In Liguria salari troppo bassi, erosi dall’inflazione: donne e giovani i più penalizzati
- Postato il 18 dicembre 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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Liguria. Retribuzioni basse, potere d’acquisto in calo e disuguaglianze strutturali che colpiscono soprattutto donne e giovani. È il quadro che emerge dalla presentazione dell’Osservatorio sulle retribuzioni a cura dell’Ufficio politiche del Mercato del lavoro della Uil Liguria, coordinato dalla segretaria confederale regionale Roberta Cavicchioli, in collaborazione con Data Lab Uil Liguria.
Secondo l’Osservatorio, la retribuzione media annua in Liguria si attesta a 24.196 euro. Un dato che conferma un trend di crescita definito “modesto” e che risulta completamente eroso dall’inflazione. Dal 2019, infatti, il potere d’acquisto si è ridotto di 6,5 punti. L’impoverimento è generalizzato, ma incide maggiormente sui lavoratori a basso reddito, in particolare giovani precari e donne.
L’indagine prende in esame 439mila lavoratrici e lavoratori del settore privato su un totale di circa 600 mila occupati, in una regione che conta 1,5 milioni di abitanti. I dati Inps restituiscono, secondo la Uil, “un’immagine a tinte fosche di una regione che non è a misura di donne e di giovani”.
“Proponiamo di dare vita all’Osservatorio sulle retribuzioni in Liguria per comprendere meglio le dinamiche occupazionali che stanno svuotando la regione – spiegano Riccardo Serri, segretario generale Uil Liguria, e Roberta Cavicchioli –. È imperativo trovare le giuste leve per trattenere i giovani e favorire una maggiore inclusione lavorativa delle donne, evitando un ulteriore impoverimento del tessuto imprenditoriale. In una regione anziana come la Liguria, il tema del turn over e della solidarietà intergenerazionale è ancora più urgente».
Il focus del rapporto mette in evidenza un forte gender pay gap. Il Rendiconto di Genere 2024 dell’Inps rileva che, nei settori analizzati, i dipendenti uomini del settore privato percepiscono redditi medi giornalieri superiori a quelli delle colleghe. Le donne rappresentano solo il 21,1% dei dirigenti, contro il 78,9% degli uomini. Inoltre, il 52% delle lavoratrici è impiegato con contratti part time, a fronte di meno del 20% degli uomini.
Nel settore privato il divario retributivo di genere si attesta attorno al 33,3%: a fronte di un reddito annuo di 28 mila euro per un uomo, una donna ne percepisce in media 18 mila. Le retribuzioni femminili risultano penalizzate dal part time involontario e da scelte di disinvestimento sulla carriera. Nel 2025 i settori con il gender pay gap più elevato sono quello immobiliare (+39,9%), scientifico e tecnico (+35,1%) e finanziario-assicurativo (+32,1%).
Anche nella pubblica amministrazione, pur in assenza di un vero e proprio gender pay gap, persiste il fenomeno del “soffitto di cristallo”, che secondo l’Istat si attesta al 5,2%. Le donne risultano sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali e permangono disparità retributive anche a parità di mansione e caratteristiche individuali.
Nel lavoro autonomo e nelle libere professioni, il Rapporto di Confprofessioni segnala che tra il 2009 e il 2023 il numero delle professioniste è aumentato del 49%, ma con redditi inferiori del 46% rispetto ai colleghi uomini. Il divario si riflette anche sul piano previdenziale: il Rendiconto di Genere 2024 dell’Inps evidenzia come, a causa della discontinuità lavorativa, le donne – ad eccezione della pubblica amministrazione – incontrino maggiori difficoltà nel raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità.
Nei ruoli apicali la presenza femminile resta limitata: le donne sono il 19% tra dirigenti e top manager e il 31% tra i quadri. Nei consigli di amministrazione delle società quotate la rappresentanza femminile raggiunge il 43,2%, ma solo il 16,9% ricopre ruoli esecutivi e appena il 2,3% è amministratrice delegata.
Accanto al divario di genere, l’Osservatorio evidenzia un marcato age pay gap. La differenza retributiva tra under e over 40 ammonta al 36,2%. Stipendi bassi, precarietà e scarse prospettive di crescita spingono molti giovani a lasciare il Paese: in quattro anni le paghe si sono ridotte del 23% e i salari dei giovani risultano in calo del 17%, ampliando la distanza con i cinquantenni. Il divario resta sostanzialmente invariato nel tempo, segno che l’avanzare dell’età non garantisce un reale miglioramento salariale.
Resta inoltre il nodo della sottoccupazione femminile. Il Trattato di Lisbona fissava al 60% il tasso di occupazione delle donne in Italia entro il 2006; a distanza di 19 anni, il dato si ferma al 52%: “In questo contesto meglio non essere giovane e donna – concludono Serri e Cavicchioli –. L’eccessiva flessibilizzazione del mercato del lavoro e l’aumento della discontinuità occupazionale alimentano la povertà lavorativa, con ricadute anche sulle famiglie e sull’intero sistema economico regionale”.