Il nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani e i partiti in Italia, quasi un caso di scuola
- Postato il 9 novembre 2025
- Politica
- Di Blitz
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Il nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani e i partiti in Italia, un caso di scuola
La categoria più screditata del sistema politico italiano, è quellache ci tocca ascoltare ogni sera nei talk show televisivi.
Mi riferisco in particolare al modo in cui è stata commentata la vittoria del nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani.
E accaduto che erano in lizza un vecchio navigante del partito democratico (Cuomo) ed uno (Mamdani) che chiedeva il voto dei diseredati della Città, in nome dei valori socialisti e della propria fede mussulmana. I repubblicani non erano neppure della partita.
I commentatori televisivi ai quali mi riferisco, hanno stabilito che si tratta di una vittoria della “sinistra”, una chiara avvisaglia del declino di Trump, ormai inviso agli americani.
Sarebbe come se a Milano il candidato del PD Giuseppe Sala perdesse il confronto con Ilaria Salis e che la Schlein, invece di dimettersi, scendesse in piazza ad urlare la propria gioia.
Mamdani come Robin Hood

La ricetta magica di Mamdani è quella di prendere ai ricchi per dare ai poveri investendo “risorse statali”, come proponeva la Meloni quando scendeva in piazza.
Il “demagogo” crede di accattivarsi il consenso delle “folle elettorali” promettendo l’impossibile e non capisce che spesso ottiene l’effetto contrario.
Alla prova dei fatti, Mamdani se la dovrà vedere con la Corte Suprema, chiamata a decidere sui ricorsi dei proprietari di case ai quali si vuole imporre affitti calmierati. Ci vorranno pochi mesi per il verdetto. La Costituzione americana si basa sulla tutela dei “piccoli averi” delle classi più o meno abbienti, dalle minacce alla proprietà che provengono dalle classi via via più povere.
Viene così inculcato e rafforzato il senso della proprietà in tutte le classi (perché c’è sempre una classe più povera nella scala sociale), e si stabilisce un “diritto” riconosciuto da tutti e così profondamente sentito da diventare “morale corrente” dell’americano moderno.
Negli USA, chi ammette l’esproprio “proletario” delle abitazioni private, distrugge in radice le basi della civiltà giuridica di quel grande Paese. Non ho dubbi sull’esito di questo contenzioso.
Il boomerang degli affitti calmierati
L’affitto “calmierato” comporterà la perdita di valore degli immobili e dei relativi titoli azionari e quindi uno spostamento degli investimenti in California. I radical chic italiani che hanno comprato la casa a New York per qualche milione, si troveranno con un pugno di mosche. I “fondi” che hanno investito nei titoli immobiliari “sicuri” avranno difficoltà a pagare le pensioni.
Per metterla in caciara, si tira fuori la questione razziale. Non esistono condizioni razziali per la civiltà. Essa può apparire in quasiasi continente e sotto qualsiasi colore di pelle: a Pechino o a Nuova Delhi. Non è la grande razza che fa la civiltà, è la grande civiltà che fa il popolo.
Se fossi Mamdani, farei subito una legge che proibisce il burka sulle strade di New York, per vedere la reazione di mussulmani.
E’ possibile che la vittoria di Mamdani segni le basi di un recupero elettorale di Trump, messo alle corde dalla legge di bilancio federale che riduce la spesa pubblica.
La vicenda newyorkese dimostra che nei moderni dibattiti televisivi, i leader di partito devono trovare lo slogan giusto per le grandi platee che apprendono attraverso le orecchie. Da questa situazione deriva il disprezzo e l’indifferenza verso ogni forma di politica generale; si preferisce cioè prendere in esame il “contingente” senza preoccuparsi di una qualsiasi prospettiva.
Quali che fossero le vedute dei nostri padri, essi almeno prendevano in considerazione i riflessi della loro politica sulle generazioni successive, cercando di mantenersi su un piano generale elevato. Il che appare evidente a chiunque metta a confronto le discussioni che allora riscuotevano l’attenzione popolare con le diatribe tra “tecnici” dei nostri giorni sulle pensioni o sul prezzo della benzina.
Nel nostro piccolo mondo provinciale, le finte diatribe tra la Meloni e la Schlein, i conflitti mondiali, l’inadeguatezza dell’informazione asservita, gli errori dei magistrati, il problema dei poveri e dell’abitazione, la malasanità, il ponte di Messina, il centro in Albania, il mancato arresto di Almasri, tutto ciò è lontano da problemi della gente comune.
L’unica domanda a cui dovrebbero saper rispondere le forze sindacali e politiche italiane è la seguente: perché un paio di stringhe da scarpe in un negozio cinese costa mezzo euro e in un negozio gestito da italiani ne costa tre? E perché ciò si verifica per migliaia di prodotti di consumo? Non tiriamo fuori in costo dell’energia perché i cinesi importano tutto il gas e il petrolio impiegato nelle industrie e nelle case.
Un altro interrogativo: perché il presidente dell’Autority del porto di Canton guadagna come quello che guida il porto di Livorno?
Ve la do io la risposta del Partito unico cinese: “perché quando paga lo Stato bisogna andarci piano, mentre il manager privato che mette a rischio i propri capitali, può arricchirsi senza limiti al pari di Trump o di Musk”.
Con questa logica Xi Jinping vuole mettere in ginocchio l’odiato capitalismo adottando gli stessi metodi dei capitalisti.
Il vero conflitto latente che prima o poi scoppierà in Italia è di natura economica: dove si trovano i mezzi per consentire allo Stato di erogare risorse alla sanità, alla scuola, alla polizia, alla casa, alla Magistratura, alla bocciofila di qualche paese sperduto?
Le ricette che ci hanno lasciato in eredità i vecchi economisti sono essenzialmente due: l’intervento diretto dello Stato nella guida delle aziende (che sta alla base della Costituzione italiana)oppure il libero mercato. Le idee del socialismo reale sono oggi applicate dalla Corea del Nord o da qualche tribù africana. Nel resto del mondo si adottano i principi liberisti. Il che comporta, lo si voglia o no, il rafforzamento delle imprese e lo snellimento delle burocrazie pubbliche, come hanno fatto i cinesi.
Lo Stato può “redistribuire” ai gruppi sociali solamente le risorse tributarie ottenute dall’apparato produttivo. Il sistema liberista sta fallendo in Occidente perché i suoi principi fondativi sono stati ampiamente disapplicati e le classi dirigenti non sono in grado di trovare soluzioni adeguate ai problemi delle società opulente. Come è dimostrato nell’America “democratica” o “repubblicana” che sia.
A seguito del moltiplicarsi delle funzioni burocratiche, le aziende allungano i tempi di decisione e rallentano l’attività produttiva. Quando un’impresa si è “burocratizzata” diviene debole e agevolmente aggredibile. La stessa leadership è a rischio in quanto sono più facili le scalate ostili che avvengono quando vi sono fattori interni di inefficienza effettivamente rimuovibili con maggiori prospettive di guadagno per il capitale. Capitale senza il quale non fai impresa.
La politica di favorire gli interessi dei “controllori”, determina le premesse degli scontri sociali. Retribuire un semplice dirigente regionale, in termini di stipendi e pensioni, al di sopra di un medio imprenditore che rischia il proprio denaro, genera disagio ed è diseducativo.
Ad esempio, il giovane che deve scegliere tra il mestiere sicuro del dipendente statale e quello senza futuro del “ricercatore”, non avrà pratiche alternative; per motivi analoghi non si corrispondono contributi agli alluvionati e non si eseguono le opere di contenimento delle acque dei fiumi.
Questo tipo di conflitto tra gruppi sociali era già scoppiato in Francia mezzo secolo fa.
Nel 1969, nel sud della Francia scoppiò una violenta protesta, guidata da Gérard Nicoud, da parte di commercianti e artigiani che si ritenevano vittime dalla politica governativa voluta dalla Confédération générale du travail (CGT).
Nicoud e le sue truppe attaccarono l’ufficio imposte, imposero lo sciopero fiscale agli iscritti, rapirono ispettori del fisco, e organizzarono un raduno cui parteciparono 40.000 persone: nel 1971 Nicoud vinse le elezioni, la mobilitazione quindi pagava.
Gli agricoltori bloccarono le strade ed il governo cedette. Lo stesso accadde per i camionisti. Gli impiegati delle aziende private, durante gli scioperi chiudevano a chiave i padroni e applicavano gli scioperi selvaggi. Persino la polizia nazionale, considerata garante della legalità, minacciava di far volare il ministro dalla finestra. E ovunque le autorità pubbliche cedevano, sancendo cosi solo atti di forza. La lezione di questo periodo storico è che lo Stato deve perseguire finalitàeconomiche e sociali del “sistema paese” al di sopra degli interessi di singole categorie “chiassose”.
Nell’Italia di oggi lo scontro latente è tra i lavoratori tutelati dai sindacati e i milioni di partite Iva, di piccoli imprenditori, artigiani, professionisti che ritengono di essere i veri protagonisti dell’economia. Queste categorie “dimenticate” vogliono alzare la testa e nel frattempo ricorrono a mezzi di difesa illegali come il “sommerso”.
L’attuale classe guida dell’economia occidentale è formata da“idiot savants”, abili nella tecnica ma del tutto ignari dei problemi dell’economia reale. Gli economisti sono andati fuori strada perché hanno confuso la bellezza, rivestita di calcoli matematici affascinanti, con la verità.
I frequenti errori di previsione sull’andamento dei mercati, sono spesso riconducibili a finanzieri che cercano di gonfiare le proprie tasche ai danni dei risparmiatori. Quando viene abbassato il rating di uno Stato, anche l’uomo della strada ha il sospetto che l’Agenzia abbia agito su commissione.
Il giudizio più attuale su questa categoria di irresponsabili, resta quello del cinese Lao-Tze, uno degli autori più tradotti, più letti e più sorprendenti del mondo, seguito dai cinesi come una Bibbia. Sei secoli prima di Cristo, nell’opera che gli viene attribuita, l’antico filosofo affermava che nulla è così lontano dal saggio quanto l’”intellettuale”, la cui abilità dialettica è la dimostrazione della sua incapacità ad agire: “egli complica a furia di teorizzare anche le cose più semplici, pensa in termini di regolamenti e di leggi, desidera costruire una società che abbia una regolarità geometrica e non si rende conto che in questo modo distrugge la libertà esistente e il desiderio creativo. L’uomo semplice, che conosce per esperienza professionale il piacere e l’efficacia del lavoro concepito in libertà, è meno pericoloso quando è al potere, perché non c’è bisogno di dirgli che la legge va maneggiata con cura e parsimonia”. Questo “uomo semplice” è sempre stato l’imprenditore, l’individuo in carne ed ossa al quale si devono le decisioni che determinano l’andamento di tutta l’economia.
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