Il ponte che spalancò agli Alleati le porte del Terzo Reich

  • Postato il 5 marzo 2025
  • Di Agi.it
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Il ponte che spalancò agli Alleati le porte del Terzo Reich

AGI - L'ordine di Adolf Hitler di distruggere tutti i ponti che attraversavano il fiume Reno era implicitamente un'ammissione che l'esercito tedesco non era in grado di fermare l'avanzata degli Alleati. Il fallimento della controffensiva delle Ardenne, che lui stesso aveva ideato e i suoi generali avevano avversato perché irrealizzabile, era stato il colpo di grazia alla tenuta e alla combattività della Wehrmacht, fortemente penalizzata in uomini e mezzi e già in ritirata sul fronte orientale sotto la pressione dell'Armata Rossa.  

Il 1 marzo 1945 il generale Dwight Eisenhower aveva dato il via all'Operazione Lumberjack, che rientrava nel piano strategico di annientamento delle divisioni tedesche sul lato occidentale del fiume Reno. L'Heersgruppe B era agli ordini del feldmaresciallo Walter Model che non a caso era stato definito “il pompiere di Hitler” poiché abile a risolvere situazioni estremamente complicate o disperate. Ma stavolta i suoi ranghi ampiamente incompleti e la mancanza di riserve, la totale superiorità aerea e lo strapotere in mezzi corazzati e artiglieria degli angloamericani, rendevano la sua una missione impossibile.  

 

La manovra a tenaglia di Eisenhower per annientare la Wehrmacht

Tre corpi d'armata agli ordini di Bernard Law Montgomery, Omar Bradley e Jacob Devers premevano su tutto il fronte in una manovra a tenaglia, quando il 7 marzo Hitler diramò l'ordine di far saltare tutti i ponti stradali e ferroviari. La confusione nelle linee tedesche in ripiegamento era grande, poiché si doveva impedire nei limiti del possibile che si creassero sacche, lasciando quindi aperta una via di scampo ai soldati. In quella settimana sui 47 esistenti solo tre ponti erano ancora in piedi e l'ultimo a essere fatto saltare dai genieri tedeschi era stato quello di Colonia, bloccando così la 3ª divisione corazzata statunitense.

Il ponte di Remagen era uno dei tre e rappresentava da un lato la via di ritirata di 75.000 soldati a rischio di imbottigliamento, dall'altro una porta aperta sul Reich. La struttura portava il nome del generale Erich Ludendorff, eroe della prima guerra mondiale e sodale di Hitler nel fallito putsch di Monaco del 1923. I primi lavori di costruzione erano stati effettuati sfruttando il lavoro dei prigionieri di guerra russi ed erano stati completati nel 1919. Adesso gli esploratori delle avanguardie della 1ª armata americana del generale Courtney Hodges se lo ritrovavano maestoso e intatto davanti agli occhi: catturarlo significava ricongiungersi alla 3ª armata del generale George Patton e poter riversare l'esercito alleato nel cuore della Germania attraverso le due linee ferroviarie che già i tedeschi utilizzavano per il transito rotabile e quelle pedonali.

 

Scarse forze a presidio e grande confusioni nei comandi tedeschi

Il Ponte Ludendorff era difeso da torri di guardia e piazzole di tiro, e anche se le forze a presidio erano scarse (all'incirca una compagnia) se ben assistite avrebbero potuto sbarrare il passo, e in ogni momento far saltare i piloni minati. Nel tunnel, inoltre, avevano trovato ricovero numerosi civili. La presa del ponte avrebbe cambiato l'obiettivo dell'Operazione Lumberjack, creando una punta di lancia per penetrare in profondità nel Terzo Reich, invece di distruggerne l'esercito residuale, e isolando la 15ª armata del generale Gustav von Zangen dalla 5ª corazzata di Hasso von Manteuffel.  

Gli ordini ai reparti tedeschi erano spesso contraddittori, perché o si sovrapponevano le competenze sulle unità a causa della fluidità sul campo di battaglia, oppure quelli dei generali non erano in linea con quelli di Hitler. Per lo stesso ponte, non era chiaro se il comandante fosse il responsabile operativo capitano Willi Bratge oppure quello del genio Karl Friesenhahn, e per di più le batterie (cannoni e mitragliere dell'antiaerea) erano nelle competenze della Luftwaffe e le milizie popolari (Volkssturm) alle dipendenze del partito nazista.

A risolvere momentaneamente la situazione intervenne il generale Zanger ordinando un contrattacco per bloccare il 3° corpo d'armata americano o per lo meno di alleggerirne la pressione guadagnando tempo per una ritirata e quindi demandando la responsabilità del ponte al generale Otto Hitzfeld che inviò il maggiore Johannes Scheller per assumere il comando: questi, dopo un avventuroso viaggio notturno, si presentò il mattino del 7 marzo avendo già perso l'uomo che aveva la radio di collegamento.

 

Le strutture resistono alla dinamite e il Führer fa bombardare con i missili V2

Due ore dopo, erano quasi le 13.00, gli americani fecero la scoperta che il ponte era intatto, e allora attaccarono col supporto di unità belghe. I tedeschi, che attraverso quella via avevano evacuato fin allora circa 8.000 soldati, azionarono i detonatori e due forti esplosioni scossero l'aria. Ma, dissolto il fumo, la sagoma del Ludendorff riapparve come nulla fosse: o gli esplosivi forniti ai genieri erano di scarsa qualità, e questo non era una novità in quel periodo, oppure il quantitativo pervenuto non era chiaramente sufficiente a far saltare in aria il ponte che adesso diventava una chiave di volta per il prosieguo della guerra.

I tedeschi tentarono ancora una volta di distruggere la struttura con la dinamite ma stavolta non ci fu alcuna esplosione, probabilmente per la rottura di un cavo. Appreso che Remagen aveva spalancato la via del Reich, Hitler ordinò di bombardare il ponte dal cielo, dirottando su di esso i missili V2 solitamente impiegati contro l'Inghilterra. E in effetti poco meno di una dozzina di ordigni furono indirizzati contro il Ludendorff, obiettivo di attacchi aerei (nonostante il forte presidio di artiglieria e di palloni frenanti) e persino di unità di sommozzatori, ma ormai era tardi e gli americani erano riusciti a travasare uomini e mezzi nella testa di ponte.

 

Le fucilazioni, il crollo improvviso e la popolarità con un film del 1969 girato in Cecoslovacchia

Poi, all'improvviso, il 17 marzo il ponte collassò, rivelando l'inutilità dei lavori di consolidamento dei genieri americani, proprio mentre una colonna stava raggiungendo l'altra sponda, con decine di morti e feriti. La conquista del ponte era costata un migliaio di vittime e aveva portato alla cattura di circa 20.000 soldati tedeschi: l'importanza strategica di quei dieci giorni in cui era rimasto in piedi, era stata enorme, anche se non decisiva per le sorti della guerra sul fronte occidentale che comunque abbreviò con risparmio di vite umane. Per lo smacco subìto Hitler defenestrò il feldmaresciallo Gerd von Rundstedt (e non era la prima volta, considerate le continue tensioni tra i due) e lo sostituì con Albert Kesselring.

Alcuni ufficiali di rango inferiore presenti a Remagen vennero fucilati per alto tradimento. Nel dopoguerra il ponte di Remagen non sarà ricostruito, perché ritenuto un investimento antieconomico, mentre due torri sono rimaste a testimonianza della memoria grazie anche all'apertura di un museo. Il film realizzato nel 1969 venne girato in Cecoslovacchia, dove esisteva una struttura simile a quella del Ludendorff, rendendo quindi popolarissima la storia degli eventi di marzo 1945.

 

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Autore
Agi.it

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