Il “partito pro Cina” è spaccato. Gesuiti americani contro Parolin
- Postato il 3 maggio 2025
- Di Panorama
- 1 Visualizzazioni


Si intensifica lo scontro tra Stati Uniti e Cina in vista del prossimo conclave. Secondo Vatican News, tra gli argomenti affrontati ieri dai cardinali durante le congregazioni generali, c’è stato anche quello delle “Chiese d’Oriente, la loro sofferenza e testimonianza”. Non si può quindi escludere che, nell’occasione, i porporati abbiano affrontato (anche) uno dei lasciti principali del pontificato di Francesco: quello del controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi. Un’intesa il cui principale regista è stato il cardinale Pietro Parolin e che è stata appoggiata anche da vari gruppi diventati particolarmente potenti sotto il pontefice defunto, come la Compagnia di Gesù e la Comunità di Sant’Egidio.
Il punto è che il mondo cattolico filocinese non sembra al momento troppo compatto. Mercoledì, la rivista dei gesuiti americani, America Magazine, ha riportato che, durante le congregazioni, il cardinale Beniamino Stella avrebbe “attaccato” papa Francesco per aver coinvolto eccessivamente i laici nel governo della Chiesa: secondo la testata, molti cardinali avrebbero ritenuto la critica “inquietante” e sarebbero addirittura rimasti “sbalorditi”. Non dimentichiamo d’altronde che Jorge Mario Bergoglio apparteneva alla Compagna di Gesù. E questo contribuisce a spiegare l’irritazione espressa da America Magazine, la quale, pur non menzionando nell’articolo il dossier cinese, ha voluto sottolineare come l’ultraottantenne Stella sia un “sostenitore” di Parolin. Quel Parolin che, assieme ai gesuiti, è stato tra i principali fautori della distensione della Santa Sede nei confronti di Pechino. Ciò lascia quindi intendere che il partito filocinese sia meno coeso di quanto possa apparire.
Tra l’altro, giovedì, la testata statunitense The Pillar ha pubblicato un articolo significativamente intitolato: “Parolin potrebbe non essere il candidato preferito dalla Cina per il conclave”. Se ciò fosse confermato, potrebbero emergere altri nomi. Pensiamo al cardinale Luis Antonio Tagle: assai vicino a Bergoglio e fautore dell’accordo sino-vaticano, ha in passato avuto rapporti con la Compagnia di Gesù. Matteo Zuppi, anche lui favorevole alla distensione con Pechino, gioca a sua volta un’altra partita, per quanto gli storici legami con Sant’Egidio possano finire con il ritorcerglisi contro in sede di conclave.
Insomma, non sembra esserci un blocco filocinese compatto. Non è inoltre escludibile che i porporati pro Pechino si stiano ritrovando in una situazione scomoda. È ormai noto che la Repubblica popolare ha più volte violato l’accordo con la Santa Sede. Così come è noto che, pochi giorni fa, in piena sede apostolica vacante, le autorità cinesi abbiano permesso l’“elezione” di due vescovi ausiliari. Tutto questo, senza trascurare che, negli ultimi anni, Xi Jinping ha sottoposto i cattolici della Repubblica popolare a un processo d’indottrinamento, per non parlare poi dei prelati arrestati.
Se il “partito cinese” è in difficoltà, gli Stati Uniti stanno compiendo le loro mosse. L’altro ieri, Donald Trump ha istituito una commissione per la libertà religiosa. È vero che si tratta di un organo principalmente finalizzato a salvaguardare il Primo emendamento all’interno degli Stati Uniti. Non va tuttavia trascurato che la prima amministrazione Trump criticò l’accordo sino-vaticano proprio in nome della tutela della libertà religiosa. Una posizione, questa, ripresa dall’ambasciatore americano in pectore presso la Santa Sede, Brian Burch, il quale, durante l’audizione al Senato per la ratifica della sua nomina a inizio aprile, ha detto di ritenere importante “che la Santa Sede mantenga un atteggiamento di pressione sul governo cinese in merito alle violazioni dei diritti umani, in particolare alla persecuzione delle minoranze religiose, compresi i cattolici”.
Creando questa nuova commissione, Trump ha quindi lanciato un duplice segnale. Primo: la tempistica non è casuale, visto che l’organo è stato istituito a pochi giorni dall’avvio del conclave. In secondo luogo, Trump ha inserito tra i suoi componenti anche dei cattolici, come l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, il quale è tra i cardinali elettori e a cui lo stesso Trump, pochi giorni fa, aveva dato una sorta di endorsement ufficioso. Non dimentichiamo che Dolan è uno dei porporati più critici dell’accordo tra Cina e Santa Sede. E che, oltre a essere papabile, potrebbe ritagliarsi un ruolo di “regista” all’interno della Sistina.
Ma c’è chi teme le mosse di Trump. “Papa Francesco è stato l’anti Trump. Non politicamente. Ma come visione religiosa e universale”, ha dichiarato, mercoledì, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, sottolineando che il presidente americano sarebbe appoggiato dagli “evangelicali” fissati con la teologia della prosperità. “È un movimento del tutto diverso dal papa di Roma”, ha sentenziato. Riccardi, che si è recentemente lamentato dei giornalisti “che non studiano”, dovrebbe tuttavia sapere che, nel 2024, Trump ha conquistato la maggioranza del voto cattolico (il 15% in più rispetto a Kamala Harris). Potranno non andare a genio a Riccardi, ma i cattolici pro Trump esistono. Così come esiste quella Chiesa statunitense che, in gran parte, è ancora interessata alla difesa dei “valori non negoziabili” e che non fa finta di nulla quando i cattolici vengono perseguitati dal regime comunista cinese. Capiamo che a Riccardi tutto ciò interessi poco. Lui del resto va a cena con Emmanuel Macron: un abortista che ha ricevuto calorosamente Xi Jinping all’Eliseo.