Il ritorno in quota: 100 mila italiani scelgono la montagna

  • Postato il 2 agosto 2025
  • Di Panorama
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La montagna si prende la sua rivincita. Considerata fino a qualche anno fa come la meta di un ristretto numero di appassionati dell’alpinismo e del trekking, o come il buon ritiro estivo di anziani in fuga dalle città bollenti e poco attratti dalla movida delle località marine, la vita in quota sta vivendo una stagione di grande interesse. E non è limitato al periodo delle vacanze. In montagna ci si trasferisce anche per mettere radici, per trovare una dimensione meno stressante che è la caratteristica delle città sempre più caotiche e rumorose e, non ultimo, per risparmiare. Il mercato immobiliare nei centri montani offre ancora opportunità interessanti. Il sito di compravendite Idealista riportava recentemente l’annuncio di 25 case, tra baite, rustici e chalet sparse tra Alpi e Appennini, in vendita a meno di 100 mila euro.

E se fino qualche anno fa c’erano ancora i problemi delle scarse infrastrutture digitali e dei trasporti carenti, ora i fondi del Pnrr hanno consentito investimenti importanti. Basta un computer e una baita in mezzo ai boschi si trasforma in un ufficio. Così tra il 2019 e il 2023 i residenti delle 387 comunità montane italiane (al di sopra dei 600 metri d’altezza) sono cresciuti di quasi 100 mila unità, come è stato rilevato dal Rapporto Montagne Italia 2025, presentato dall’Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani).

Certo ci sono stati alcuni fattori che hanno spinto in questa direzione, a cominciare dal periodo del lockdown durante il Covid che ha sganciato tante attività lavorative dal posto fisico degli uffici promuovendo lo smartworking, ma anche la diffusione di una maggiore sensibilità ambientalista, la qualità della vita posta come priorità nella scala dei valori, non solo dai giovani, che ha fatto riscoprire il piacere del ritmo lento delle giornate in quota, di ritmi meno scanditi, della semplicità dei rapporti sociali nelle piccole comunità.

C’è poi il turismo delle radici, con i discendenti degli emigrati italiani che tornano nel paese d’origine della loro famiglia, talvolta scegliendoli come meta di vita. Il report dell’Uncem conferma l’aumento dei residenti sulle Alpi e sugli Appennini, con un’inversione di tendenza soprattutto nel Nord Italia.

Le regioni con il maggior incremento di abitanti in quota sono Emilia-Romagna, Toscana, Liguria e Piemonte, con aumenti rispettivamente del 4,67 per cento, 3,7 per cento, 3,2 per cento e 2,6 per cento. Seguono poi le Province autonome di Trento e Bolzano, spesso citate come modelli per le politiche a favore del ripopolamento delle località in quota. Complessivamente, in 137 delle 386 comunità montane analizzate, la popolazione è cresciuta di almeno il 2 per cento.

Il fenomeno però non è generalizzato. Mentre al Nord i borghi tornano a vivere, nel Mezzogiorno persistono forti flussi di spopolamento: Calabria, Basilicata e Sicilia registrano decrementi significativi, rispettivamente del 2,19 per cento, 1,83 per cento e 1,5 per cento, confermando il divario tra Settentrione e Sud anche nelle aree montane.

Marco Bussone, presidente di Uncem, ci parla di una «stagione del risveglio»per le montagne italiane che hanno saputo reagire con innovazioni e strategie «dal basso» alle crisi demografiche e ambientali. «Non ci si può arrendere all’idea dello spopolamento come destino ineluttabile di queste aree. Oggi ci sono chiari segnali di inversione di tendenza che meritano attenzione politica». E qualcosa in questo direzione si sta muovendo. Il risveglio della montagna non sarebbe stato possibile se, a monte (un gioco di parole calzante) non ci fossero stati i fondi del Pnrr e alcune iniziative legislative per rilanciare quelle località, anche dense di storia e di bellezze naturalistiche, ma abbandonate nell’ultimo decennio perché scomode per carenza di servizi e di opportunità lavorative.

A partire dall’iniziativa del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, che ha firmato un progetto di legge per un fondo di 200 milioni di euro finalizzato a sostenere lo sviluppo delle aree montane italiane. Un aiuto importante è venuto dal Pnrr che ha reso possibile lo sviluppo delle infrastrutture come la banda larga, i trasporti e i servizi educativi. «Oggi 1.500 Comuni e 40 aree sono finanziati con 135 milioni di euro del Pnrr mentre altre 160 aree sono in attesa di fondi» afferma Bussone. Alcune amministrazioni promuovono iniziative per attrarre nuovi residenti, come la vendita di case al prezzo simbolico di un euro per favorire il recupero del patrimonio edilizio dei borghi. L’ultima in ordine di tempo è “Piccole Dolomiti” dell’Unione montana Pasubio Piccole Dolomiti, un progetto che interessa 10 Comuni e riguarda oltre 10 mila immobili in stato di abbandono ceduti a un euro in cambio dell’impegno dei nuovi proprietari a sostenere i costi di recupero, risanamento, restauro e messa in sicurezza dell’edificio, con l’obiettivo finale di stabilirvi la propria residenza.

La lista di queste iniziative è in continua evoluzione, ma tra le Regioni dove la formula delle vendite immobiliari a prezzi simbolici ha avuto un certo successo ci sono il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Toscana, l’Abruzzo, il Molise, la Liguria, e poi Sardegna e Basilicata. Basta scorrere i siti dei Comuni sparsi tra Alpi e Appennini e si scoprono continui bandi e incentivi per attrarre nuovi abitanti. Per avere un’idea dell’importanza di questo fenomeno, basta pensare che il territorio montano italiano comprende 3.471 Comuni, con quasi 9 milioni di residenti, pari al 14,7 per cento della popolazione nazionale. Il rapporto dell’Uncem sottolinea come due terzi di queste realtà abbiano avuto un saldo migratorio positivo negli ultimi due anni, con un netto di nuovi residenti superiore a 12 ogni mille abitanti.

Bussone aggiunge che «l’aspetto più interessante della scelta della vita in quota è che sono soprattutto gli italiani a trasferirsi in montagna anche se in questi borghi l’accoglienza degli stranieri funziona meglio che nei grandi centri urbani». L’alta quota inoltre crea occupazione oltre che turismo. Bussone fa questo esempio: «Ci sono 12 milioni di ettari di bosco in aumento, il che vuol dire migliaia di posti di lavoro in ambito forestale». E ricorda i periodici bandi della Regione Lombardia dedicati al ripristino e conservazione dei terrazzamenti e dei muretti a secco per preservare i paesaggi rurali. Un’operazione che ha ricadute sull’occupazione.

Le iniziative però si scontrano con il campanilismo. La soluzione è sempre la stessa: fare squadra, realizzare un’unione di più Comuni, dice Bussone. Ma questo è l’eterno deficit della nostra Penisola.

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Panorama

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