In morte di Benito Nonino, il grande friulano che cambiò per sempre la grappa

  • Postato il 8 luglio 2024
  • Di Il Foglio
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In morte di Benito Nonino, il grande friulano che cambiò per sempre la grappa

Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, si dice, ma stavolta si potrebbe capovolgere e affermare che dietro una grande donna, la moglie Giannola, c’era un grande uomo. Si chiamava Benito ma non era un dittatore, semplicemente era nato nel 1934. Si faceva fotografare dietro una grande donna, anzi dietro uno stuolo di grandi e inoltre bellissime donne, inserendo nel novero le figlie Antonella, Cristina ed Elisabetta (mi riferisco allo scatto epocal-famigliare di Oliviero Toscani, anno di grazia 1989). Era l’uomo che cambiò la grappa. Prima di lui più che bere era riscaldarsi. Prima di lui era la droga bruciante dei montanari, degli alpini, dei contadini. Tutti uomini ovviamente. Dopo di lui, dopo la Monovitigno Picolit distillata per la prima volta nel 1973, la grappa si ingentilì, divenne degustabile e accessibile al palato femminile.

Usando la parola “droga” non ho compiuto una forzatura, andatevi a leggere Paolo Monelli, scrittore della Grande Guerra, e capirete il ruolo della grappa per quei soldati, in quelle trincee: “Un gocciolo di graspa nel caffè? Anzi, tutta una tazza”. La qualità era immaginabile, la quantità era impressionante. Sulle Alpi l’overdose rimase in agguato per tutto il Novecento: “L’amico aveva trascorso l’inverno in compagnia del bottiglione. Era arrivato al record di una bottiglia di acquavite al giorno” scrive Mauro Corona in “Aspro e dolce”. Con le grappe Nonino certi eccessi diventano al contempo meno rischiosi e inconcepibili: raffinate e costose, racchiuse in ampolle di vetro soffiato, servite in calici aristocratici…

 

Era uno dei grandi friulani viventi, Benito Nonino, insieme a Corona, a Toni Capuozzo, Giorgio Fidenato, don Alessio Geretti, Massimo Silverio, e più di tutti loro per la lunghezza e l’altezza di un impegno produttivo che non poco ha giovato all’immagine di una piccola regione fuorimano. “Io sono sceso a Roma dal lontanissimo Friuli” scrive Pasolini a Bassani nel 1950. Lo so bene quanto è lontano il Friuli io che ci salgo spesso e che attraversando in autostrada il Tagliamento già vedo il confine sloveno e ho l’impressione di entrare nell’Ultima Thule dell’italianità. 

 

Oggi nel mondo dei distillati sembra esistere soltanto il gin. Perché al contrario della grappa è infinitamente miscelabile e i giovani bevono soltanto cocktail. Mea culpa, lo faccio anch’io, quando in un locale non trovo vini bevibili, e accade spesso, per scampare alla squallida cervogia passo al Negroni o al Gin Tonic. Così adesso provo un po’ di rimorso, mi sento quasi un traditore leggendo che Nonino si è fatto portare in distilleria, fra i suoi alambicchi, fino all’ultimo giorno. Cristallina fedeltà la sua.

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Autore
Il Foglio

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