queste lettere di Paolo VI, che mi sembrano una umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa; e una ulteriore prova della santità di questo grande Papa. Di fronte alla tremenda missione che gli è stata affidata; di fronte a contestazioni, e ad una società in vertiginoso cambiamento, Paolo VI non si sottrae alle sue responsabilità. Ciò che a lui importa sono i bisogni della Chiesa e del mondo. E un Papa impedito da grave malattia, non potrebbe esercitare con sufficiente efficacia il ministero apostolico. Per questo, in coscienza, e dopo matura riflessione, indica le sue precise volontà, per il bene superiore della Santa Chiesa. Dobbiamo ringraziare Dio, il solo che guida e salva la Chiesa, per aver permesso a Paolo VI di continuare fino all’ultimo giorno di vita, a essere padre, pastore, maestro, fratello e amico”. Il problema delle dimissioni per Wojtyla, invece, è stato oggetto di un’ampia consultazione tra i suoi più stretti collaboratori, seppure in modo assai riservato. L’avanzare progressivo e inesorabile del morbo di Parkinson e con esso l’invalidità del Papa polacco, che nell’ultimo periodo fu perfino privato della voce, ha posto questo tema con maggiore insistenza nel corso della parte finale del suo lungo pontificato. Una testimonianza autorevole delle valutazioni fatte da san Giovanni Paolo II in merito all’opportunità delle dimissioni è quella del cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i testi legislativi e della Commissione disciplinare della Curia romana, 94 anni, appartenente all’Opus Dei. Il porporato si è sempre detto convinto che Wojtyla non avrebbe mai rinunciato, soprattutto a causa delle pressioni esterne.

“Mi confermano in questa opinione – ha scritto Herranz – le seguenti frasi di un appunto personale che ho redatto il 17 dicembre 2004, dopo una conversazione con monsignor Dziwisz (oggi cardinale, ndr): ‘Parliamo dell’opinione che gli avevo espresso, dietro sua richiesta, sull’opportunità che il Santo Padre rinunci al compimento dei 75 o degli 80 anni. Risposi che, per motivi di età, ‘non doveva’ farlo: è molto diversa la ‘missione canonica’ che i vescovi ricevono dal Papa per governare una Chiesa particolare o una diocesi, dalla missione che il Papa riceve nel momento stesso dell’elezione e dell’accettazione’. La costituzione apostolica Universi Dominici gregis, sull’elezione del Romano Pontefice, ricorda che ‘è dottrina di fede che la potestà del Sommo Pontefice deriva direttamente da Cristo, di cui egli è vicario in terra’, anche se sono i cardinali a eleggerlo. Quanto all’eventualità di rinunciare per motivi di salute, scrissi in quell’appunto, e adesso mi sembra opportuno farlo conoscere, come esempio dell’obbedienza e della prudenza eroiche di Giovanni Paolo II: si è limitato (don Stanislao) a commentare che ‘il Papa, che personalmente è molto distaccato dalla carica, vive abbandonato alla volontà di Dio. Si affida alla Divina Provvidenza’. Inoltre, ‘teme di creare un pericoloso precedente per i suoi successori, perché qualcuno potrebbe rimanere esposto a manovre e sottili pressioni da parte di chi desiderasse deporlo’”. Esattamente quella che può essere oggi definita “operazione Biden”. E Francesco resisterà alle pressioni dei cardinali?

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