Il risanamento dei mari funziona

  • Postato il 8 aprile 2025
  • Di Focus.it
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Gli interventi di ripristino degli ecosistemi marini funzionano. E sono anche un investimento redditizio per l'economia, oltre che per l'ambiente. Lo afferma uno studio internazionale, da poco pubblicato su Nature communications. Un gruppo di 24 biologi marini ha passato al vaglio 764 interventi di recupero degli habitat marini in tutto il mondo. Risultato: hanno avuto un tasso medio di successo del 64%, con punte più elevate per le barriere coralline e le foreste di mangrovie. I fallimenti sono stati in media il 9%, con punte più alte per le praterie di fanerogame marine, seguite da paludi salmastre e letti di ostriche. Nei restanti casi, si registra un successo parziale: le specie sopravvivono ma non si espandono.. OBIETTIVO 30%. Nella gran parte dei casi, quindi, le specie native reintrodotte nelle aree restaurate sono sopravvissute, con effetti benefici sulla vita sottomarina. Non è poco, data la complessità dell'ecologia marina. Gli interventi di ripristino sono risultati efficaci a prescindere dalla dimensione dell'area protetta, dalla sua collocazione geografica e dal tipo di habitat tutelato (praterie sommerse, acque profonde, barriere coralline tropicali). Una buona notizia, che fa ben sperare di riuscire a raggiungere l'obiettivo dell'Agenda Onu di proteggere e ripristinare almeno il 30% dei mari entro il 2030. Anche se la strada da fare è ancora lunga: oggi siamo solo all'8,3% secondo il Marine protection Atlas.. SUCCESSI E FALLIMENTI. «La ricerca», racconta il primo autore, Roberto Danovaro, direttore del Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente all'Università Politecnica delle Marche, «voleva fare il punto sulle misure di restauro degli ecosistemi marini, praticate da una trentina d'anni. È occorso molto tempo per capire quali approcci fossero efficaci e quali no per recuperare gli ambienti degradati». Fra gli interventi esaminati dagli scienziati, i tassi di successo maggiori (fino al 74%) si sono registrati nel recupero delle barriere coralline (habitat molto ricchi di specie), degli ecosistemi delle acque profonde e delle foreste di macroalghe; gli interventi a maggior rischio di fallimento (oltre il 17%) sono stati registrati invece per le praterie di fanerogame (piante marine), paludi salmastre e mangrovie.. LEZIONI APPRESE. «Una delle lezioni apprese da questo studio», spiega Danovaro, «è che non è necessario rimuovere subito gli elementi di disturbo sull'ambiente, come le attività inquinanti: gli interventi di recupero e di protezione sono efficaci fin da subito nel recuperare la biodiversità di un habitat. L'abbiamo rilevato nell'area marittima di Bagnoli, dove abbiamo immerso le reti metalliche che si usano come argini nelle strade per farvi attecchire le piante di posidonia, che cresceva nonostante l'ambiente fosse contaminato da idrocarburi e metalli pesanti. Questa è una scoperta importante, perché la mera rimozione degli elementi inquinanti, il cosiddetto "ripristino passivo", ha effetto solo su periodi molto lunghi, spesso dai 100 anni in su, mentre gli interventi attivi di recupero possono accelerare molto questo processo».. TRAPIANTO DI HABITAT. Fra gli interventi attivi, il trapianto di intere porzioni di habitat – una metodologia usata solo di recente - si è rivelato una strategia efficace. «Si può fare con la posidonia, ma non con le gorgonie e i coralli bianchi», avverte Danovaro. Gli interventi di questo genere consistono nell'installazione di barriere coralline tropicali, nella coltivazione di praterie di fanerogame marine, di alghe, di mangrovie, o con l'allevamento di ostriche per ricostruire i banchi. . Manutenzione. Altrettanto importante, per il successo di un intervento, è la manutenzione: «Fare un risanamento non basta, se poi non lo si mantiene», aggiunge Danovaro. «Diversi interventi sono falliti perché nessuno, dopo una tempesta, un'invasione di predatori o la diffusione di patologie o di nuovi impatti, aveva monitorato l'area marina e preso provvedimenti. La manutenzione è fondamentale, ma in molti casi non viene fatta per mancanza di fondi: ma a questo si può ovviare monitorando le aree con droni e sensori sottomarini, oppure affidandosi alla collaborazione con i pescatori locali». Un ultimo, importante fattore di successo è la creazione di aree cuscinetto (per esempio, aree marine protette, aree di pesca limitate), «ma questa strategia è stata adottata solo nel 2% dei casi esaminati», sottolinea la ricerca.. COSTI E BENEFICI. Ma quanto costa un intervento di recupero di un habitat sottomarino? Da 0,45 a 23 milioni di euro per ettaro, se svolto in acque non profonde. Ma, sottolineano i ricercatori, ogni 100 dollari investiti nel mare, ne tornano fra il 5% e il 170%. E il rendimento quadruplica l'investimento iniziale se si recuperano le barriere coralline: «Di solito gli interventi di tutela e di protezione sono visti come una sottrazione di risorse, invece è esattamente il contrario: un ambiente marino recuperato migliora la balneabilità e quindi il turismo, oltre a incrementare la fauna ittica, con ricadute benefiche anche sulla pesca», sottolinea Danovaro. Il ripristino della foresta di mangrovie del delta del Mekong (1.500 km) e delle foreste di macroalghe (1 milione di ettari) potrebbe fornire benefici economici stimati da 53 a 177.000 euro per ettaro l'anno.. MINIERE SUI FONDALI. La situazione si complica, però, quando bisogna intervenire a profondità elevate: il ripristino degli ecosistemi abissali richiede il supporto di grandi imbarcazioni e tecnologie sofisticate, che possono costare da 5 a 50 volte di più rispetto agli ecosistemi costieri: fino a 68 milioni di euro per ettaro. Uno scenario che potrebbe rendersi necessario dato che l'autorità internazionale dei fondali marini (International Seabed Authority) ha autorizzato 21 società di 8 Paesi (Stati Uniti, Cina, Russia, India, Francia, Regno Unito, Germania e Belgio) a estrarre noduli polimetallici, solfuri polimetallici e croste di ferro-manganese negli Oceani Pacifico, Atlantico e Indiano. «Per estrarre quelle risorse le società useranno mezzi sottomarini cingolati grandi come una palazzina, fino a 5mila metri di profondità: saranno dotati di potenti aspiratori che risucchieranno sulle navi d'appoggio in superficie tutti i minerali dei fondali. Il loro impatto sulla vita sottomarina sarà il più grave e massiccio mai perpetrato nella storia: come usare un bulldozer per raccogliere una manciata di funghi porcini. Anche per questo abbiamo attivato un progetto di ricerca europeo, Redress, finanziato dall'Ue con 8,6 milioni di euro: attraverso esperimenti pilota potremo identificare le buone pratiche per restaurare gli ambienti marini profondi, sui quali si sa ancora poco».. MEDITERRANEO POCO PROTETTO. Ma i problemi non si limitano agli appetiti minerari. Tutti i mari del pianeta, infatti, sono assediati da 3 minacce: il riscaldamento globale, che ammalora le barriere coralline e molti habitat del Mediterraneo; la pesca a strascico indiscriminata, che danneggia gli ecosistemi dei fondali; l'impatto di rifiuti e inquinamento. Basti dire che la sola pesca a strascico indiscriminata danneggia fisicamente circa 4,9 milioni di km2 di mare: un'area più grande dell'intero territorio dell'Unione Europea. E, a proposito d'Europa, il Vecchio continente ha istituito misure di protezione soltanto sul 12,3% dei propri mari: il Mediterraneo centrale e l'Adriatico sono protetti solo al 7,9% della loro superficie.. E l'Italia? Pur avendo 8.300 km di costa, il nostro Paese è nelle ultime posizioni europee per quantità di aree marine protette. Perché? E cosa si può fare? «La scarsità di aree marine protette dipende da due fattori: la mancanza di fondi da investire per il recupero e il monitoraggio, e il timore di erodere spazi a pesca e turismo», risponde Danovaro. «Ma c'è un modo per superare l'impasse: l'Italia ha 94 proposte per istituire parchi eolici offshore, per un'area complessiva di 1.000 km2. Se le autorità li autorizzassero tutti, il nostro Paese raddoppierebbe le proprie aree tutelate, perché i parchi eolici diventerebbero aree marine protette a carico dei privati: è un'opportunità straordinaria per produrre energia pulita difendendo allo stesso tempo la natura». .
Autore
Focus.it

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