Il tramonto del cibo spazzatura: l’Italia riscopre la dieta mediterranea e dice addio ai cibi ultraprocessati

  • Postato il 1 novembre 2025
  • Di Panorama
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L’eternità per un piatto di lenticchie. Non c’entrano né il mito di Faust né la dabbenaggine di Esaù. Il diavolo in questo caso sono i cibi ultraprocessati, quelli che la vulgata chiama cibo spazzatura: dalle bibite zuccherate agli energy drink per arrivare alle salse grasse e gli “spuntini” confezionati. Ma nell’elenco ci sono anche i cibi iperproteici e quelli finti light. Non ci credete? La parola al professor Antonio Gasbarrini che è direttore scientifico delle Fondazione

Policlinico Gemelli e preside della facoltà di Medicina della Cattolica del Sacro Cuore: «Siamo stati progettati per campare in condizioni ottimali circa 110-120 anni. Questo significa che, a 90 anni, una persona dovrebbe essere ancora in buona salute. Il fatto è che per arrivare a questo traguardo ci dobbiamo impegnare fin da bambini. Le cliniche della longevità che esistono negli Emirati, per esempio, sono strutture pensate per bambini dai 5 ai 15 anni, dove i genitori, spesso molto ricchi, portano i figli con l’obiettivo di farli vivere sani fino a 110-120 anni. Solo che noi facciamo l’esatto contrario».

E cosa c’entrano le lenticchie? Per stare in buona salute sfidando il secolo è questione di cosa e come abbiamo mangiato fin dalla più tenera età. Bisogna prendersi cura del microbiota, quel cervello addominale che domina le nostre funzioni; se funziona bene ci tiene al riparo dalle maggiori patologie, ma l’alimentazione con cibi ultraprocessati genera una meta-infiammazione che gli fa perdere la bussola e allora sono guai.

Esempi? Le merendine, gli hamburger vegetali (anche se adesso, ed era ora, l’Ue ha deciso che non si possono più chiamare così), ma pure i dolcificanti che ingannano l’organismo. La società moderna ha cominciato a nutrirsi male. Spiega ancora il professor Gasbarrini: «Va sfatato un luogo comune e cioè che l’obesità sia una malattia non trasmissibile. Non è vero: una madre obesa trasmette al suo bambino un microbiota che lo predispone all’obesità».

Ecco perché bisogna combattere l’obesità infantile, che sta esplodendo anche nei Paesi in via di sviluppo e in quelli che si ritiene stiano “morendo di fame”. Perché il tema principale è non quanto si mangia, ma cosa e come. Se ne è molto discusso al recentissimo Forum della Coldiretti che insiste per promuovere a livello europeo un’iniziativa che metta al bando i cibi ultraprocessati. Peccato che l’Ue sia sempre andata in direzione ostinatamente contraria.

L’azione dell’Italia ha smontato questa tendenza, ma «siamo ancora lontani da ottenere un risultato pieno» dice il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. «L’etichettatura d’origine, la reciprocità delle garanzie di qualità sui prodotti importati rispetto agli standard europei, l’abbandono dei cosiddetti “alimenti Frankenstein” quelli prodotti in laboratorio da replicazione cellulare». Un passo avanti però l’Italia lo ha fatto e assai consistente – come sottolinea il ministro per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida – «siamo il primo Paese che per legge riconosce l’obesità come malattia cronica, recidivante grazie anche all’apporto del ministro della Salute Orazio Schillaci; il tema però è rilanciare la dieta mediterranea, stoppare il cibo spazzatura: quando ci siamo battuti contro la carne sintetica lo abbiamo fatto per riaffermare il valore della dieta mediterranea e del made in Italy agroalimentare».

La professoressa Esmeralda Capristo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è tranchant: «Dovrebbe essere una battaglia europea, dovremmo togliere di mezzo bibite gassate ed energetiche, le merendine dalle scuole, dovremmo educare a una sana alimentazione: i dati sono sconfortanti sia per l’incidenza sulla salute sia per l’impatto economico».

Leggiamoli. I cibi ultraprocessati se assunti in elevate quantità possono aumentare il rischio di tumore del colon anche del 30 per cento, ma l’obesità contribuisce al 9 per cento della spesa sanitaria, riduce il Pil del 2,8 per cento e ogni italiano paga 289 euro di tasse extra all’anno per coprire questi costi. Sempre secondo gli studi della professoressa Capristo gli italiani vivono in media 2,7 anni in meno a causa del sovrappeso; l’obesità è cresciuta di circa un terzo negli ultimi venti anni e interessa l’11,8 per cento della popolazione (oltre 6 milioni di persone) con un’incidenza preoccupante tra i ragazzi sotto i 18 anni: il 22 per cento tra i maschi e il 14 per cento tra le femmine sono in sovrappeso.

La ragione è che si mangia male. Eppure qualcosa si muove. Per esempio, la Nestlé, che aveva cambiato la sua missione da azienda alimentare ad azienda attiva nella salute cercando di monopolizzare il mercato degli integratori e i cibi per diabetici, è in difficoltà. Detiene oltre 2 mila marchi alimentari e nonostante i suoi dichiarati intenti quattro anni fa è stata scossa da uno “scandalo”. Un documento interno ha rivelato che il 60 per cento dei cibi che la multinazionale svizzera (70 miliardi di franchi di fatturato) dichiarava salutari forse non lo erano.

Così il nuovo ceo Philipp Navratil ha annunciato 16 mila esuberi affermando che «i tempi sono cambiati». Che significa? Che molti prodotti industriali – i marchi che rendono di più a Nestlé, oltre ai cibi per cani e gatti di Purina, sono barrette energetiche, prodotti proteici e merendine tipo le cioccolate KitKat – cominciano a passare di moda così come i non hamburger vegani di Beyond Meat.

Nell’ultimo rapporto Censis-Coldiretti si scopre che c’è un’aspirazione degli italiani a mangiare meglio. La foto di gruppo di noi davanti al cibo dice questo: il 63,7 per cento pensa che il cibo sintetico, prodotto in laboratorio, sia una minaccia per la salute; all’86,8 per cento piace acquistare cibo del proprio territorio e vuol sapere quello che mangia com’è fatto e da dove viene tant’è che l’83,2 per cento è convinto che Igp, Dop, Doc garantiscono la qualità italiana.

Il sondaggio rileva che c’è la richiesta di una nuova consapevolezza alimentare: il 90,7 per cento vuole che già dalle elementari sia introdotta l’educazione alimentare. Andando nel dettaglio, contro il cibo spazzatura si pronuncia l’88,8 per cento e c’è una quota sorprendente di under 30 che dice no ai cibi ultraprocessati: il 74,2 per cento. Nove italiani su 10 vogliono più frutta e verdura e nella stessa percentuale si pretende la democrazia alimentare: cibo sano per tutti.

È interessante notare che si chiede maggiore attenzione alla ristorazione collettiva: oltre il 90 per cento degli interpellati vuole che nelle mense, da quelle scolastiche a quelle ospedaliere, vengano serviti cibi freschi e locali. La quasi totalità dei genitori poi non vuole più a scuola i distributori automatici di cibo, mentre quando si chiede un giudizio sulle mense scolastiche il 28 per cento dice che sono buone e il 38,4 le trova soltanto sufficienti. «Abbiamo chiamato questo studio “mangiare bene malgrado tutto”» sottolinea Ettore Prandini «e devo dire che le risposte ricevute indicano che negli italiani si è fatta finalmente strada l’idea che la salute si difende a tavola con un rapporto stretto tra cibo e agricoltura di qualità».

Il professor Gasbarrini, però, osserva con Panorama: «Dobbiamo tornare alla dieta mediterranea che è stata purtroppo abbandonata da gran parte degli italiani». Secondo uno studio dell’Istituto superiore di sanità, risulta che solo il 5 per cento segue questa dieta in modo regolare. La maggior parte (83,8 per cento) l’adotta in modo moderato, mentre l’11,3 per cento ha una bassa aderenza.

Eppure è l’unico modo per allungarci la vita. «Entro il 2050, si prevede che il 35 per cento dei bambini nel mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sarà obeso, non in sovrappeso, ma obeso» sottolinea ancora Gasbarrini. «Già negli Stati Uniti è in atto un disastro epocale. Questo scenario avrà impatti economici devastanti: nel 2050, i costi globali legati all’aumento di peso supereranno i 18 trilioni di dollari.  Il problema è enorme, e credo che solo in una nazione come l’Italia, dove la cultura del cibo è così radicata, si possano affrontare questioni del genere con una discussione seria».

Forse stavolta ha ragione Esaù: un piatto di lenticchie è meglio.

Autore
Panorama

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