In analisi dallo psicologo online: boom di sedute, piattaforme e dubbi etici
- Postato il 23 maggio 2025
- Di Panorama
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Si va dallo psicologo una volta alla settimana, accomodati perlopiù nella propria camera da letto con la porta chiusa a chiave. Si accende la webcam e si controlla che la connessione funzioni bene, poi ci si collega per la propria seduta. E lì, lontani dal lettino di freudiana memoria, ci si racconta. Se solo cinque anni fa sarebbe sembrato uno scenario impensabile, fare psicoterapia da remoto è ormai la prassi in Italia.
A parlare chiaro sono i dati: nel 2020 esisteva una decina di piattaforme dedicate, oggi se ne contano oltre cento, con un mercato che nel 2025 vale circa 830 milioni di euro e che potrebbe superare i 4,5 miliardi entro il 2035, registrando un incremento del 448 per cento (fonte BusinessCoot). In media i prezzi per una seduta di persona variano da 55 a 75 euro o più, mentre online si attestano intorno ai 50 euro (-25 per cento circa). In questo mondo popolato da lavoratori autonomi (99,4 per cento), le vere regine sono le piattaforme digitali come Unobravo (77,7 milioni di euro il fatturato nel 2023) e Serenis (11,8 milioni nel 2023), cui succedono altri player emergenti come Psicobravo, Psicodigitale e Con Te All’Estero. I principali strumenti usati per la terapia – spesso messi in dubbio rispetto alle garanzie di privacy – sono Skype (50,6 per cento), WhatsApp/Viber (14,4 per cento), FaceTime (8,8 per cento) e il telefono (9,8 per cento).
Ma questa soluzione che sempre più italiani scelgono, funziona? Prova a rispondere Maria del Carmen Rostagno, che ha una nutrita community sui social: «Nella mia esperienza professionale, ho osservato che la terapia online può raggiungere livelli di efficacia comparabili a quella in presenza per molte problematiche psicologiche. Non la considero una semplice alternativa di ripiego, ma una modalità terapeutica con caratteristiche proprie e potenzialità specifiche» riflette. «Ciò che mi ha colpito nel tempo» prosegue «è come l’alleanza terapeutica, elemento fondamentale per l’esito positivo di qualsiasi intervento, riesca a svilupparsi anche attraverso uno schermo. I pazienti riportano spesso livelli di soddisfazione analoghi e i risultati in termini di riduzione dei sintomi sono equiparabili».
Naturalmente – e su questo concorda la maggior parte degli specialisti – l’efficacia dipende da diversi fattori: la natura della problematica trattata, la dimestichezza con la tecnologia di paziente e terapeuta, la qualità della connessione e del setting. «Per alcune condizioni, come disturbi d’ansia moderati o problematiche relazionali, la terapia online può essere altrettanto efficace della modalità tradizionale. In altri casi, come situazioni acute o ad alto rischio, la presenza fisica può offrire vantaggi significativi», conclude Rostagno, da poco in libreria con la guida SOS Amore tossico (Fabbri). Emerge chiaramente come gli approcci terapeutici debbano sempre di più essere aggiornati alla problematica da risolvere, e la mancanza di barriera fisiche agevoli anche la selezione da parte del paziente dello psicologo a lui più congeniale (con il nuovo passaparola che equivale ai commenti sui social).
«La principale limitazione che riscontro è la riduzione dei segnali non verbali. La comunicazione mediata dallo schermo filtra molte sfumature corporee che in presenza coglierei istintivamente. Gli ostacoli tecnologici sono un’altra sfida, non tutti i pazienti dispongono di uno spazio privato adeguato e poi viene a mancare quella dimensione fisica dello studio come “contenitore” simbolico della terapia, che per alcuni approcci ha un valore importante» aggiunge Rostagno.
Per questo molti terapeuti curano i «setting virtuali», l’ambiente della seduta, – mettendo a punto l’illuminazione e assicurandosi una qualità audio-video ottimale per creare un ambiente professionale e accogliente -, ma sviluppano anche dei piccoli rituali di inizio e fine seduta. «Per anni noi professionisti abbiamo lavorato per restituire alla psicoterapia la sua dignità clinica, per farla riconoscere non come un semplice “parlare dei propri problemi” ma come un complesso trattamento sanitario», riflettono le psicologhe Ana Maria Sepe e Anna De Simone, che online hanno fondato la community Psicoadvisor che vanta 750 mila follower. «Quando la terapia viene inserita nelle logiche di mercato dei servizi digitali – veloci, economici, accessibili al bisogno -, il rischio che venga sottostimata c’è e con esso aumenta anche il rischio che sia percepita come un servizio “on demand”, facilmente fruibile, ma anche facilmente abbandonabile, senza l’attenzione e la continuità degne di un trattamento sanitario. Le piattaforme online hanno sicuramente il merito di aver normalizzato la richiesta di aiuto» continuano le due psicologhe «ma sebbene la psicoterapia sia descritta come “terapie della parola”, in gioco non c’è affatto solo la parola. A essere centrali sono la relazione e l’alleanza terapeutica. E che alleanza si stringe quando esistono limiti comunicativi?» si chiedono sempre Sepe e De Simone, adesso in libreria con Il mondo con i tuoi occhi (Rizzoli). «In videochiamata si sacrifica del tutto il linguaggio paraverbale, ma anche la tridimensionalità della mimica facciale e il canale legato alle frequenze vocali. E non si ha modo di mettere alla prova il paziente lontano dalla sua zona di comfort».
Non mancano però le zone d’ombra. Ci sono psicologi – alcuni dei quali legati a una notissima piattaforma che ha costruito il suo successo attraverso promozioni online e in televisione – che vedono il loro compenso dimezzato. Lo raccontano a Panorama chiedendo anonimato. «La mia tariffa oraria di persona è 70 euro per 50 minuti. Con la pandemia non riuscivo a trovare nuovi pazienti e mi sono iscritto a questa piattaforma, che oggi vanta milioni di sedute online e migliaia di professionisti iscritti. Inizialmente tutto funzionava discretamente, ho reclutato numerosi pazienti, poi però mi è arrivato il conto: volevano quasi il 40 per cento della mia prestazione. Una cifra spropositata per quello che facevano».
Simile l’accusa di un altro psicologo, che con la medesima piattaforma si è trovato in un vicolo cieco: «Chiedono percentuali criminali, ma all’esterno si ammantano di un grado di disponibilità e di gentilezza che fa rimanere basiti. Mi sono lasciato abbindolare perché chi ha fondato la piattaforma dovrebbe appartenere alla categoria. In ogni caso ho mollato poco dopo, ma ancora non ho ricevuto parte dei soldi che avrebbero dovuto girarmi per il mio lavoro. Le prestazioni sono infatti saldate dal paziente direttamente alla piattaforma, che poi provvede con tempi biblici a pagare noi professionisti che diventiamo a tutti gli effetti soltanto strumenti per fare business. Il rapporto con il paziente è del tutto disumanizzato, ma i guadagni ovviamente per i gestori sono alle stelle».