Ilva, l’idea di Urso sulla sicurezza sul lavoro: “L’incidente nell’altoforno? Spesso può capitare”

  • Postato il 15 maggio 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso deve avere una strana idea della sicurezza sul lavoro. Almeno a giudicare da come ha inquadrato il grave incendio di mercoledì 7 maggio dentro l’Ilva: “Pochi giorni fa c’è stato un incidente, come spesso può capitare, in uno degli altoforni della siderurgia di Taranto…”, ha teorizzato. Per un membro del governo – lo stesso che pochi giorni fa ha promesso investimenti, al momento sulla carta, per aumentare la sicurezza sul lavoro di fronte a una piaga da oltre mille morti l’anno – è normale che ci siano incidenti di grandi proporzioni su impianti delicatissimi come quelli in un’acciaieria.

Cinque feriti e sei ore per spegnere le fiamme
Tanto per rendere l’idea, l’incendio avvenuto dentro l’Ilva lo scorso 7 maggio, secondo fonti inquirenti e sindacali, non si è trasformato in una strage sul lavoro quasi per miracolo. I vigili del fuoco hanno lavorato sei ore per spegnere le fiamme e – è bene ricordarlo – l’incidente ha provocato lievi ustioni, escoriazioni e contusioni a cinque operai che hanno dovuto fare ricorso alle cure del presidio infermieristico del siderurgico.

Gli attacchi alla procura
Da giorni Urso si scaglia contro la procura di Taranto per il sequestro senza facoltà d’uso dell’altoforno 1, dove si è verificato l’incidente, attaccando il pubblico ministero Francesco Ciardo per i presunti ritardi – smentiti dalla procura – nell’autorizzazione alla messa in sicurezza della struttura finendo, sostiene, per comprometterlo irrimediabilmente. In trance agonistica, mentre attacca di nuovo contro i magistrati accusandoli di aver detto il falso, il ministro dice con naturalezza che incidenti sul lavoro come quello di otto giorni fa possono capitare e per giunta “spesso”.

La morte di Morricella
Dimentica – o forse non conosce – uno dei più drammatici incidenti sul lavoro accaduto proprio dentro un altoforno dell’Ilva. Era l’8 giugno 2015 quando Alessandro Morricella, si avvicinò al foro di colata dell’Afo 2 per effettuare i prelievi finalizzati al controllo della temperatura ma, invece di trovarsi di fronte la lenta fuoriuscita del materiale che scorre in un canale apposito, venne improvvisamente colpito da una fiammata di materiale liquido. Dopo un’agonia durata quattro giorni, il giovane lavoratore si spense a causa delle ustioni di secondo e terzo grado sul 90% del corpo.

Quel rischio poteva essere “eliminato radicalmente”
Nel febbraio 2024, la giudice Federica Furio ha condannato in primo grado l’allora direttore del siderurgico Ruggero Cola (6 anni di carcere) e i dirigenti Vito Vitale e Salvatore Rizzo (5 anni) per la morte di Morricella. Nelle motivazioni scrisse che un investimento minimo e rapido per montare una “tecnologia già ampiamente conosciuta” nel settore degli altoforni avrebbe “eliminato radicalmente il rischio” per il 35enne e tutti i colleghi addetti alla misurazione della temperatura della ghisa. Invece gli allora manager di Ilva non ci pensarono mai e, sottolineò, nell’acciaieria di Taranto c’era “una complessiva carenza di valutazione dei rischi e organizzazione dell’attività produttiva a discapito della sicurezza dei lavoratori”.

Il passato che ritorna
Cola, vale la pena ricordarlo, un anno fa venne richiamato dalla triade di commissari governativi per supportare il tentativo di tenere in vita l’acciaieria. E tra i commissari Urso ha anche scelto un manager a sua volta giudicato colpevole per altri due incidenti mortali dentro l’Ilva: Giancarlo Quaranta è stato condannato con due sentenze definitive per incidenti sul lavoro che provocarono la morte di tre operai.

Le condanne del commissario Quaranta
Nel 2013, è stato condannato in via definitiva insieme ad altri quattro imputati per la morte degli operai Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre: i due giovani lavoratori vennero uccisi il 12 giugno 2003 – sotto la gestione Riva – dal crollo del braccio di una gru nell’area Parchi Minerari di cui Quaranta era all’epoca responsabile. La seconda condanna definitiva di Quaranta è per la morte di Marco Perrone, un 26enne assunto alcuni mesi prima con un contratto di formazione lavoro: nel luglio 2002, l’operaio cadde durante le operazioni di pulizia di una tramoggia finendo incastrato tra gli ingranaggi di un nastro trasportatore. Il commissario venne assolto in primo grado ma la sentenza venne ribaltata in appello e confermata dalla Cassazione. Dentro l’Ilva, in diverse circostanze, sono morti negli ultimi vent’anni anche Giacomo Campo, Francesco Zaccaria, Cosimo Massaro, Ciro Moccia, Cosimo Martucci, Angelo Iodice, Claudio Marsella e Angelo Fuggiano.

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