Il Ponte sullo Stretto alla guerra contro quei politici del «No a tutto», anche al progresso

  • Postato il 14 settembre 2025
  • Di Panorama
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Beppe Grillo, una vigorosa bracciata dopo l’altra, ci mise un’ora e ventisette minuti. Elly Schlein, a bordo del ferribbotte, annuncia invece di averne impiegati appena venti. Escludendo: imbarco, sbarco, code, impedimenti. Insomma: l’abituale. «Il ponte non serve» conclude la supersonica segretaria del Pd. «È un progetto arrogante e fallimentare». Peggio: «Un ecomostro irrealizzabile». Insomma, ci risiamo. La storia repubblicana insegna. Il becero progresso economico, da non confondere con il soave progressismo politico, si staglia all’orizzonte? La sinistra scatta in piedi, incrocia le braccia, punta il dito. Ponti, autostrade, ferrovie, aeroporti, metropolitane, dighe, gasdotti. No pasaran!

Progresso o progresso negato? La sinistra e le grandi opere

Il campo largo esita su tutto, vedi le prossime regionali. Ma il diniego a opere pubbliche e modernità varie resta stentoreo. Nonché, ormai, antologico. Con esiti che, adesso, sembrano tragicomici. Il Pci, negli anni Sessanta, considerava demoniaca la tv a colori. «Meglio pane e lavoro», proclamò Enrico Berlinguer, ex segretario comunista nonché illustre progenitore di Elly. «È l’emblema di un tipo di sviluppo che è un danno non solo ai lavoratori ma a tutto il Paese e alla democrazia» argomentò il senatore Gerardo Chiaromonte. «Le bugie e la disinformazione saranno le stesse, se non peggiori, di quelle in bianco e nero», vaticinò l’Unità. La pubblicità variopinta, insomma, avrebbe spinto al consumismo smodato e all’inevitabile bancarotta.

Storia che si ripete sul ponte dello Stretto

E ora il governo vuole il ponte sullo Stretto? La pavloviana opposizione si solleva. Come sempre. «Anche nel Quattrocento c’era chi si opponeva alla cupola del Brunelleschi», ricorda perfidamente Matteo Salvini. Esagerato. Basta rimembrare i tentativi di interdizione degli ultimi cinquant’anni. E comunque: l’incurante ministro delle Infrastrutture annuncia imminenti cantieri e apertura al traffico entro il 2032. Sarà il ponte sospeso più lungo al mondo, 3.666 metri. L’allegra brigata sfascisti, dunque, parte all’assalto. Angelo Bonelli, leader del Verdi, informa: «È una bufala propagandistica». Il compagno Nicola Fratoianni, gran capo di Sinistra italiana, rinfocola: «Sottrazione indegna di risorse al Mezzogiorno». Giuseppe Conte, alla guida dei 5 stelle, suggella: «Progetto scellerato». Anche se, nel 2021, commentava sognante il collegamento tra la Sicilia e il continente: «Sarà un miracolo di ingegneria».

No Tav, Tap e grandi infrastrutture: tutte le battaglie

Camaleontismo fenomenale. Come quello sulla Tap, del resto. È il gasdotto che attraversa l’Adriatico e porta il metano a Melendugno, sulle coste pugliesi. Durante la campagna elettorale del 2018, diventò il cavallo di battaglia del Movimento. «Con il governo dei Cinque stelle, quest’opera la blocchiamo in due settimane!» ruggiva Alessandro Di Battista, il Che Guevara di Roma Nord poi trafitto da borghesi aspirazioni. L’inenarrabile disastro ambientale, quindi, incombeva. Nessuna catastrofe, invece. Anzi: la Tap ci ha garantito gas nei momenti tribolati della guerra tra Russia e Ucraina. Invece, sembrava il male assoluto. Fu aperta persino un’inchiesta. Accusarono manager e tecnici di ogni nefandezza: dall’inquinamento alla deturpazione. Lo scorso maggio vengono assolti: «Il fatto non sussiste». Dopo anni di verbali e perizie agitate come scimitarre. D’altronde: cosa c’è di più provvidenziale, per la sinistra del No a tutto, di inchieste fumosette e apocalittiche? Non a caso Schlein, Bonelli e Fratoianni hanno già presentato un esposto sul Ponte: si indaghi sui fondi. Già, chi caccia fuori i 13,5 miliardi necessari per l’opera? Lo Stato, assicura Salvini. Impossibile. Vuoi che non ci sia sotto qualcosa di losco? Per non parlare della criminalità: mafia e ‘ndrangheta, lasciano trapelare i magistrati, si sarebbero già spartite fino all’ultimo subappaltino.

La guerra sull’energia, tra paura e veti

L’energia, comunque, resta un tarlo. L’opposizione svelena quotidianamente sull’ineluttabile impoverimento degli italiani. A partire dal costo delle bollette. Ma poi si premura di bloccare ogni investimento: non solo trivelle e rigassificatori, ma persino le adorate rinnovabiliAlessandra Todde, governatrice del Movimento, bandisce così eolico e solare nel 99 per cento del territorio sardo.

Dal nucleare alla Tav: il fronte del No

Per non parlare del nucleare. In Inghilterra il primo ministro Keir Starmer, campionissimo della sinistra continentale, annuncia semplificazioni per costruire nuove centrali. I nostri eroi, intanto, restano contrarissimi. Spesso sono avversi persino ai treni, il mezzo di trasporto più ecologico di sempre. «Chi se ne frega di andare da Torino a Lione!» deflagrava nel 2019 Danilo Toninelli, indimenticato ministro alle Infrastrutture nel governo giuseppino. Sulla Tav, in quegli anni, il Movimento sobillò mezza Italia: dalla Val di Susa a Portopalo. Ma poi arrivò l’ennesima giravolta. L’alta velocità porta addirittura dei benefici, concluse l’ex avvocato del popolo. Metà dell’opera viene finanziata dall’Europa. E anche i francesi contribuiscono.

Quando le opere contestate diventano indispensabili

Ecco, il fronte del No si oppone strenuamente a tutto. Fino a quando il furore ideologico non si trasforma in tacita accettazione. Prendi la metropolitana di Milano. Chi si sognerebbe oggi di dubitare della sua imprescindibilità? Eppure, negli anni Cinquanta buona parte del Pci si oppose alla Rossa: la progenitrice di tutte le italiche linee. È un inutile spreco. Sarà solo un tram per ricchi. A Milano non serve. Mica siamo a Londra. E Malpensa? È il secondo aeroporto italiano per passeggeri: quasi trenta milioni all’anno, il triplo di Linate. Ma per i Verdi, negli anni Novanta, l’impatto ambientale sul Parco del Ticino sarebbe stato «devastante». Rifondazione parlava di «opera imposta dall’alto». E persino il Pds lamentava il «trasloco forzato» dei voli da Linate.

Ancora più sbalorditiva è stata l’avversione per l’autostrada del Sole: la mitica A1 tra Milano e Napoli. Il simbolo del miracolo italiano. Costruita in soli otto anni, fu inaugurata nel 1964. L’Unità scriveva: «È evidente l’impegno di spremere l’economia nazionale nella direzione di una motorizzazione individuale forzata… dimenticando che mancano le strade normali in città e nel resto del Paese».

Mose, Ponte e l’arte del No: le grandi occasioni mancate

Audace anche la campagna per fermare il Mose, il sistema di paratie mobili che ha salvato Venezia da funeste inondazioni. Massimo Cacciari, poi coscienza critica piddina, allora guidava la città. L’irruento filosofo ne era certo: sarebbe uno sperpero di soldi e un disastro per l’ecosistema. Dunque, vaticinò: «Il giorno che inaugureranno il Mose, scoprirò una lapide dove si leggerà: “Queste opere sono state realizzate contro la volontà del sindaco di Venezia”». Ma l’impegnativa lastra marmorea, per sua fortuna, non verrà mai commissionata.

E il ponte? Da anni, comitati e sinistra ripetono: come osano progettare quel mostro di acciaio se ci vogliono ancora cinque ore e trentasei minuti di treno per fare i 205 chilometri della Siracusa-Palermo? E vogliamo parlare delle malridotte autostrade? O delle estenuanti liste d’attesa negli ospedali? Nella vana speranza di risolvere l’atavico, la Sicilia resti intanto ben separata dal continente. D’altronde, il Ponte è «un’allucinazione mentale», giurava anni fa il pirotecnico Grillo. Mentre era dell’ex premier Giuseppi l’alternativa più fantasiosa: «Meglio un tunnel sottomarino». Ma anche l’ex ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, rivide con estro lo storico progetto: «E se facessimo una ciclabile pure sullo stretto di Messina?».

L’eccezione Cracolici: “È solo una strada”

In questa tempesta di supercazzole, pare dunque rivoluzionario il buon senso di Antonello Cracolici, il «Dalemino» di Sicilia: storico acchiappavoti Dem, sei legislature da consigliere regionale, presidente della commissione Antimafia, aspirante segretario isolano. Mentre il suo partito lancia anatemi, lui s’avventura nel lapalissiano: «Alla fine, parliamo di una strada. E una strada non è di destra né di sinistra». Già, ma come si chiarisce l’ovvio alla riottosa Elly? A lei piace ancora il ferribbotte. Il ponte, invece, è «arrogante».

Quasi peggio della tv a colori.

Autore
Panorama

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