In Val di Noto un festival di videoarte racconta la fine del nostro mondo e l’inizio di cento nuovi

  • Postato il 2 agosto 2025
  • New Media
  • Di Artribune
  • 1 Visualizzazioni

Ha inaugurato il 31 luglio la terza edizione di 8 albe, festival di videoarte organizzato e ospitato dall’incantevole Dimora delle Balze, nel cuore della Val di Noto. Quest’anno, in linea con l’interesse ecologico del festival, il tema è sospeso tra cosmogonie e apocalissi, tra albe e tramonti. Un argomento a dir poco impellente, e che sta trovando ampia eco in tutti gli angoli della produzione culturale contemporanea sotto diverse luci (un consiglio di lettura obbligatorio, a questo proposito, è Cultura profetica di Federico Campagna, Tlon, 2023). Quattro appuntamenti serali (31 luglio, 7 agosto, 21 agosto e 28 agosto) sono l’occasione per scoprire la pratica di 16 artisti internazionali selezionati dalla curatrice di questa edizione: Lucia Pietroiusti. In questa intervista ci racconta i motivi dietro alla scelta del tema e degli artisti, ma anche la sua visione sull’arte e sul suo ruolo. E lo fa con parole difficili da dimenticare.

Camille Henrot, Grosse Fatigue, 2013 Video (color, sound) 13 min
Camille Henrot, Grosse Fatigue, 2013 Video (color, sound) 13 min

Intervista a Lucia Pietroiusti

Sei la curatrice dell’edizione 2025 del festival 8 albe in Sicilia. Il tema che hai scelto è “Tramonti: cosmogonie e fine dei mondi”. Ci puoi spiegare di più?
Ho scelto questo tema per esplorare i momenti di passaggio, quei crepuscoli storici, culturali e interiori in cui qualcosa finisce e qualcos’altro, forse, può cominciare. Viviamo un’epoca segnata da crisi intrecciate – ecologiche, politiche, esistenziali e spirituali – che sembrano indicare la fine di un modo di abitare il mondo. Renderci conto di questa fine, e farne fronte, è per me fondamentale, Perché la fine non è solo catastrofe: è anche soglia, trasformazione, spazio di collettività, di condivisione, di racconto e di immaginazione.

Che tipo di contributi vedremo nel corso del festival?
Il festival si svolge in Sicilia, terra carica di stratificazioni culturali, di riti, di legami profondi con la natura e con il sacro. Nel programma di 8 albe, artisti da tutto il mondo portano film che intrecciano mitologie, memorie e visioni future. Dal collettivo brasiliano Selvagem, guidato dal pensiero indigeno, a racconti poetici e politici di artisti tra cui Agnieszka PolskaCamille Henrot, Peter Nadin, Revital Cohen & Tuur Van Balen, il Karrabing Film Collective, Tramonti attraversa lutti e rinascite, profezie e memorie mitiche. In questo concetto non si tratta di annunciare la catastrofe, né di sfuggire al reale gettandoci nell’utopia di un nuovo inizio, ma di stare in ascolto del presente con generosità, tenerezza ed attenzione.


Qual è stato il criterio di selezione dei lavori?
Spesso, lavoro con artisti a lungo termine, quindi molti degli artisti selezionati ed io condividiamo un percorso di ricerca da tempo: ad esempio Lina Lapelyte è stata una delle artiste del padiglione lituano alla Biennale di Venezia del 2019, Sun & Sea (Marina). I lavori poi rivelano della mia ricerca personale: avendo lavorato da oltre un decennio ai punti d’incontro tra arte ed ecologia, ho proposto opere che sapessero parlare di fine e rinascita. Vi sono voci profetiche, esoteriche, documentarie ed anche ironiche, e comunque internazionali, che portano miti, storie e culture da tutto il mondo in dialogo tra loro. 

La programmazione si compone di quattro incontri nel corso del mese di agosto. In che modo hai scelto di suddividere i lavori?
La suddivisione in quattro incontri presenta, in alternanza, fine e inizio, lutto e trasformazione, apocalisse e cosmogonia. Ho articolato quindi il programma in due “tramonti” e due “albe”, che si alternano nel corso del mese di agosto come un ciclo di stagioni. In questo modo, il ciclo suggerisce anche che esistono molti altri modi di concepire l’idea del tempo: esiste il tempo lineare, dell’ideologia occidentale, un tempo escatologico che insiste sempre di volgere o al progresso o alla morte. Ma esiste anche il tempo dei giardini, dei campi, della terra, delle nuvole: questi sono tempi ciclici, ricorrenti, che ci ricordano che ciò che consideriamo la fine è solo un momento di passaggio. 

Come si concretizza la differenza tra “albe” e “tramonti” nei lavori degli artisti selezionati?
I “tramonti”, intitolati How We Ended, raccolgono opere che affrontano la disintegrazione di mondi: siano essi culturali, ecologici, o epistemologici. Emergono lutti, collassi, e memorie in dissolvenza, forme di riflessione profonda, alle volte anche ironica. 
Le “albe”, How We Began, invece, propongono miti d’origine alternativi, aperture, possibilità inattese, opere che mettono in risalto il potere di reinvenzione del vivente. Alcuni lavori si radicano nella spiritualità, altri in pratiche artistiche legate alla terra, o alla ritualità.


Al di là del tema, in cosa si differenzia questa edizione di 8 Albe dalle differenti?

Direi piuttosto che ogni edizione impara dalle precedenti; mi è stata di grande ispirazione la storia e la ricerca delle due prime edizioni, curate con grande eleganza e profondità. Il tema ecologico, essendo parte del concetto stesso del festival, viene esplorato da un punto di vista diverso, di edizione in edizione. In questa declinazione tematica osserviamo, secondo me, le possibilità infinite dell’intelligenza planetaria. 


Parlando di cosmogonie: pensi che l’arte sia ancora in grado di proporre nuovi mondi? Parlando di fine dei mondi: quale pensi che sia il ruolo dell’arte di fronte all’apocalisse? Ha ancora senso occuparsi di arte quando il mondo intorno crolla?
Bellissime domande, che richiederebbero risposte lunghissime; tento di rispondere ad entrambe allo stesso tempo, poiché secondo me l’arte rimane in sospeso tra le due questioni. Secondo me l’arte ha sempre proposto nuovi mondi, e allo stesso tempo, è stato luogo di santuario per saperi e per immagini di mondi ormai persi. Ce lo dimostra il sincretismo, che porta ad un confronto tra simboli e segni di una civiltà e di un’altra. In discussione oggi con l’artista Marcus Coates – che mi ha raggiunto per presentare una performance alla serata inaugurale di 8 albe – immaginavamo l’arte come un ponte in bilico fra due mondi. Mi ricorda una frase dal bellissimo romanzo Tamam Shud dell’artista Alex Cecchetti che dice, parlando di poesia (che sempre arte è): “La poesia è come un ponte… Per un ponte ciò che è importante non è tanto andare da qui a là, per un ponte la cosa importante è stare sospeso sopra ciò che era impossibile attraversare”. Ovvero: l’arte la vedo come un compagno di viaggio. Nei momenti più profondi dei nostri incontri con l’arte, ci sentiamo presi per la mano. 

Alberto Villa

Libri consigliati:

(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti) 

L’articolo "In Val di Noto un festival di videoarte racconta la fine del nostro mondo e l’inizio di cento nuovi" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune