Il trapianto di utero apre nuove strade alla maternità: un miracolo tutto italiano
- Postato il 21 settembre 2025
- Di Panorama
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Un bambino che nasce da un utero trapiantato non è solo il frutto di una gravidanza attesa: è il simbolo di un confine che la medicina sta lentamente spostando in avanti, là dove chirurgia dei grandi organi e medicina riproduttiva si incontrano. In Sicilia, a Catania, questo confine è stato varcato per la seconda volta: a settembre 2025 è venuto alla luce Mattia, figlio di una madre senza utero dalla nascita. E’ un lieto evento che non ha il sapore del miracolo, ma quello della scienza e della determinazione e di un’équipe di medici che ha deciso di sfidare i limiti della biologia per restituire un’opportunità negata dalla natura. In Italia il programma di trapianto di utero è attivo solo nella città etnea, presso il Policlinico “G. Rodolico” che fa parte della rete trapianti assieme all’Ismett di Palermo. Qui è stato appunto eseguito il secondo trapianto di utero nel Paese, con esito positivo e la nascita, a settembre 2025, di un neonato sano.
Al Policlinico etneo la storia è iniziata cinque anni fa, quando il Centro nazionale trapianti e il Consiglio superiore di sanità hanno autorizzato un protocollo sperimentale che consente esclusivamente il trapianto di utero da donatrici decedute. L’indicazione principale riguarda donne affette da sindrome di Mayer-Rokitansky-Küster-Hauser, una malformazione congenita che comporta l’assenza dell’utero pur in presenza di ovaie funzionanti. Si tratta di una forma di infertilità assoluta, che non può essere trattata con le tecniche di procreazione medicalmente assistita tradizionali. Il primo trapianto italiano è stato eseguito nell’agosto del 2020 e ha portato, due anni dopo, alla nascita della piccola Alessandra. Il secondo, realizzato nel 2022, si è concluso a settembre 2025 con la nascita di Mattia. Entrambi i casi confermano che, in condizioni selezionate, la procedura è in grado di restituire la possibilità di gravidanza a donne che altrimenti non potrebbero concepire. Il professor Pierfrancesco Veroux, direttore del Centro Trapianti di Catania, spiega così le caratteristiche di questa chirurgia: «Il nostro è l’unico centro in Italia e uno dei pochissimi al mondo autorizzato ai trapianti di utero. Si tratta di un intervento tecnicamente complesso: l’utero è un organo molto vascolarizzato, e l’operazione richiede oltre venti ore di lavoro e un’équipe multidisciplinare di circa 25 professionisti. A differenza di altri trapianti, inoltre, non ha finalità salvavita ma riproduttiva: si tratta di operare una donna sana che si sottopone a rischi importanti per la possibilità di avere un figlio».
Dal punto di vista clinico, la difficoltà non si esaurisce nell’atto chirurgico. Dopo l’impianto, la paziente deve seguire una terapia immunosoppressiva, con i rischi ben noti di infezioni e complicanze. Solo dopo la stabilizzazione dell’organo trapiantato è possibile procedere al trasferimento embrionale tramite fecondazione in vitro, e monitorare la gravidanza fino al parto, che avviene necessariamente con taglio cesareo. Una volta completato il percorso, l’utero può essere rimosso per interrompere la terapia immunosoppressiva e ridurre i rischi a lungo termine. L’esperienza catanese non è isolata, ma si inserisce in un contesto internazionale ancora limitato. I primi trapianti di utero sono stati eseguiti in Svezia, con nascite documentate dal 2014, seguiti da programmi negli Stati Uniti, in Brasile e in altri pochi Paesi. Le casistiche rimangono esigue, dell’ordine di poche decine di interventi, e gli esiti variano in base alla selezione delle pazienti, alla qualità dei centri e alla tipologia di donazione. In Italia, la scelta regolatoria di utilizzare esclusivamente donatrici decedute riduce i rischi per la donatrice ma aumenta le difficoltà tecniche rispetto ai trapianti da vivente, dove i vasi sanguigni possono essere preparati in condizioni più controllate. L’aspetto etico rimane però centrale. Come sottolinea lo stesso Veroux, il trapianto di utero non rientra nella logica classica dei trapianti salvavita: non serve a evitare un decesso, ma a permettere la possibilità di una gravidanza. Ciò pone interrogativi sulla proporzionalità dei rischi per la ricevente e sulla priorità nell’allocazione delle risorse sanitarie. Allo stesso tempo, però, offre a molte donne l’unica strada per una maternità biologica, senza ricorrere alla maternità surrogata, vietata in Italia. La prospettiva è ora quella di consolidare i dati clinici. Il centro di Catania ha altre sette pazienti in lista d’attesa, con richieste provenienti da tutto il Paese. Ogni nuovo caso permette di raccogliere informazioni preziose sulla durata funzionale dell’organo, sulla risposta ai farmaci e sulla gestione delle gravidanze successive. Gli studi internazionali, inoltre, indicano che la percentuale di gravidanze portate a termine dopo trapianto di utero si aggira intorno al 30-40% dei casi, un dato incoraggiante ma che richiede cautela.