Il piano degli Usa per isolare la Cina

  • Postato il 17 aprile 2025
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Il piano degli Usa per isolare la Cina

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Gli Usa all’Europa: «O con noi o con la Cina». Xi cerca partner nel sudest asiatico . Fitch taglia le stime di crescita mondiale


Usare la minaccia dei dazi contro i propri partner commerciali per indurli a isolare la Cina. È questa la strategia di Donald Trump secondo un’esclusiva di ieri del Wall Street Journal che riporta fonti interne all’amministrazione americana. Il presidente americano si prepara a utilizzare i negoziati con oltre 70 stati per chiedere loro di vietare alla Cina di spedire merci attraverso i loro territori, impedire alle aziende cinesi di insediarsi in quei paesi per eludere i dazi statunitensi e costringerli a non assorbire i beni industriali cinesi a basso costo nelle loro economie. In cambio Trump è disposto a riduzioni delle barriere commerciali e tariffarie imposte nei giorni scorsi. L’obiettivo è chiaro: costringere Xi Jinping a sedersi al tavolo delle trattative con un potere ridotto in termini di scambi commerciali con altre economie.

Uno degli ideatori di questa strategia – che mira anche all’espulsione delle azioni cinesi dalle borse statunitensi – è il segretario al Tesoro Scott Bessent. Dal canto suo, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, avverte che un accordo con la Cina non è imminente. “La palla è nel campo della Cina”, assicura Leavitt citando una dichiarazione di Trump: “La Cina deve fare un accordo con noi. Non siamo noi a doverlo fare con loro. La Cina vuole quello che abbiamo noi… il consumatore americano”. Si tratta di capire, adesso, quanti paesi partner degli Usa hanno già ricevuto la richiesta di rompere i legami con la Cina e, soprattutto, quanti saranno disposti ad accettare questa prospettiva. Il segretario al Tesoro Bessent avrebbe già stilato un elenco di stati che potrebbero presto trovare l’accordo con gli Stati Uniti: tra questi ci sono Giappone, Regno Unito, Australia, Corea del Sud e India.

La partita è aperta sul fronte europeo. Dopo il fallimento della missione a Washington del commissario Ue per il Commercio, Maros Sefcovic, cresce la curiosità nei confronti dell’incontro di oggi di Donald Trump con Giorgia Meloni. La premier italiana riceverà la richiesta diretta di approfondire la separazione dalla Cina in cambio di una riduzione dei dazi? E, soprattutto, come reagirà ciascun paese europeo, con i suoi specifici problemi, a una simile pressione? In Germania, per esempio, l’export verso Pechino frena dal 2022, mentre cresce la dipendenza dalle importazioni cinesi. Il calo delle vendite è conseguenza della crisi dell’auto tedesca in Cina, calata di circa un terzo in pochi anni. Nelle metropoli cinesi i modelli elettrici indigeni pareggiano i suv di alta gamma tedeschi. Viceversa, gli acquisti tedeschi dalla Cina sono cresciuti negli ultimi anni del 40%.

Per far fronte alla strategia di isolamento adottata dalla Casa Bianca, continua intanto la missione del presidente cinese nel sudest asiatico. Obiettivo: rafforzare le partnership esistenti con il Dragone. Proprio ieri Xi Jinping ha sollecitato “la firma il prima possibile del protocollo di aggiornamento dell’area di libero scambio tra la Cina e l’Asean”, l’associazione delle nazioni del Sud-est asiatico che comprende 10 paesi: Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Birmania, Laos e Cambogia. L’intesa vuole cementare i legami commerciali bilaterali che hanno raggiunto nel 2024 volumi per 980 miliardi di dollari.

Non a caso, nell’incontro con il premier malese Anwar Ibrahim a Kuala Lumpur, Xi ha chiesto di “resistere al disaccoppiamento e alla rottura delle catene di fornitura”, ai “piccoli cortili con alte mura” e “ai dazi eccessivi” scegliendo “apertura, inclusività, solidarietà e cooperazione” contro “la legge della giungla”. Parlando alla Cctv, la Televisione centrale cinese controllata dal governo di Pechino, Xi sottolinea l’importanza dell’unità nel preservare il futuro comune della “famiglia asiatica”. È il tentativo di coltivare una sfera di influenza specifica nell’area dell’Indo-Pacifico. Intanto, i dati dell’Ufficio nazionale di statistica di Pechino, riportati dall’agenzia ufficiale cinese Xinhua, assicurano che, nel primo trimestre di quest’anno, l’economia cinese è cresciuta del 5,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a fronte di previsioni limitate al 5,1-5,2%.

Ma il segno positivo rischia di essere un fuoco di paglia. Proprio ieri, Fitch Ratings ha tagliato le stime di crescita del pil mondiale dello 0,4% sotto quota 2% alla luce dell’escalation delle tensioni commerciali, con una riduzione rispetto a marzo delle stime di crescita sia degli Usa che della Cina pari allo 0,5%. Fitch prevede che la crescita annuale degli Stati Uniti rimanga positiva, attestandosi al 1,2% per il 2025, ma che rallenti drasticamente durante l’anno, scendendo a solo lo 0,4% annuo nel quarto trimestre del 2025. La crescita della Cina dovrebbe scendere sotto il 4% sia quest’anno che l’anno prossimo.

Per quanto riguarda l’Eurozona, la crescita dovrebbe rimanere bloccata al di sotto dell’1%. In questo quadro negativo, Fitch ha abbassato di 0,1 punti la stima sulla crescita dell’Italia che nel 2025 dovrebbe attestarsi a un modesto +0,3%. Analogo taglio anche per il prossimo anno, ma con un Pil stimato a +0,6%. La crescita del nostro paese è fra le più basse fra le economie avanzate a eccezione della Germania, stimata ancora in recessione, con -0,1%, ma con un rimbalzo atteso nel 2026 a + 1,1%. Per l’Italia si prevede poi una inflazione in leggero aumento nel biennio (+1,7% quest’anno, +1,8% nel 2026) e un calo della disoccupazione rispettivamente al 6,3 e 6,2%. Infine, come per il resto dell’Eurozona, l’agenzia stima un livello di tassi all’1,50% nel biennio, pari a 4 nuovi tagli da 25 punti base da parte della Banca centrale europea.

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