Il PD dà la caccia agli automobilisti
- Postato il 27 settembre 2025
- Di Panorama
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I Verdi italiani sono troppo di sinistra. E lo saranno sempre più». La profezia di Francesco Rutelli, che qualche anno fa fotografò con lucidità una tendenza rivelatasi nefasta, oggi andrebbe aggiornata invertendo l’ordine dei fattori: i sindaci di sinistra sono troppo verdi. Il risultato non cambia per caos, contraddizioni e ipocrisia nelle città italiane amministrate da loro. Ma la tendenza diventa paradossale proprio nei mesi in cui la transizione green mostra la corda, il fanatismo ecologista si stempera nel realismo, i sassi di Angelo Bonelli tornano a fare «pluf» nell’Adige e Nicola Fratoianni vende la Tesla. Mentre perfino Bruxelles rallenta sul Green deal e le flatulenze delle mucche non sono più una priorità per la salvezza del pianeta, ecco i borgomastri del Pd in trincea «senza se e senza ma».
L’Unione europea frena? Roberto Gualtieri accelera, in direzione ostinata e contraria rispetto alle mutate priorità del continente, dell’Italia, dei romani medesimi. Se andare fuori tempo per un chitarrista come lui è imbarazzante, per un sindaco è imperdonabile. Eppure a Roma è ripartita la guerra ideologica alle automobili per raggiungere l’obiettivo degli obiettivi. «Dobbiamo ridurre le emissioni del 66 per cento entro il 2030. Il Piano Clima è importante per noi e fondamentale per i nostri figli». E se lo stesso Piano Clima spiega che il 53 per cento dell’inquinamento arriva dagli edifici, pazienza. Lui tira dritto e ha fatto predisporre un’immensa Zona 30 oltre la già pianificata Ztl del centro storico, con i nuovi limiti pronti a entrare in vigore fra novembre e dicembre.
La guerra alle auto somiglia molto a quella di Matteo Lepore a Bologna e di Beppe Sala a Milano; Gualtieri non vuole fare la figura del Calimero nell’eseguire gli ordini del Nazareno con Elly Schlein nella stanza dei bottoni. Ne va del suo futuro politico. Così ha dato ordine all’assessorato alla Mobilità, guidato da Eugenio Patanè, di desertificate le strade: finora ne sono state individuate 52 da chiudere al traffico in tutti i municipi. Fra Ztl «Fascia Verde» e zone 30 sono state scelte ben 600 vie da coinvolgere nell’intervento invasivo. I cittadini sono furibondi, molti (conteggi spannometrici dicono 200 mila persone) con le restrizioni faticheranno a tornare a casa dopo il lavoro e altri dovranno rottamare addirittura le vetture diesel Euro 5; si parla di mezzo milione di veicoli in totale. L’opposizione ha già battezzato la faccenda «Operazione biga sicura» sottolineandone l’anacronismo. Marco Perissa, deputato di FdI, ha definito Fascia Verde «un provvedimento folle che rischia di mettere letteralmente in ginocchio Roma, l’economia, la mobilità e il diritto di circolare. Un provvedimento iniquo che va a colpire come al solito le fasce più deboli».
Per il Campidoglio questo è l’ultimo dei problemi: il marketing green innanzitutto. Lo stesso Gualtieri spinge il piede sull’acceleratore: «Abbiamo fatto in tre anni quello che di solito si fa in dieci. È stato faticosissimo, soprattutto all’inizio quando tutti dicevano: ma ‘ndo sta il sindaco? Stavo lavorando perché era tutto fuori controllo. Gli alberi non potati, le strade non manutenute, i rifiuti senza impianti». Anche oggi ti aggiri per la città eterna e ti imbatti nel verde pubblico dalla crescita incontrollata, nelle strade con le voragini, nei cassonetti multiodore debordanti di esotici resti, praticamente installazioni pop. Ma conta la narrazione, quindi ecco altre favole green dismesse altrove: la città dei 15 minuti, gli impianti di riscaldamento da cambiare perché energivori (Gualtieri vorrebbe addirittura «abbattere il Maxxi») e altre amenità da campagna elettorale come «il Tevere balneabile», pur sapendo che è una boutade.
Non si è mai troppo «eco» in casa Pd e il sindaco ha un piccolo problema: fra un anno e mezzo a Roma si vota e il suo posto fa gola a Nicola Zingaretti. Gualtieri non è messo benissimo, soprattutto dopo aver dichiarato che «le periferie romane fanno schifo».
Siluri interni in vista, meglio esagerare con la pittura verde e ripetere a nastro le meraviglie della transizione ecologicache neppure Ursula von der Leyen ha più il coraggio di evocare. È tutto un rincorrersi con Milano, passando per Bologna, le altre due roccaforti ecosostenibili d’Italia.
Il pasdaran Matteo Lepore è sempre un passo avanti rispetto a ogni fantastica previsione. Dopo avere costretto i bolognesi ad andare a 30 all’ora fra polemiche, multe, ingorghi e ricorsi, li ha colpiti al cuore con il provvedimento supremo: ha aumentato il costo del trasporto pubblico di oltre il 50 per cento (da 1,50 a 2,30 euro). Prima ha invitato caldamente i suoi concittadini ad abbandonare l’auto privata a favore degli autobus, poi li ha stangati. Sempre nella città delle due torri ha fatto scalpore la decisione della giunta di inserire nel progetto di cohousing «Piano per l’Abitare» una patente ecologica per accedere alle case popolari.
Per entrare in lista è preferibile un requisito: essere «attivisti sociali o ambientali», così da cogliere l’obiettivo di «sperimentare un progetto di convivenza che promuova la prima esperienza di autoconsumo energetico collettivo su un edificio di edilizia sociale». Sembra un bando fatto su misura per centri sociali e attivisti di Ultima Generazione dimenticati dalla cronaca. Mentre Lepore staziona sulle barricate verdi, il governatore Michele De Pascale è meno estremista per un motivo: durante l’alluvione dell’Emilia-Romagna era sindaco di Ravenna e spalava nel fango smoccolando contro la sua ex vicepresidente regionale con delega all’ecologia, che alle vasche di laminazione aveva preferito le ordinanze per proteggere le nutrie. Era Elly Schlein.
Beppe Sala è riassumibile in una parola che identifica il greenwashing milanese: ForestaMi. Al contrario del diktat, praticamente gli alberi stanno scomparendo da Milano, sacrificati nelle piazze tattiche di periferia (la giunta piddo-verde le chiama così), nelle uscite della M4, nei cervellotici rifacimenti delle storiche piazze del centro come Cordusio e San Babila. Secondo l’agenzia Husqvarna la media europea di spazi verdi è del 28 per cento, Milano è al 17. Un modo curioso di perseguire l’ideologia verde da parte di un Attila involontario che – dopo le piste ciclabili che finiscono nel nulla, dopo il divieto di fumare all’aperto a meno di 10 metri dagli altri, dopo la rinuncia allo sfalcio delle aiuole per non turbare la biodiversità – ha come obiettivo lo scacco matto agli automobilisti: far pagare l’ingresso anche nella vasta Area B, così da penalizzare definitivamente quel milione di persone che ogni giorno rende Milano la locomotiva del Paese. Il blitz potrebbe non riuscire perché le ultime inchieste giudiziarie hanno cambiato lo slogan sullo sfondo: da ForestaMi ad ArrestaMi.
Se i grandi fanno i totem fuori tempo massimo, i piccoli inseguono con la fantasia. Come dimenticare il programma di Alleanza Verdi Sinistra per l’Europarlamento? Nel quinto capitolo, denominato l’Italia libera, si propone di sensibilizzare i cittadini all’utilizzo «dei mattoni di canapa nel settore edile, come alleato per la diminuzione delle emissioni di carbonio e la lotta contro i cambiamenti climatici». Con ciò che resta si può sempre farsi uno spinello. Ogni politico (soprattutto di sinistra) ha la sua roccaforte verde da salvaguardare. Nella scorsa legislatura la parlamentare del Movimento 5 stelle, Caterina Licatini, ha avanzato un piano per contrastare il rischio di estinzione per gli insetti impollinatori: il 5 per cento delle terre pubbliche e private (coltivate, incolte, abbandonate non importa) avrebbe dovuto essere utilizzato per la «coltura con essenze erbacee, arbustive e arboree mellifere», per sostenere le api.
La malattia del verde di facciata non è solo italiana. A Londra, il sindaco Sadiq Khan sogna di ripristinare le acque paludose del Tamigi oltre Camden per riproporre l’antica biodiversità. Il top arriva dalla Francia macroniana. A Strasburgo, la sindaca ecologista Jean Barseghian ha deciso di far spegnere le luci della cattedrale in nome della «politica di sobrietà energetica». A Lione, il primo cittadino Grégory Doucet voleva far abolire il leggendario Tour de France perché «machista e inquinante». La palma d’oro va ad Anne Hidalgo, lady Parigi. Per le Olimpiadi del 2024 voleva rendere balneabile la Senna, missione fallita fra i lazzi. Ci ha riprovato l’estate scorsa, riuscendo ad affascinare il mondo solo per 24 ore. Il giorno dopo è piovuto e sulle tre piccole spiagge scelte per il test si è alzata la bandiera rossa. I test sulla qualità dell’acqua avevano dato responso negativo. Non si tuffavano più neppure le pantegane.