Il post-capitalismo sta cercando di cancellare ogni visione del futuro (anche nella cultura)
- Postato il 15 dicembre 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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E quindi, per molto tempo ho avuto la sensazione che le cose non tornassero, riguardo agli ultimi 20-25 anni. Dal punto di vista storico-artistico, culturale, e più in generale sociale. Che il racconto ufficiale fosse provvisorio e manchevole, e che comunque scorresse sopra un’altra versione non ancora esplicitata, ovviamente oscura, anche un po’ minacciosa. Una versione di che? Della realtà, certo, ma soprattutto di questi scambi e passaggi tra avanguardia, sottocultura e mainstream. Voglio dire, com’è che non se ne è mai davvero andata questa sensazione di essere stati fregati sul più bello, cioè che quando finalmente le sottoculture e l’arte radicale stavano diventando di massa si è come spento tutto improvvisamente, la festa è finita, andate a casa, abbiamo scherzato e adesso cambia registro?
Le sottoculture e l’arte radicale
Vediamo. C’entrano sicuramente l’Intermezzo tra XX e XXI Secolo, di cui si è già parlato, e c’entra l’acronia come disposizione generale di un’intera cultura verso il tempo. A un certo punto, infatti, prima in maniera sporadica poi sempre più pervasiva, la tensione tra un tempo che accelera sempre più verso la “singolarità” e un tempo che si accartoccia e si ripiega su se stesso attraverso la nostalgia, vale a dire la compressione e la riduzione del passato a bene di consumo, diventa insostenibile: il movimento, dunque, si fa in un certo senso talmente veloce e convulso da non essere più percepibile, o meglio, da essere percepibile come stasi, come immobilità. Acronia.
Possiamo definire l’acronia come il punto di equilibrio e di stallo tra il desiderio (impossibile) di stabilità, di ritorno a casa, di comfort nel bel mezzo del trauma proprio della nostalgia e quello di cambiamento selvaggio e radicale insito nell’accelerazionismo: l’acronia è la non-storia, la non-linea temporale, il tempo cioè spogliato di ogni riferimento al passato, al presente e/o al futuro.
Che cosa è l’acronia
L’acronia, che si presenta in un certo senso come la distorsione e la degradazione definitiva del tempo storico, suggerisce anche attraverso questa frattura non sanabile una forma diversa di percepirci nel flusso, e di percepire il flusso attraverso noi. L’acronia è la condizione in cui la nostalgia – divenuta nell’arco di mezzo secolo nostalgia al quadrato, o al cubo: stiamo facendo esperienza, infatti, attraverso gli oggetti culturali che ci vengono proposti, non più della semplice nostalgia di un’epoca (passata, o futura), ma della nostalgia della nostalgia, e della nostalgia della nostalgia della nostalgia… – si incolla ad ogni frammento, ad ogni idea, ad ogni connessione.
L’acronia, registrando questa convulsione nostalgica del tempo e azzerando i riferimenti storici, introduce come una rivelazione, come un imprevisto, come un glitch, il lampo del futuro. L’assenza del tempo storico fa spazio a ciò che non si attendeva e non si conosceva più: ciò che deve venire.
L’arte nel post-capitalismo
Quello che sembra a prima vista un difetto del post-capitalismo, a uno sguardo appena più attento si rivela come una sua componente strutturale: la tensione verso la degradazione e il deterioramento (enshittification), che dalle piattaforme digitali e dai loro servizi possiamo estendere a buona parte della produzione culturale ‘di massa’ (serie tv, film, musica, moda, letteratura, arte visiva ecc. ecc.) è necessaria al passare-oltre, a consumare rapidamente un “contenuto”, il rettangolino nel menu uguale agli altri rettangolini, per aprire il successivo, e così via. La enshittification è la nostalgia: la nostalgia è la enshittification del tempo. (L’affezionarsi troppo a un’opera, il rimanere/rivedere/riascoltare, non è molto coerente forse con la logica del post-capitalismo: la profondità non piace granché alla piattaforma, mi sembra. Enshittification e nostalgia favoriscono per un dato periodo il consumo rapido, fino naturalmente al punto di rottura, quando la noia fa sì che la gente mortalmente scocciata vada in cerca di altro.)
Una visione oligarchica del futuro
E infatti, il titolo del testo ormai canonico di quello che è il Saruman della tecnologia corporate contemporanea, Peter Thiel (l’azienda principale di cui è CEO si chiama non a caso Palantir, come le “pietre veggenti” del Signore degli Anelli), recita significativamente: Competition Is for Losers, ‘la competizione è per i perdenti’. In questa visione vagamente oligarchica del futuro, la competizione capitalista rappresenta una fase preistorica di quella che è la vera situazione ideale: il monopolio. Ciò che era considerato il caposaldo dell’economia di mercato e del neoliberismo, la competizione sfrenata tra le imprese, indice di un capitalismo sano, solido e maturo, diventa improvvisamente un ferrovecchio, un’abitudine obsoleta e maleducata, l’equivalente di quelle battute degli zii ignoranti pronunciate al pranzo delle feste e che non fanno ridere, ma che vengono salutate al massimo con un’alzata di spalle.

La competizione per perdenti
Perché, dal punto di vista di Thiel, la competizione (che, vale la pena ricordarlo, era fino a non molto tempo fa parte integrante della mitologia e dell’immaginario americani, un’autentica colonna dell’American way of life, e che sarebbe in effetti almeno dal punto di vista retorico anche un punto fermo del Make American Great Again trumpiano; ma Thiel è originario di Francoforte…) è appunto invece roba da ‘perdenti’, da sfigati, da gente che non capisce niente di economia e di impresa, residui e rimasugli di un’epoca morente: la condizione ideale dell’economia presente infatti non è quella in cui i competitor si scannano per una fetta della torta, ma è l’opposto esatto della competizione, in cui il monopolista – dopo aver fatto fuori tutti gli altri che producevano e vendevano i suoi beni e/o servizi – fa da solo il mercato (è il mercato), stabilisce i prezzi e le quantità, si mangia la torta tutta intera senza lasciare nulla agli altri, ecc. ecc. Per Thiel, monopolio significa “il tipo di azienda che è così brava in ciò che fa, che nessun’altra è in grado di offrire un prodotto che si avvicini anche lontanamente ai suoi standard” (es. Google).
L’epoca del monopolio
Quindi, il monopolio è l’equivalente economico dell’acronia. L’acronia è il tempo che ha eliminato tutti gli altri tempi: non solo le dimensioni presente-passato-futuro, ma ogni riferimento culturale alle epoche passate, così come ogni riferimento alle differenti versioni del futuro in cui proiettarsi. L’acronia è il monopolio temporale.
Christian Caliandro
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L’articolo "Il post-capitalismo sta cercando di cancellare ogni visione del futuro (anche nella cultura) " è apparso per la prima volta su Artribune®.