Il trilemma europeo e la mossa del cavallo. L’opinione di Bassan (Roma Tre)

  • Postato il 26 aprile 2025
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L’Unione europea è brava nelle crisi: non ne ha mai sprecata una. Tra quelle recenti: la crisi bancaria del 2008 ha portato all’unione bancaria europea, e la pandemia al debito pubblico condiviso; entrambe sono misure con contenuti tipici di uno stato federale, ma utilizzate in ottica funzionale (utili per reagire alla crisi).

Federale è il contenuto, funzionale l’obiettivo, ibrido lo strumento: la cooperazione rafforzata, ala estrema del metodo comunitario, o strumenti intergovernativi, quando questo non è sufficiente.

Ora cambia però lo schema di gioco: non più, un disastro alla volta. Infatti, Trump ha consapevolmente originato almeno due fronti: quello commerciale, con i dazi minacciati e in parte applicati, e quello militare, con la minaccia di ripudiare l’articolo 5 (la difesa comune), architrave su cui si fonda la NATO e, oggi, l’ombrello deterrente anti-Putin.

Strumenti e tattiche di Trump non sono quelli tipici della diplomazia, che vede sostituiti agli scacchi il poker, con insistite aperture al buio.

L’incertezza di misure annunciate, approvate, sospese, ripristinate solo per alcuni, costringe la politica internazionale a un’applicazione convulsa della teoria dei giochi.

L’impressione che gli strumenti adottati da Trump siano funzionali alla creazione di un nuovo ordine mondiale è quasi unanimemente condivisa; se però l’obiettivo sembra chiaro (regionalizzare la globalizzazione, accelerando a proprio vantaggio un fenomeno già in atto e che la pandemia ha reso necessario, se non inevitabile) e la tattica è evidente (minacce e imposizioni asimmetriche applicate indifferentemente ad amici e nemici) la strategia resta ancora sconosciuta ai più.

In reazione alla crisi quindi, l’Unione ha giustamente adottato la mossa del cavallo tipica della diplomazia d’antan, allargando la disputa a un terzo fronte.

Il trilemma pone complessità che la rappresentazione trumpiana ha difficoltà a trasmettere al suo elettorato e crea quindi un corto-circuito, andando a colpire dove fa più male.

Il terzo fronte aperto dall’Unione è quello del risparmio. Il deficit statunitense delle importazioni – dovuto non a complotti internazionali ma alla conversione dell’industria statunitense, passata nei pochi decenni della globalizzazione da un’economia di prodotto a una di servizi, in cui il manufatturiero è stato sostituito dal digitale e dal finanziario – è compensato dalla gestione da parte dei fondi USA di una parte rilevante del risparmio europeo.

Di qui, la proposta della Commissione europea di un’Unione europea dei risparmi e degli investimenti, vera risposta ai dazi commerciali, e che sembra avere una corsia preferenziale; quando i progetti europei vanno così veloci, raggiungono sempre l’obiettivo.

L’Unione del risparmio sarà più veloce di quella dei capitali e in parte la sostituirà, in parte ne costituirà il presupposto.

La “sovranità europea” (non è un ossimoro) sul risparmio è più rilevante di quanto si pensi.

È un obiettivo prevalentemente francese, per ragioni di mercato, ma interessa in parte anche l’Italia.

E si salda all’Unione della difesa (ReArmEU, o meglio ora SafeEU), secondo corno del trilemma, che interessa tutta l’Unione. Di nuovo, parte del sistema di difesa può essere comune, parte sarà nazionale, e qui la Germania ha più margini, che però vanno contenuti, per motivi ovvii.

La spinta francese (sul risparmio) e quella tedesca (sulla difesa, in senso ampio) possono saldarsi: in questo caso avremo in tempi brevi due nuove punte federaliste dell’Unione, utilizzate in chiave funzionale ai due mercati. Entrambe utilizzeranno in parte debito comune dell’Unione (sdoganato ormai dal ReactUE, e poi dal NextGenEu) e in parte fondi pubblico-privati, che non sono una novità per l’Unione, ma consentono ora di far convergere per la prima volta in modo strutturale il risparmio europeo sulle attività produttive europee.

Anche in questo caso, gli strumenti potranno essere comunitari (fino al limite a cui si può spingere la cooperazione rafforzata) o altrimenti intergovernativi, in questo caso cogliendo anche l’opportunità di riportare a bordo (solo per quest’obiettivo) il Regno Unito, come ha suggerito Paolo Gentiloni in un recente evento alla Fondazione Ugo La Malfa.

Il primo fronte, quello commerciale, su cui oggi si concentra l’attenzione, è meno strutturale. I dazi non sono strumento rilevante nel medio-lungo termine, e il mercato trova comunque il modo di imporne la riduzione, o di conviverci, cambiando le filiere e le rotte. Qui non serve la strategia, è sufficiente una reazione tattica limitata, purché unitaria.

La velocità dei fenomeni appiattisce gli strumenti sull’urgenza, e giustifica executive orders e misure cautelari. Il tempo diventa così ancora più relativo, e quattro anni di presidenza Trump rischiano di produrre conseguenze non riparabili e comunque non transitorie.

Certo, acquisire una strategia di equidistanza dai due poli (USA – Cina) per l’Unione sarà esperimento nuovo e complesso.

Autore
Formiche

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