Il ritorno del capitalismo di Stato: come le grandi aziende pubbliche italiane conquistano il mondo

  • Postato il 4 maggio 2025
  • Di Panorama
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Le ferrovie italiane che si infilano nell’Eurotunnel per collegare Parigi con Londra. Il gruppo Leonardo che crea una joint venture con la tedesca Rheinmetall per i nuovi carri armati europei e intanto consegna il centesimo elicottero alla Us Navy. L’Enel che vanta il più grande parco eolico dell’intera America Latina. L’Eni che firma un memorandum d’intesa per lo sviluppo dal giacimento argentino di Vaca Muerta, seconda riserva non convenzionale di gas al mondo. Fincantieri che costruisce un mega-terminal a Miami (vedere anche il servizio a pagina 30). Tutti recenti successi dell’Italia all’estero. Con una caratteristica in comune: a raggiungerli sono aziende pubbliche.

Già, perché ormai il capitalismo di Stato sta dimostrando di saper fare bene, se non meglio, dei privati. Non solo presidia settori strategici, come quello dell’energia, della difesa o delle reti, ma allunga il suo raggio di azione nella tecnologia, nella telefonia e addirittura nella finanza con una vivacità e un’efficienza che non hanno nulla a che vedere con l’immagine del pigro gigantismo fantozziano dei vecchi colossi pubblici.

Così assistiamo all’acquisizione da parte delle Poste della maggioranza di Telecom Italia, reduce della peggiore privatizzazione della storia italiana. Guardiamo il Monte dei Paschi, con il ministero dell’Economia maggiore azionista, puntare su Mediobanca e indirettamente sulle Generali. Osserviamo Cassa depositi e prestiti (Cdp) assumere un ruolo sempre più centrale e attivo nell’economia del Paese, con il suo utile netto record di 3,3 miliardi di euro e gli investimenti a quota 202 miliardi. Il tutto senza che nessuno abbia niente da dire contro lo Stato invadente. E c’è una ragione: è cambiato qualcosa di profondo nel clima politico e intellettuale che adesso assegna nuovamente al pubblico un ruolo più attivo nell’indirizzo economico. 

Le crisi recenti – finanziaria (2008), dei debiti sovrani (2011-12), pandemica (2020) ed energetica (2022) – hanno scosso il paradigma neoliberale che nei decenni precedenti aveva favorito un arretramento del ruolo dello Stato. È girato il vento. A livello globale e in Italia, si è accettato il ritorno della legittimazione dell’intervento pubblico per far fronte a shock sistemici, gestire disastri aziendali di rilevanza nazionale (come Alitalia o Mps), e guidare trasformazioni strutturali considerate prioritarie (transizione ecologica e digitale). 

Si spiega così il rafforzamento del ruolo statale in aree strategiche specifiche, trainato dall’azione di Cdp e dalla performance di alcuni grandi gruppi, che si traduce in un aumento del peso delle aziende pubbliche non solo in termini dimensionali, ma di prestigio, di attrattività e di potere.

Certo, gli imprenditori privati ci sono sempre, vantano primati mondiali e valorizzano l’ingegno e la creatività italiana a livello globale: pensiamo a Ferrero, Prysmian (leader nei cavi per le telecomunicazioni), Ferrari, Brembo, Luxottica, Barilla, Campari, Prada (vedere anche l’articolo a pagina 50). Ma fa impressione constatare da un lato l’affermarsi sui mercati internazionali della tecnologia, dello spazio, dell’avionica di un gruppo pubblico come Leonardo e dall’altro il parallelo declino degli stabilimenti italiani di Stellantis, l’erede della Fiat degli Agnelli. E se scorriamo l’elenco delle principali società italiane nella graduatoria di Mediobanca, il primo gruppo privato è proprio l’italo-francese Stellantis, al quarto posto dopo Eni, Enel e Gse (pubblici), seguito da Prysmian (sesto), Edison (ottavo). Tutte le altre aziende della «top ten» hanno azionisti pubblici, tra cui spiccano Telecom (quinta posizione) e Leonardo (settima).

Leonardo è un ottimo esempio di come una società pubblica possa diventare un competitor internazionale nei settori tecnologicamente più avanzati. Diretto da Roberto Cingolani, è un gruppo da oltre 17 miliardi di fatturato con 129 siti in giro per il mondo. Realizza in Italia solo il 18 per cento dei ricavi, il resto viene dall’estero. Negli ultimi anni si è concentrato sui servizi e i prodotti che offrono le massime prospettive di crescita. Non solo è il secondo produttore mondiale di elicotteri, ma partecipa alla realizzazione del caccia di sesta generazione insieme a Bae Systems nel Regno Unito e Jaiec in Giappone, mentre con la francese Thales collabora nel settore aerospaziale. Leonardo svolge un ruolo importante in una serie di progetti internazionali, come quelli dell’Eurofighter, dell’Atr, dell’elicottero europeo Nh90, dell’Eurodrone.

Dalle rotte aeree a quelle ferroviarie: il gruppo Fs ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il consorzio spagnolo Evolyn per avviare un collegamento ad alta velocità nell’Eurotunnel tra Londra e Parigi a partire dal 2029. Si tratta di una nuova tappa del percorso avviato dall’operatore italiano per crescere in Europa attraverso la diffusione dell’alta velocità. L’Italia infatti è presa ad esempio come il Paese con il miglior servizio di questo tipo nel continente, che offre a clienti una frequenza di treni molto elevata e prezzi più bassi. Non a caso in Francia il gruppo Fs è stato il primo operatore alternativo sulla tratta ad alta velocità Milano-Parigi. Ma le nostre ferrovie sono presenti anche nel Regno Unito, in Germania, nei Paesi Bassi, in Spagna.

Restando in argomento reti, va ricordato che in Italia abbiamo Terna, più grande operatore indipendente nella trasmissione di energia elettrica in Europa. E il nostro sistema elettrico viene considerato tra i migliori al mondo. In campo energetico vantiamo poi due società particolarmente attive sui mercati esteri: Enel ed Eni. Su quest’ultima, guidata da Claudio Descalzi, si potrebbero scrivere fiumi di parole. Ci limitiamo a ricordare che è presente in 64 Paesi: dall’Australia, dove non solo si occupa di gas e greggio ma gestisce anche un grande impianto fotovoltaico, al Kazakistan, dalla Namibia all’Egitto, dal Libano alla Norvegia, dall’Argentina al Canada. E non solo di idrocarburi e di rinnovabili si occupa il gruppo: il cane a sei zampe è impegnato nello sviluppo della futura energia da fusione nucleare. Di recente ha annunciato un accordo con la United Kingdom Atomic Energy Authority per realizzare il più grande e avanzato impianto per la gestione del trizio, combustibile chiave nel processo di fusione. 

Fortemente proiettata sui mercati internazionale anche l’Enel: presente in 28 Paesi, la società è il più grande operatore di rinnovabili a livello mondiale e il primo gestore di reti di distribuzione elettrica per numero di clienti serviti. Nel suo mix di produzione le fonti rinnovabili hanno una quota del 69,5 per cento. In Spagna gestisce 317 impianti solari, eolici e idroelettrici, negli Stati Unti 81, mentre in Brasile è il maggiore operatore di energia eolica del Paese.

Indubbiamente un gruppo pubblico presenta una serie di vantaggi: gode generalmente di una maggiore stabilità grazie al sostegno implicito o esplicito dello Stato che può tradursi in una maggiore fiducia da parte di investitori e partner, soprattutto in periodi di incertezza economica. Ha una visione a lungo termine, essendo guidato da obiettivi strategici di interesse nazionale che vanno oltre la mera massimizzazione del profitto a breve termine. E questo può portare a investimenti in ricerca e sviluppo, infrastrutture o settori strategici, anche se non offrono ritorni finanziari immediati. Restano i rischi di interferenze politiche, ma l’essere quotati sui mercati azionari e avere accanto soci privati e investitori internazionali garantiscono una certa protezione da eventuali condizionamenti.
Una volta si diceva piccolo è bello. Ma grande, e pubblico, forse è meglio.

Autore
Panorama

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