Il ritorno di Totò Cuffaro: l’indagine che racconta la Sicilia che non cambia
- Postato il 4 novembre 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
Totò Cuffaro è di nuovo lì, al centro della scena che conosce meglio di chiunque altro: quella in cui la politica siciliana si confonde con il destino della giustizia. Questa volta non si parla di “pizzini” o segreti istruttori, ma di appalti nella sanità, di pressioni e favori, di un sistema che odora di vecchio potere e nuove maschere. La Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, ha chiesto per lui gli arresti domiciliari: l’accusa è di corruzione, turbativa d’asta e associazione per delinquere. Nessuna condanna, nessuna certezza giudiziaria. Ma l’inchiesta, che coinvolge anche imprenditori e funzionari regionali, ha già riaperto un dossier antico: quello sul rapporto organico tra politica e sanità in Sicilia.
Cuffaro non è un politico qualunque. È il volto di una stagione intera: quella della Democrazia Cristiana di provincia, delle raccomandazioni fatte con il sorriso, del potere distribuito come favore personale. Condannato nel 2011 a sette anni per favoreggiamento aggravato a esponenti mafiosi, ha scontato la pena, si è reinventato uomo di fede e missione sociale, fondando una nuova DC siciliana che, ironia della storia, oggi torna a essere osservata speciale. “Ho già pagato per i miei errori, oggi non temo nulla”, ha dichiarato. Eppure, il ritorno del suo nome nelle carte di un’indagine che tocca la sanità pubblica siciliana non può che evocare un déjà-vu amaro.
In Sicilia, parlare di sanità significa parlare di potere. Ospedali, nomine, appalti, assunzioni: tutto ciò che passa da una firma pubblica diventa terreno di scambio. Secondo la Procura, l’inchiesta avrebbe svelato una rete di rapporti e favori in cui la politica orientava gare e concorsi, mentre gli imprenditori “riconoscenti” assicuravano sostegno e consenso. Cuffaro, secondo l’accusa, avrebbe avuto un ruolo di garante o facilitatore, un uomo capace di muovere leve, contatti, equilibri. Nulla di provato, ma abbastanza per riaccendere un vecchio sospetto: in Sicilia il potere non si estingue, si ricicla, cambia pelle e linguaggio, ma conserva la stessa logica di appartenenza.
Dopo gli anni in carcere, Cuffaro aveva tentato una rinascita personale e pubblica: aveva parlato di perdono, fede, volontariato. Aveva persino trasformato la sua immagine da simbolo di un potere malato a uomo che “ha capito i propri errori”. Molti lo avevano creduto. Altri avevano sorriso con scetticismo. Ma la Sicilia, si sa, è terra di seconde possibilità. E così, negli ultimi anni, l’ex governatore era tornato a frequentare la scena politica, con una discrezione da consigliere ombra, ma con l’influenza di chi conosce a memoria il meccanismo del consenso. Ora, però, la macchina della giustizia lo riporta nel mirino. E con lui torna una domanda che la Sicilia non riesce a cancellare: può davvero rigenerarsi una classe politica che si alimenta sempre dalle stesse radici?
Mentre la magistratura procede, la politica siciliana tace o balbetta. C’è chi invoca il garantismo e chi, più prudentemente, evita di pronunciarsi. La verità è che Cuffaro, nel bene o nel male, rappresenta ancora un punto di equilibrio, una rete, una memoria collettiva che fa paura toccare. Perché intorno a lui ruotano non solo nomi, ma metodi: il modo di costruire consenso, di controllare le leve del potere, di far passare l’influenza personale per “servizio al territorio”. Un sistema che non muore con le condanne, perché è sociale prima ancora che giudiziario.
Ogni volta che un politico siciliano finisce sotto indagine, la reazione è la stessa: indignazione a parole, immobilismo nei fatti. E intanto la fiducia dei cittadini crolla, mentre la politica continua a cercare capri espiatori. Cuffaro, oggi, non è solo un indagato: è il simbolo di una Sicilia che non sa decidere se guardare avanti o tornare indietro. Un’isola dove la parola “favori” suona più familiare di “merito”, e dove la legalità è spesso invocata solo per colpire l’avversario, mai per cambiare davvero le regole. Se le accuse saranno provate, ci troveremo davanti all’ennesimo caso di potere piegato agli interessi privati. Se cadranno, resterà comunque un segnale forte: il sistema siciliano, anche solo per essere sospettato di certe dinamiche, ha smesso di essere credibile.
La giustizia farà il suo corso, e Cuffaro – come ogni cittadino – ha diritto alla presunzione d’innocenza. Ma al di là delle aule giudiziarie, resta una domanda collettiva: quante volte deve ripetersi la stessa storia perché la Sicilia cambi davvero? Ogni indagine che tocca la sanità pubblica riapre lo stesso copione: dirigenti che diventano referenti politici, appalti che diventano ringraziamenti, ospedali che diventano feudi elettorali. La Sicilia non ha bisogno di un nuovo colpevole, ma di una rivoluzione culturale. Perché finché la giustizia sarà vista come vendetta, e non come garanzia di trasparenza, continueremo a vivere nell’eterno ritorno dei “Totò di turno”.
Cuffaro, oggi, è indagato. Non condannato, non assolto: indagato. È giusto ricordarlo. Ma è altrettanto giusto dire che, quando un nome che ha segnato la storia politica siciliana torna in un’inchiesta sulla sanità, il problema non è solo giudiziario. È morale, civile, culturale. Perché la domanda non è più se Totò Cuffaro sia colpevole o innocente, ma se la Sicilia voglia davvero smettere di vivere come se il potere fosse un’eredità di famiglia
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