In Francia il piano di austerità del premier Bayrou determina la rabbia sociale: “Il 10 settembre blocchiamo tutto”

  • Postato il 8 agosto 2025
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“Il 10 settembre, blocchiamo tutto!”. Sui social un movimento di protesta senza leader né etichette politiche o sindacali sta nascendo in Francia, ricordando la mobilitazione dei gilet gialli del 2018. All’epoca a scatenare la rabbia delle classi medie e popolari, della provincia e delle campagne, era stata la minaccia di un aumento delle tasse sul carburante. Ora l’appello “Bloquons tout!” è iniziato su TikTok dopo gli annunci di François Bayrou del 15 luglio scorso sulla manovra per il 2026 (che per ora sono solo proposte, poiché il testo sarà discusso in Parlamento in autunno).

Il premier ha promesso un piano di austerità da 43, 8 miliardi di euro per risanare i conti pubblici e riportare il deficit della Francia dal 5,4% del PIL del 2025 al 4,6% per il 2026. E per riuscirci ha proposto tra l’altro di gelare la spesa sociale, di tagliare 5 miliardi di euro alla sanità e abolire due giorni festivi (l’8 maggio e il lunedì di Pasqua). Piano di cui lo stesso Bayrou sta facendo la promozione da alcuni giorni su un canale YouTube creato ad hoc. Questa volta l’invito a ribellarsi che parte dal web non è tanto e non solo di scendere nelle piazze o di bloccare i caselli autostradali, quanto di “paralizzare” il Paese, boicottando i supermercati, ritirando i soldi dalle banche, disertando il posto di lavoro e più in generale facendo azioni di disobbedienza civile.

La data è ovviamente attenzionata dalle autorità francesi di fronte al rischio di una nuova crisi sociale, sette anni dopo i gilet gialli e due anni dopo gli scioperi massicci contro la riforma del sistema pensionistico nel 2023. E ovviamente è ancora presto per dire se la mobilitazione sarà seguita. Se è percepito dal governo come “virale”, per il momento il movimento appare “disorganizzato” e anche i media francesi lo osservano con una certa prudenza. A Radio France, lo storico Stéphane Sirot, specialista dei conflitti sociali, analizza i punti comuni con il movimento dei Gilet gialli, che ha fatto scuola, diventando per molti un “modello” da seguire: anche questa volta siamo di fronte ad una “forma di mobilitazione che cerca di costruirsi attraverso il digitale e i social network” e a un movimento “molto disparato sotto ogni punto di vista”, per “modalità d’azione”, “orientamenti politici”, e che si basa su una “rivendicazione cristallizzante”, ovvero il “piano Bayrou, percepito come molto ingiusto”. Dopo la chiusura di alcune pagine web, l’appello nazionale ora è veicolato dal sito Indignons-nous! e circola in una rete di gruppi locali.

“Non vogliamo subire la loro crisi. Vogliamo cambiare rotta, una volta per tutte, con e per il popolo. Non contro di lui”, si legge sulla home page. Si invitano quindi “tutti i deputati” a “fare il loro dovere”, cioè “votare la mozione di censura contro questo piano ingiusto e pericoloso” che verrà presentata in autunno, al momento del dibattito in Parlamento, come già annunciato dalla sinistra radicale, e a cui potrebbe aderire la sinistra socialista e l’estrema destra. Un voto di sfiducia da parte della maggioranza dei deputati farebbe cadere il governo, già fragile, di François Bayrou. Il movimento è comunque popolare. Nato su siti sovranisti filo lepeniani o legati al partito Reconquête di Éric Zemmour, corre ora anche sui siti della sinistra radicale e anti sistema, e più in generale sui siti anti-Macron. È seguito da alcuni ex Gilet gialli. È scrutato da vicino anche dai partiti politici di opposizione, e in particolare dalla sinistra, che lo accolgono, come scrive Le Monde, “con entusiasmo e diffidenza”.

Sul suo blog, Jean-Luc Mélenchon, leader di La France Insoumise (LFI), ha annunciato che “diversi indomiti” sono pronti ad aderirvi: “Ma questa iniziativa, come quella dei Gilet gialli a suo tempo, si sviluppa al di fuori di qualsiasi contesto politico o sindacale. Se troverà una dinamica, lo farà per conto proprio. E come per i Gilet gialli, dirò che mi riconosco nelle motivazioni di questa azione. Ma non aggiungerò altro per rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia di questo movimento, le cui motivazioni sono pienamente giustificate. L’indipendenza e l’autonomia di un movimento sociale di questa natura non sono uno svantaggio, ma la condizione del suo successo”.

Secondo Le Monde, “la sinistra, il Partito socialista e LFI, questa volta non vuole perdere l’occasione”. Né ripetere l’errore commesso nel 2018 con i Gilet gialli e le loro rivendicazioni di giustizia fiscale e democrazia diretta “tergiversando sul suo sostegno e preoccupandosi dell’infiltrazione di movimenti di estrema destra. Senza sapere chi si nasconde dietro il collettivo – continua Le Monde -, la sinistra preferisce vederlo come l’eco delle proprie rivendicazioni, indipendentemente dal fatto che ci siano dietro reti di estrema destra”. A Mediapart, il socialista Philippe Brun, lui stesso ex Gilet giallo, spiega: ‘Quando oggi si parla dei Gilet gialli, non si pensa all’estrema destra, ma ci si ricorda del referendum di iniziativa popolare e del ripristino della tassa sul patrimonio. Questi movimenti di massa vanno ben oltre il quadro di analisi partitica”.

Per LFI, questo appello inoltre, continua Le Monde, “è un ulteriore tassello nella costruzione di un settembre di fermento sociale contro la legge di bilancio del primo ministro”. La data del 10 settembre si aggiunge infatti agli appelli allo sciopero del sindacato Force ouvrière e di alcuni rami della CGT il primo settembre. Già il 16 luglio, il giorno dopo gli annunci di Bayrou, Sophie Binet, segretaria generale CGT, dava appuntamento a tutti i lavoratori dopo l’estate: “Faremo tutto il possibile per impedire queste regressioni sociali, per impedire che entrino in vigore”.

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