Il regno del caso

  • Postato il 3 settembre 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico settembre 2025

“Se segnassimo a caso dei punti su un foglio di carta, si potrebbe individuare sempre e comunque un’equazione matematica tale da rendere conto di quanto fatto” è un’affermazione attribuita a Leibniz anche se non mi sembra essere documentata in nessun testo, di fatto, però, ben rappresenta il suo pensiero, in particolare il Principio di Ragion Sufficiente che lo porta a ritenere che ogni realtà nell’universo sia conseguente a una ragione, a una causa, a un progetto che ne giustifichino la natura. Non intendo affrontare gli aspetti platonici e/o spiritualistici della filosofia leibniziana né la prospettiva escatologica aristotelica che vi si può riconoscere, nemmeno la sua polemica anti empirista e neanche la sua volontà originalissima di superare il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, in questa riflessione l’incipit che rimanda al grande pensatore tedesco ci è utile per affrontare un tema che, in maniera abbastanza evidente, per certo sottende il pensiero leibniziano, ma che mi interessa poiché è alla base di un certo modo di pensare comune dei nostri tempi. I famosi giganti dalle spalle dei quali osservare più lontano e tentare di comprendere qualcosa possono anche contraddirsi o, almeno, suggerire ottiche diverse anche e soprattutto in un contesto, mi riferisco nello specifico alla presunta oggettività della matematica, nei confronti del quale il luogo comune de “la matematica non è un’opinione” la fa da padrone. Se per Galileo la matematica è l’alfabeto e il linguaggio in cui è scritto l’universo, l’affermazione di Einstein “Quando le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe; e quando sono certe, non si riferiscono alla realtà”, quantomeno apre uno spazio alla riflessione. La questione, a questo punto, mi sembra abbastanza chiara e la domanda che ci stiamo ponendo, con la profonda consapevolezza di non poter offrire conclusioni definitive e l’assoluta modestia di ogni onesto pensatore, potrebbe essere espressa attraverso un antico interrogativo: i numeri, linguaggio universale, sono un’invenzione o una scoperta?

So bene che per i miei più antichi e fedeli lettori e lettrici è pleonastica la precisazione che, comunque, faccio seguire quantomeno per i neofiti e, in ogni caso, per chiarezza: per invenzione è da intendersi il prodotto della mente che determina l’origine di qualcosa che prima non era; per scoperta dobbiamo pensare all’incontro, sempre figlio dell’ingegno umano, con qualcosa di preesistente, la causa del quale non è nella mente dell’uomo ma gli è consentito di conoscerla in quanto i suoi strumenti gnoseologici risultano adeguati alla realizzazione dell’incontro stesso. A questo punto vorrei richiamare alla memoria le parole di un acuminato teologo salito al soglio pontificio col nome di Benedetto XVI: “Riflettiamo ora su cos’è la matematica. Di per sé è un sistema astratto, un’invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste. È sempre realizzato approssimativamente, ma – come tale – è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura, per metterla al nostro servizio attraverso la tecnica”. La posizione del pontefice ben esprime la convinzione di gran parte dell’umanità, mi sembra, sia tra gli intellettuali più avveduti che tra le “persone comuni” e risulta essere una perfetta mediazione, facile definirla un rasserenante compromesso, tra le due diverse prospettive; questione risolta? Direi proprio di no, anzi!

La conclusione del ragionamento del papa, che a mio modo di vedere andrebbe letta più come preconcetto, rafforza la posizione della scoperta e vi aggiunge l’ulteriore postulato occulto che “qualcuno” abbia “scritto l’universo” attraverso il linguaggio dei numeri e, “cosa sorprendente”, l’invenzione della mente umana coincide proprio con quel linguaggio. È noto a tutti che il numero PHI è riconoscibile nella civiltà babilonese, nei rapporti proporzionali delle dimensioni delle piramidi, nell’arte greco fidiaca così come nelle proporzioni del corpo umano, delle celle di cera delle api, delle tele dei ragni e potremmo continuare, ma queste osservazioni rispondono davvero al nostro interrogativo? La continua evoluzione degli strumenti di numerazione e misura è un ulteriore conferma delle tesi di Benedetto XVI o la dimostrazione della sua fragilità? Abbiamo dieci dita affinché le cifre siano dieci o diventa stimolante sapere che la tribù amazzonica dei Piraha ricorre all’uno, al due e a molti e traduce tranquillamente il reale in questo sistema? I progressi dell’informatica e dell’intelligenza artificiale vanno letti come conferme o come possibili “letture alternative e ancor più efficaci”? Il nulla esiste ed è numerabile o la logica, molto umana, di Parmenide ne dimostra l’innumerabilità? I numeri esisterebbero senza una mente che li concepisca? La matematica va intesa come una conquista, un dono, uno strumento o una gabbia? Insomma, il fatto che ogni esperienza sia collocabile all’interno dello schema logico del soggetto esperienziale comporta che la struttura della realtà coincida con l’esperibile del soggetto e con le strutture ordinatorie dello stesso? Aveva visto giusto Aristotele e la realtà è organizzata in maniera ordinata razionale e conoscibile o è bene ascoltare il “caos dentro di noi” senza averne paura? Davvero “il reale è razionale” e nostro compito è comprenderlo o questo è solo un sintomo della paura di riconoscere il caos-caso incontrollabile nel tutto compreso la nostra esistenza?

Nessuna certezza, possiamo solo affermare che diverse possibilità di numerazione del reale, anche lontane le une dalle altre, possono incontrare una sorta di “rispecchiamento” tra le nostre possibilità razionali e la realtà che riusciamo a ricondurre a esse, non ci è dato, mi sembra, dimostrare che l’unica possibilità di “scrittura” e di “lettura” dell’universo sia quella della quale ci serviamo e siamo capaci, né che questo sia figlio di una volontà che ha realizzato testo e lettore e si sia poi messa comoda in poltrona per verificare se i partecipanti al “suo” gioco fossero in grado di raggiungere la meta e così celebrare la progettista. La schematizzazione finalistico creazionista può essere rassicurante e utile, questo non significa assolutamente che sia l’unica possibile e, ancor meno, che sia corretta. Le categorie di causa effetto e di non contraddizione e la loro efficacia dimostrano solo la convenzionalità di un approccio alla realtà che ha generato una meravigliosa civiltà, ma non garantisce la sovrapponibilità del tutto con la nostra capacità di incontrarlo. Come non ritornare a Nietzsche che, se non ricordo male in Aldilà del bene e del male, afferma che “siamo noi soltanto ad avere immaginosamente plasmato le cause, la successione e la funzionalità di una cosa rispetto all’altra, la relatività, la costrizione, il numero, la norma, la libertà, il motivo, lo scopo”, certo, la comune prospettiva dalla quale osserviamo ci consente di dare vita al linguaggio, alla matematica, al sistema sociale e ci rende funzionali allo stesso, ci permette di realizzare il perfetto termitaio hegeliano, ma questo non può significare che ci si debba reputare davvero delle termiti! Il rovesciamento dei termini ha fatto si che ciò che doveva essere funzionale ai nostri scopi ha reso noi funzionali all’autorefernzialità del mezzo. Capisco bene che questo passaggio può apparire un’acrobazia logica, ma se tutto fosse anche “numerabile” questo non deve assolutamente rendere noi un numero in un algoritmo, mentre appare come concreta possibilità se continueremo a ritenere di trovarci all’interno di un video gioco del quale stiamo cercando di comprendere le regole per poi meglio esserne asserviti.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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