Il nuovo Piano d’Azione dell’Europa per l’auto non risolverà i problemi
- Postato il 17 aprile 2025
- Di Panorama
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Negli ultimi anni, l’Europa ha spinto con determinazione verso una transizione energetica che, seppur necessaria, ha rischiato di risultare troppo ambiziosa e scollegata dalla realtà industriale e tecnologica del continente.
Il piano europeo per l’auto si presentava come una visione futuristica, ma priva di un solido ancoraggio alle effettive capacità produttive del mercato europeo. La transizione verso l’auto elettrica, in particolare, ha evidenziato una serie di problematiche non adeguatamente considerate in fase di pianificazione: dalla mancanza di una filiera domestica per la produzione delle batterie, alla dipendenza da materie prime controllate da paesi terzi, fino alla carenza di infrastrutture adeguate per la ricarica.
Per questi motivi l’industria automobilistica europea, nei mesi scorsi, è stata al centro di un dibattito acceso, culminato a inizio marzo con l’adozione da parte dell’Europa di un Piano di Azione per il settore. Dopo la pubblicazione del piano, il dibattito si è spento. Tutto risolto quindi?
Secondo i dati della Commissione europea, nel 2000 si sono prodotte nel mondo 58 milioni di automobili, di cui 18 milioni in Europa, pari al 31% del totale. Nel 2022, la produzione globale è stata di 85 milioni di veicoli, di cui 13 milioni in Europa, pari al 15%. In un mercato cresciuto del 47%, l’Europa ha subito una contrazione del 28% e perso quasi un terzo della propria produzione. Se non è una débâcle industriale, poco ci manca. A deprimere ulteriormente il quadro è il fatto che molti esperti ritengono che la perdita sia ormai strutturale e difficilmente potrà essere recuperata, almeno nel breve o medio termine. Inoltre, i dazi del 25% introdotti dagli Stati Uniti sul settore dell’automobile appesantiranno ulteriormente la situazione per la produzione in Europa.
Colpisce che, mentre nel mondo si stava sviluppando questo scenario, le istituzioni europee abbiano imposto alla nostra industria di impegnare imponenti risorse verso un obiettivo, quello della completa elettrificazione del settore entro il 2035, che già dall’inizio molti, pur riconoscendone lo spirito ideale, ritenevano velleitario nella pratica.
Le politiche europee, che certamente hanno contribuito a peggiorare la situazione e accelerarne l’evoluzione, non sono state però la causa principale della crisi, che risiede nella capacità dei produttori asiatici, soprattutto cinesi, di colmare il divario tecnologico e di competenze con l’Europa e gli Stati Uniti. In Cina, nel 2000, si producevano 2 milioni di automobili; nel 2022, 27 milioni. Inoltre, l’industria dell’auto europea, che ancora gode della supremazia tecnologica nei tradizionali motori a combustione, non è riuscita a trasferire tale vantaggio nel campo della mobilità elettrica, nonostante gli investimenti, e che oggi è in capo alla Cina, né in quello della guida autonoma, dove gli Stati Uniti risultano più avanzati.
Il nuovo Piano d’Azione europeo, rispetto alla visione semplicistica precedente di “auto elettrica a tutti i costi”, riconosce una situazione più complessa e, su alcuni aspetti, compie passi avanti. Riconosce, ad esempio, l’inadeguatezza di alcune imposizioni e rinvia di almeno due anni le sanzioni per quei produttori che non sono ancora riusciti a seguire il percorso di riduzione delle emissioni. Prevede, inoltre, iniziative per rilanciare la sperimentazione in Europa di sistemi a guida autonoma, dando dignità a questo fondamentale sviluppo tecnologico.
Tuttavia, il piano non affronta le questioni strutturali di fondo. Conferma l’obbligo di poter immettere sul mercato, a partire dal 2035, solo auto a emissioni zero, citando tra le opzioni solo elettricità e idrogeno, senza menzionare i biocombustibili di origine non fossile, che pure potrebbero rappresentare una soluzione concreta per almeno parte del problema. Inoltre, non si considera come l’Europa possa realizzare in soli 10 anni adeguate infrastrutture di ricarica per auto elettriche o a idrogeno.
Si mettono a disposizione 1,8 miliardi nei prossimi due anni per la creazione di una filiera europea delle batterie elettriche, proprio quando il “campione” europeo del settore, Northvolt, ha dichiarato bancarotta, bruciando cifre anche maggiori. Senza analisi delle cause di questo fallimento, si rischia di disperdere ulteriori risorse.
Si prevede un ulteriore rilancio degli incentivi economici per l’acquisto di auto elettriche, senza considerare che il divario di costo tra auto elettriche e tradizionali varia tra 5 mila e 10 mila euro a veicolo. Con circa 12 milioni di auto vendute ogni anno in Europa, il livello di incentivi necessario per una politica realmente efficace dovrebbe aggirarsi intorno ai 60 miliardi di euro annui, una cifra fuori dalla portata dell’Unione europea e degli Stati membri.
È difficile pensare che il Piano d’Azione europeo possa risolvere definitivamente la situazione. Probabilmente, nei prossimi anni saranno necessarie ulteriori correzioni per garantire un equilibrio tra sostenibilità ambientale, competitività industriale e indipendenza strategica. Solo un approccio pragmatico e realistico potrà evitare che l’Europa perda il suo ruolo di protagonista nell’industria automobilistica globale e, cosa ancor più cruciale, che perda la propria credibilità nei confronti dei suoi cittadini.