Il pensiero di Augusto Del Noce a 35 anni dalla scomparsa. Scrive Pedrizzi

  • Postato il 19 novembre 2024
  • Politica
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L’occasione per ricordare i 35 anni dalla scomparsa del grande filosofo Augusto Del Noce quest’anno ce lo offre un saggio, che vede la luce per i tipi di Cantagalli, di Luciano Lanna Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce, che è in libreria da qualche giorno con un inedito del pensatore cattolico ed una prefazione di Giacomo Marramao.

Nello stesso sottotitolo è messa in evidenza non solo il nocciolo di tutta la sua opera (il suo pensiero inattuale) ma anche l’aspetto principale del suo carattere: “Andare controcorrente”.

Tanti, dopo la sua morte hanno messo in evidenza questo aspetto del suo carattere.

Augusto Del Noce, come è ormai riconosciuto da tutti dopo la sua scomparsa, si era sempre mantenuto al di fuori di ogni tipo di lobby. Aveva, perciò, dovuto subire per quasi tutta la sua vita un vero e proprio ostracismo, che aveva finito per compromettere anche la sua carriera universitaria.

Del resto egli lo aveva messo sempre in conto.

In effetti quel suo andare controcorrente risaliva a molto lontano, fin da quegli anni Venti che lo videro studente nella Torino laicista del liceo Gioberti, nel quale si erano formati Gobetti e, successivamente, la generazione di Bobbio e dello stesso Del Noce.

Ma di quella Torino, della Torino di un Leon Ginzburg o di un Ludovico Geymonat o di un Norberto Bobbio (e in certa misura di un Cesare Pavese), della Torino, insomma, della linea Gobetti-Bobbio, che riviveva con spirito illuminista la cultura idealista, Del Noce, fu, per così dire, un eretico. (cfr. il Cap. 20 del mio libro: “I proscritti. Pensatori alla sfida della modernità”, edizioni Pantheon, 2005.)

L’attività di Del Noce è costituita, perciò, da un continuo confronto‑scontro con i fondamentali filoni del laicismo razionalistico contemporaneo che si incarnavano, proprio a Torino, rispettivamente in Bobbio, Geymonat e Balbo, nei quali coglieva il rifiuto del cristianesimo e della dimensione religiosa della vita.

Bisognerà, perciò, aspettare soltanto gli anni che vanno dal 1957 al 1964 (anno in cui dà alle stampe “Il problema dell’ateismo”) perché il Nostro inizi ad essere, un punto di riferimento morale e culturale per alcuni settori cattolici e per molti giovani, che fin da allora si opponevano al cattolicesimo democratico, alla demonizzazione del passato, alla secolarizzazione della società che già si intravedeva all’orizzonte.

In quel periodo, durante il quale non esitò a criticare il degasperismo per quel che aveva rappresentato di minimalista e di rinunciatario all’interno del mondo cattolico, per la prima volta nel suo saggio “Totalitarismo e filosofia della storia”, del febbraio 1958 capovolgeva la posizione laicista‑azionista secondo la quale l’unico pericolo per la democrazia starebbe nel fascismo e nella cultura controrivoluzionaria cattolica, che nel ventennio operarono inscindibilmente uniti e che perciò dovrebbero essere entrambi demonizzati.

Contemporaneamente collabora al quindicinale di BagetBozzo “L’ordine Civile”, scrivendo articoli nei quali smaschera l’illusorietà degli aperturisti cattolici di poter utilizzare il socialismo per un recupero di religiosità nella vita italiana: attacca il progressismo cattolico che “vorrebbe continuare la resistenza” partendo da premesse filosofiche del Maritian prima maniera e mutando criteri di giudizi di tipo laicista, sostiene un’interpretazione non fascista né antifascista del fascismo, condividendo una tesi cara al De Felice.

In tal modo getta le basi per una dottrina filosofica che in seguito si porrà ed avrà come principale obiettivo “la difesa della tradizione”. E’ la sua una vera e propria sfida al pensiero moderno ed alla modernità in genere, per questo si rivolge allo studio del pensiero cattolico dell’Ottocento ed in occasione del XXVIII Convegno di Gallarate del 1963 sul tema “Il problema del potere politico”, unitamente ad altri studiosi spiritualisti riscopre la figura di Rosmini.

Sempre nel 1963 il filosofo partecipa a San Pellegrino al III Convegno di studi della Democrazia Cristiana con una relazione su “La potenza ideologica del marxismo e la possibilità di successo del comunismo in Italia per via democratica”, nella quale tra l’altro per la prima volta – e si consideri in quale ambito ciò avveniva –  affronta un tema di estrema attualità e quasi profetico su “Le origini della recente mentalità di destra”, chiedendo ai democristiani che lo ascoltano: “Ma è veramente conveniente alla Dc favorire la loro (delle destre, n.d.a.) dissoluzione attraverso una polemica senza quartiere, così teorica come pratica? Consideriamo la funzione storica che hanno esercitato, di contenere voti che altrimenti sarebbero andati al Partito comunista”.

Ma la relazione ha scarso effetto su un ambiente che ormai non pensa altro che a spostare l’asse della politica italiana sempre più a sinistra e sopratutto che sente la grande influenza dei vari Pasquale Saraceno (maritainiano convinto e dirigente dei laureati cattolici, che diventerà l’ispiratore di tutta la politica meridionalista), Nino Andreatta (l’economista che, come ministro del Tesoro, successivamente, decretò la liquidazione del Banco Ambrosiano) e Ardigò di quella Lega democristiana di Scoppola, che poi si impegnerà in occasione della battaglia referendaria del 1974, a votare ed a far votare a favore del divorzio.

Arrivano, infatti, gli anni del primo centro-sinistra organico con Aldo Moro, Del Noce è messo completamente da parte.

La Dc batte ormai a vele spiegate la strada del democraticismo filomodernista, evoluzionista‑teilhardiano, sposando sempre più progetti tecnocratici e secolaristi; non sa, quindi, più che farsene di quel professore scomodo, che va sempre più assumendo il ruolo, come lo definì in “Questitalia” del 1966 W. Dorigo, di “castigamatti del progressismo”.

Ciononostante, la Democrazia Cristiana che cerca un ricompattamento in quel periodo, dopo qualche anno, nel 1967, lo chiama a partecipare al Convegno di Lucca su “L’impegno e i compiti dei cattolici nel tempo nuovo della cristianità”, organizzato sull’onda di un appello lanciato a “tutti i cattolici che operano nella politica e nella cultura” da Vittore a Branca a Sergio Cotta, Gabriele De Rosa, Cornelio Fabbro e Vittorio Veronese.

L’assise mostra subito, però – e non solo per le contestazioni ed i dissensi che arrivano dall’interno e dall’esterno – quale fosse in quel momento la confusione che regnava nel partito di maggioranza relativa: da una parte si schiera Cotta che proprio in quella sede si vanterà di non aver mai votato Dc, Cornelio Fabro, filosofo tomista conservatore e lo stesso Del Noce, dall’altra Gabriele De Rosa, Vittore Branca e tutti i cattolici democratici.

La seconda metà degli anni sessanta vede il professore impegnato in una intensa attività editoriale, assumendo la direzione, insieme ad Elemire Zolla, di una collana, “Documenti di cultura moderna”, delle edizioni Borla di Torino, affidate in quel tempo ad Alfredo Cattabiani, che proveniva dalla piccola Casa Editrice Dell’Albero.

Collaboratori della più nota iniziativa sono, oltre a Cattabiani, Giovanni Cantoni e Mario Marcolla, e i testi che vengono pubblicati sono tutti di altissimo livello ed hanno avuto il merito di far conoscere al pubblico italiano autori che fino ad allora erano stati al bando.

Tra il 1970 ed il 1972 collabora alla rivista “Europa”, staccandosi sempre più dagli ambienti democristiani, tanto che A. Petrucci nel numero 8 del 2 marzo della “Discussione” in un articolo dal titolo “Una cultura restaurata? ” scrive che: “Qualcuno dei relatori autorevoli di nostri importanti convegni, come il Del Noce per esempio, han l’aria di essere passati o pronti a passare nelle file della “restaurazione”.

Come può, dunque, scrivere, Antonio Carioti nella sua recensione al libro di Lanna apparsa su Il Corriere della Sera del 24 ottobre scorso che: “il filosofo cattolico Augusto Del Noce è stato spesso liquidato come un pensatore tradizionalista e antimoderno, una sorta di nostalgico del Medioevo o di nipotino del controrivoluzionario Jospeh de Maistre”? Ma Del Noce era tradizionalista e antimoderno ed aveva rivalutato tutti i pensatori dell’800 fra cui proprio Jospeh de Maistre.

Il 1974 è l’anno del referendum sul divorzio, che segnerà la svolta preparata da decenni da elitari circoli culturali progressisti e laicisti; con la sconfitta del fronte del Sì! si scoprirà un’anima del popolo italiano non più cattolica.

Del Noce come al solito si impegna anche in quella vicenda a fondo e paga in prima persona. Dopo la sconfitta si lamenta: “È la vittoria di una nuova borghesia che ha coinciso con la negazione dello spirito religioso”.

Ma questa sua impostazione dottrinale e la sua scelta di campo non potevano non porlo in aperta rottura ancora una volta con la Dc, che, del resto, con il nuovo corso zaccagniniano lo rifiuta del tutto, così come chiaramente si rileva anche dall’articolo dal titolo “Il Confronto: un errore verbale e politico” che Del Noce pubblicherà il 12 dicembre 1975 su “Idea”, la rivista diretta dal padre domenicano Raimondo Spiazzi.

Del resto anche in campo ecclesiale la confusione e lo sbandamento regnano sovrani, tanto che nel 1976 il Convegno della Chiesa italiana su “Evangelizzazione e promozione umana” viene affidato, dopo la morte dell’ideatore, Mons. Enrico Bartoletti, a Luzzatti ed a padre Sorge, a Scoppola e ad Agnes, ad Ardigò,  Rosati e alla Gaiotti, cioè, in pratica, a quella Lega Democratica che solo due anni prima aveva assunto un atteggiamento di sfida alla gerarchia, schierandosi con il fronte laicista e divorzista.

Anche in questi ambienti Del Noce viene emarginato, come del resto tutti gli altri promotori del referendum, a cominciare da Gabrio Lombardi, che da allora fu del tutto ignorato e dimenticato (salvo che da Giovanni Paolo II che lo nominò nel 1988 Consultore del pontificio Consiglio per la famiglia).

È proprio in questo periodo che il grande filosofo cattolico inizia il suo avvicinamento a Comunione e Liberazione partecipando assiduamente anche alle attività della Fondazione Volpe, presiedendo molti degli “Incontri Romani promossi dall’indimenticabile ingegnere Giovanni Volpe, tenendovi relazioni che sono rimaste memorabili come quella su “La tradizione nello sviluppo culturale” o quella introduttiva del convegno su “L’avvenire della scuola” al quale partecipò anche chi scrive con Marcello Veneziani.

Il resto è storia dei nostri giorni ed è stata con dovizia di particolari ripercorsa passo passo, anche se molti hanno volutamente tralasciato di evidenziare proprio quel suo “andare controcorrente”, per non dover ricordare quelle sue prese di posizione, cortesi e corrette nella forma, ma sempre dure e sferzanti nei contenuti, contro il ruolo negativo giocato dal partito della Democrazia Cristiana nel processo di scristianizzazione e di secolarizzazione della società italiana, contro il dominio culturale ed accademico dei cattolici progressisti, contro tutti quei cristiani che con la loro scelta religiosa hanno portato il cattolicesimo al suicidio.

Autore
Formiche

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