Il Mostro: la miniserie Netflix di Sollima scava nell’orrore delle piste dimenticate
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Panorama
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Li chiamavano “compagni di merende“. Così la stampa battezzò Pietro Pacciani e i suoi presunti complici Mario Vanni e Giancarlo Lotti, sospettati di essere i responsabili degli otto duplici omicidi che terrorizzarono Firenze tra il 1968 e il 1985. Quella definizione grottesca era nata da una frase pronunciata da Vanni in tribunale «Io sono stato a fa’ delle merende co’ i’ Pacciani, no?» ed entrò velocemente nell’italiano colloquiale, usata con leggerezza, ma nascondendo dietro a quelle parole una vicenda orribile. Ed è proprio da quell’orrore che nasce Il Mostro, la nuova serie Netflix disponibile dal 22 ottobre 2025 con quattro episodi e diretta da Stefano Sollima, il regista del film Suburra e delle serie Romanzo Criminale e Gomorra.
Un racconto che parte dall’orrore, ma non da Pacciani
Il Mostro non racconta Pacciani, né il processo mediatico che ha segnato decenni della storia criminale italiana. Sollima non parte dal primo omicidio del 21 agosto 1968, quando Barbara Locci (Francesca Olia) e Antonio Lo Bianco (Claudio Vasile) vennero uccisi durante un momento intimo nella loro auto lungo una strada sterrata nei pressi di Signa: sul sedile posteriore c’era un bambino di sei anni, Natalino Mele (Samuel Fantini), figlio di Barbara, unico testimone. Il regista decide invece di iniziare con la notte del 19 giugno 1982, da Paolo Mainardi (Riccardo Ardolino) e Antonella Migliorini (Claudia Perossini) raggiunti da dei colpi di pistola sparati da una figura oscura. Il ragazzo sopravvive e sulla scena arriva il sostituto procuratore Silvia Della Monica (Liliana Bottone) che si rende immediatamente conto che il delitto va attribuito al misterioso serial killer noto soltanto come Il Mostro. E qui Sollima fa una scelta radicale e decide di non raccontare Pacciani e i compagni di merende, ma preferisce concentrarsi sulle inchieste alternative, soprattutto su quella pista sarda che portò a un numero interminabile di processi controversi: segue in particolare le indagini sulla famiglia del marito di Barbara, Stefano Mele (Marco Bullitta), e le loro stranezze, con storie di intrighi, amanti e figli illegittimi.

Una narrazione a mosaico
Strano è anche il montaggio delle scene che possono apparire fuori contesto a chi le guarda, con una narrazione a ritroso, che salta anni e poi li riprende e che però acquisisce maggiore senso con il susseguirsi degli episodi. La ricostruzione rimane accurata, come è tipico nelle opere di Sollima, e recupera i giornali e gli atti giudiziari e processuali dell’epoca, e anche le musiche come Se telefonando di Mina, che fanno da sfondo al vissuto delle persone al centro degli avvenimenti, forse sbilanciando il racconto un po’ troppo a favore di quest’ultimo a discapito delle indagini. La fotografia è poi cupa, fredda, e ricrea l’atmosfera dei casali e delle strade sterrate tra Firenze, Signa e Campi Bisenzio, come fredde sono anche le scene con i corpi delle vittime, cruenti, ma rinunciando al contempo a qualunque aspetto splatter o estremamente violento. Perché la morbosità «rischia di trasformare il dolore in intrattenimento» ha raccontato Sollima, «l’orrore va attraversato, non aggirato».
Dunque, sono quattro episodi con il Mostro che rimane sullo sfondo, e forse è questo un grande limite della serie che è stata presentata come unica e auto conclusiva, lasciando un po’ di amaro in bocca a chi voleva vedere effettivamente Il Mostro o la storia de compagni di merende.