Il nuovo Papa? Servono risposte sul senso della vita
- Postato il 8 maggio 2025
- Di Panorama
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Quale è stato il tratto caratteristico, la cifra del pontificato di papa Francesco? In questi giorni si è rischiato di affogare in una melassa di definizioni tanto banali quanto sbagliate. Si è detto che era un Papa che ha mutato la comunicazione, il modo di comunicare, quando è a tutti noto che ciò ha caratterizzato il papato da Giovanni Paolo I in poi; si è detto che era il Papa della bontà, dimenticando che c’era stato un altro Papa che fu chiamato il Papa buono, si trattava di Giovanni XXIII; si è detto che era il Papa del dialogo interreligioso dimenticandosi, anche qui, che i due Papi precedenti furono i primi a radunare ad Assisi i rappresentati delle varie religioni; si è detto che è stato un Papa che ha combattuto per la pace contro la guerra e anche qui i suoi predecessori hanno fatto lo stesso in modo costante e forte. Certamente questo Papa è stato denotato anche da queste caratteristiche, ma non sono esse ad aver determinato il tratto caratteristico fondamentale.
La cifra teologica di questo Papa è stata fondamentalmente di stampo pastorale, cioè più rivolta ai mezzi necessari per sviluppare e attuare nel mondo gli insegnamenti di Cristo e della Chiesa piuttosto che rivolta a parlare del significato dei misteri cristiani a partire da Dio. È stato un pontificato segnato dell’accentuazione, direi da un’enfatizzazione, degli aspetti sociali, economici e ambientali.
Ma sarebbe ancora superficiale fermarci qui perché al di sotto, e come fondamento di questa cifra, ci sta la sua affermazione fatta poco dopo la sua elezione: «Quanto vorrei una Chiesa povera per i poveri». Papa Bergoglio, gesuita, ha sviluppato la sua formazione e la sua pastorale, prima da sacerdote e poi da vescovo fino a cardinale, in America latina, in Argentina. Quella terra ha dato i natali a un teologo di nome Gustavo Gutiérrez, il vero fondatore della «teologia della liberazione», una teologia che ha posto in primo piano i valori dell’emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano. A Bergoglio è stata attribuita una vicinanza con questa teologia ed è fuori dubbio una certa assonanza, ma sarebbe sbagliato cercarne una assimilazione totale. Bergoglio, semmai, viene da un’altra venatura teologica che è quella che, a partire dal Concilio Vaticano II, si è sviluppata per riportare al centro il tema del «Vangelo della liberazione». Nel 1968, l’assemblea dei vescovi latino-americani (Celam), che si svolse a Medellin in Colombia, coniò l’espressione «opzione preferenziale per i poveri» riferendosi, ovviamente, alla Chiesa. Questo è l’ambito entro il quale si è mosso il pontificato di Francesco. Certamente il pontificato del Papa che ha preso il nome del Santo di Assisi si è mosso dentro la linea di quel patto firmato da alcuni vescovi, soprattutto latino-americani, il 16 novembre del 1965, a pochi giorni dalla fine del Concilio Vaticano II, il «Patto delle catacombe», dove si lanciava una sfida ai «Fratelli nell’Episcopato» a portare avanti una «vita di povertà», una Chiesa «serva e povera» come si era espresso un teologo francese domenicano che si chiama Yves Marie-Joseph Congar nel suo libro Per una Chiesa serva e povera scritto nel 1963. C’è un altro filone della teologia, sempre nato dopo la Conferenza di Medellin in Argentina, che si chiama «la teologia del popolo», dove la Chiesa viene descritta come popolo di Dio, fondata dal teologo Lucio Gera e che ci dice che il popolo non è solo ricettivo e passivo ma è attivo anche nella formulazione della pastorale e della dottrina della Chiesa.
Insomma, i temi della povertà e del popolo sono evidentemente collegati e finiscono per mettere in secondo piano la predicazione sui misteri cristiani nella quale si parla di Dio quasi esclusivamente legandolo alla centralità nella Rivelazione della povertà presente sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.
Non stiamo parlando di questioni che rientrano all’interno della prerogativa papale dell’infallibilità ma che possono essere ampiamente discusse, e l’interrogativo fondamentale che sorge è il seguente: in un mondo che avverte la mancanza, il vuoto del senso della vita, che fatica a trovare un orizzonte di significato all’esistenza perché confuso dal mondo di internet, impaurito dalla pandemia, scoraggiato dalle guerre e dai suoi effetti, può un messaggio prevalentemente sociale offrire a delle persone spaesate, disorientate, impaurite, un senso della vita? Una ricerca di un sociologo della religione, Franco Garelli, ha rilevato che molti giovani hanno aderito al messaggio sociale di papa Francesco ma pochi di loro hanno trasformato questa adesione in un’adesione alla fede. Questo è molto significativo e deve farci riflettere se l’accentuazione dei temi sociali possa essere veicolo di una risposta di senso alla vita in termini religiosi o se, in questo modo, non si riduca la Chiesa ad una delle varie istituzioni che promuovono il progresso umano senza un riferimento al sacro. L’impegno a favore dei poveri non può essere il senso della vita ma, semmai, può essere la fede in Dio il senso che dà la forza per combattere contro la povertà. A nostro modesto avviso su questo problema si gioca un pezzetto del futuro della Chiesa.