Il pentito Liperoti: «Nelle centrali a biomasse del Crotonese finiva di tutto, anche spazzatura»

  • Postato il 26 giugno 2025
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Il pentito Liperoti: «Nelle centrali a biomasse del Crotonese finiva di tutto, anche spazzatura»

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Tentacoli della ‘ndrangheta del Crotonese sull’affaire biomasse, il pentito Liperoti spiega il sistema: «Ecco perché le turbine si rompevano»


CROTONE – «Nelle centrali a biomasse finiva di tutto, mica soltanto il legno vergine. Insieme al cippato venivano conferiti sabbia, palme e foglie di ulivo, cioè residui vegetali non consentiti, ma anche copertoni tritati e pietre. Perfino spazzatura». Parola del pentito Giuseppe Liperoti, ex esponente della cosca Grande Aracri di Cutro. Il collaboratore di giustizia è stato sentito davanti al Tribunale penale di Crotone nel corso del processo scaturito dall’inchiesta che nel 2022 portò all’operazione Black Wood, con cui sarebbe stata fatta luce sui tentacoli della ‘ndrangheta allungatisi sull’affaire delle biomasse. «Tutti dovevano pagare. Pagare noi e alle altre famiglie. Una cippatrice vale 400mila euro. Ma l’impresa non può girare senza pagare, sennò alla cippatrice danno fuoco».

 Il pentito lo ha precisato subito. Lui parla «per conoscenza diretta». Sia perché era pienamente inserito nelle dinamiche della cosca, essendo suo suocero Antonio Grande Aracri, fratello del boss ergastolano Nicolino, e quindi abitava nel bunker di famiglia nella località Scarazze. Sia perché ha assistito personalmente alle operazioni, eseguite proprio in un piazzale a Scarazze, con cui il cippato veniva mischiato a schifezze varie. Chissà che aria respiriamo, se il cippato alterato finisce nelle turbine. In particolare, alla centrale di Cutro, già di proprietà del gruppo Marcegaglia e poi ceduta alla Serravalle Energy, impresa ritenuta contigua alla cosca Ferrazzo di Mesoraca e al centro del processo, «le turbine spesso si rompevano perché nella centrale finiva di tutto. I costi per ripararle erano esorbitanti».

SISTEMA

Liperoti, confermando quanto già dichiarato durante le indagini preliminari, al procuratore Domenico Guarascio ha spiegato un sistema che conosceva bene anche perché suo cognato Salvatore Grande Aracri, titolare della Gs Legnami, «collaborava» con l’impresa boschiva Spadafora di San Giovanni in Fiore. Liperoti conosceva Pasquale Spadafora, che «frequentava Scarazze». Rispondendo alle domande del pm, ma anche a quelle degli avvocati Valerio Murgano, Pietro Pitari e Gregorio Viscomi, il collaboratore di giustizia ha spiegato come funzionava il “sistema”. «Per lavorare nei boschi Spadafora doveva dare un contributo alle “famiglie” che comandano. In Sila l’accordo era con la cosca Ferrazzo, nel Cirotano con i Farao, a Cutro con i Grande Aracri, a Isola con gli Arena. Il rapporto con mio cognato gli serviva per non essere sottoposto a estorsioni dalle altre famiglie. Si appoggiava soprattutto a Cutro perché la nostra era la famiglia dominante».

Addirittura, alcuni tagli nei boschi a Cutro, per esempio nelle località Rosito e S. Anna, sarebbero stati eseguiti «senza contratti». Perché «mio cognato aveva le amicizie giuste per evitare i controlli».

TRASPORTI

L’impresa Spadafora si occupava sia di disboscamento che di trasporti del cippato. Un mercato, quello dei trasporti, controllato dalle cosche. «Tutti gli autotrasportatori dovevano pagare una quota alle famiglie mafiose che controllavano i territori. Lo aveva stabilito il boss Nicolino Grande Aracri. Pagavano direttamente ai Ferrazzo che poi redistribuivano alle altre famiglie». tentacoli via terra e via mare. «Al porto di Crotone potevano accedere solo determinati autotrasportatori e la scelta viene stabilita in anticipo con il responsabile dei servizi portuali». Questo valeva sia per la centrale a biomasse di Cutro che per quelle di Crotone e Strongoli. Sullo sfondo, rispunta il porto delle nebbie di Crotone.

MISCELA

Il cippato che veniva portato nelle centrali del territorio, specialmente quella di Cutro, non era legno vergine. Addirittura una volta Liperoti ha notato l’impresa Spadafora caricare spazzatura su un piazzale nella località Fratelli Bandiera. Rispondendo alle domande dell’avvocato Murgano, il pentito ha precisato di non aver assistito direttamente al conferimento della spazzatura in centrale, nel senso che non sa se poi quel carico di spazzatura fu effettivamente portato a Cutro. Ma tutto il resto lo ha visto. Anche perché questa miscela di biomasse a materiali inidonei al conferimento in centrale veniva fatta sotto casa sua. Come venivano elusi i controlli presso gli impianti? «Si esaminavano campioni di legno vergine, presi dalla cima del carico». E poi «si gonfiava il materiale con segatura, gomme e pietre».

TENTACOLI

Un “sistema”, sostiene Liperoti, che andava avanti sin da quando la proprietà era del gruppo Marcegaglia. Il pentito, confermando quanto già dichiarato, ha raccontato di essersi presentato, a suo tempo, a uno degli ad del Gruppo come esponente dei Grande Aracri per imporre l’appalto all’impresa di famiglia. «Cambiano i personaggi ma il gioco è sempre quello. Anzi, Serravalle era vicina ai Ferrazzo e quindi già sapeva come funzionava. A un certo punto per non avere problemi la ditta di mio cognato non fece più trasporti dal porto. Ma il boss di Mesoraca, Mario Donato Ferrazzo, ci disse di stare tranquilli. I soldi ci arrivavano comunque».

Sempre secondo Liperoti, Spadafora non si trovava nelle condizioni di vittima sottoposta a estorsioni. «Aveva dei vantaggi. Perché grazie all’accordo con noi nessuno lo toccava. Certo, per lavorare nei boschi doveva pagarci. Ma certe volte lui portava i materiali a Scarazze, Gs faceva il trasporto in centrale e così lui non fatturava. Quasi quasi pagavamo noi la mazzetta. Più che vittima era carnefice. Ma lui frequentava Scarazze. L’impressione che avevo era più quella di un nostro associato che di una vittima».

LEGGI ANCHE: Affare biomasse, la ‘ndrangheta disboscava «in maniera seriale» la Sila – Il Quotidiano del Sud

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