Il mondo in preghiera per Papa Francesco: chi guiderà la chiesa dopo di lui?

  • Postato il 24 febbraio 2025
  • Di Panorama
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Il mondo in preghiera per Papa Francesco: chi guiderà la chiesa dopo di lui?



Il mondo guarda con apprensione alle condizioni di Papa Francesco. Dopo un pontificato che ha segnato una vera e propria rivoluzione all’interno della Chiesa, il Santo Padre

che in questi anni ha incarnato un’idea di rinnovamento, e vicinanza agli ultimi, sta affrontando la prova più difficile: quella della sua malattia.

Dal 2013, Jorge Mario Bergoglio ha impresso una svolta alla Chiesa cattolica, avvicinandola ai temi sociali, riformando la Curia e promuovendo una visione più aperta del ministero petrino. Ma, il peso di questa missione è stato accompagnato da un progressivo indebolimento fisico. L’operazione al colon, i dolori al ginocchio, la necessità della sedia a rotelle e ora l’ aggravarsi della polmonite bilaterale hanno reso evidente la sua vulnerabilità. Più volte, lo stesso Francesco ha parlato della possibilità di dimettersi, convinto che un Papa debba avere la forza per governare.

La Chiesa è pronta a un’altra rinuncia papale? Chi sarà il successore di Papa Francesco? Tutti interrogativi profondi e inevitabili sul futuro della chiesa di cui abbiamo parlato con il vaticanista Fabio Zavattaro.

Se il Papa dovesse peggiorare, quale sarebbe il protocollo del Vaticano per la gestione del governo della Chiesa in sua assenza o impossibilità?

«Finché il Papa è ricoverato al Policlinico Gemelli, non ci sono cambiamenti particolari nella gestione del Vaticano. L’attività ordinaria continua ad essere gestita dai capi dicastero, dal Segretario di Stato e dagli altri organi preposti. Questa è la prassi normale e garantisce la continuità del governo della Chiesa. I cambiamenti possono avvenire nel momento in cui il Papa non fosse più in grado di esercitare il suo ruolo. In tal caso si aprirebbero due possibilità: o una gestione provvisoria in attesa di un miglioramento della salute, oppure la dichiarazione di sede vacante nel caso in cui il Papa non fosse più in grado di svolgere le sue funzioni in modo definitivo. A quel punto, potrebbe subentrare la rinuncia ufficiale, che è un atto volontario. Papa Francesco ha già predisposto un documento di rinuncia nel 2013, subito dopo la sua elezione, prevedendo proprio l’eventualità di una grave impossibilità fisica che lo rendesse incapace di governare la Chiesa. Se ciò dovesse accadere, si attiverebbe un meccanismo ben preciso: tutte le cariche cardinalizie decadrebbero, compresi il Segretario di Stato e i vari responsabili dei dicasteri, mentre il cardinale Camerlengo rimarrebbe l’unica figura istituzionale in grado di amministrare la Chiesa in attesa del conclave. Il suo compito sarebbe quello di gestire l’ordinaria amministrazione e di predisporre tutto il necessario per l’elezione del nuovo Papa.»

Più volte il Papa ha parlato di dimissioni in passato. Nel caso in cui dovesse dimettersi, come si gestirebbe la presenza di un secondo Papa, come accadde con Benedetto XVI?

«Non ci sarebbero problemi particolari, perché Papa Francesco ha già dichiarato che, in caso di dimissioni, assumerebbe il titolo di Vescovo emerito di Roma e si ritirerebbe a San Giovanni in Laterano. Questo lo distinguerebbe ulteriormente dalla figura di Benedetto XVI, che mantenne il titolo di Papa emerito e visse in Vaticano nel monastero Mater Ecclesiae. Francesco, invece, vuole evitare qualsiasi ambiguità e ha chiarito che non intende avere un ruolo attivo nel governo della Chiesa dopo le eventuali dimissioni.»

Quali sono i cardinali più papabili in caso di conclave?

«Ogni volta che si avvicina un conclave, emergono vari nomi, ma la storia ci insegna che è molto difficile prevedere con certezza chi sarà il prossimo Papa. Nel 2005, ad esempio, la maggior parte dei cardinali presenti al conclave erano stati creati da Giovanni Paolo II, ma alla fine venne eletto l’unico cardinale nominato da Paolo VI, cioè Joseph Ratzinger. Questo dimostra che le dinamiche interne sono spesso imprevedibili. Nel conclave del 2013, ad esempio, il nome di Tagle emerse con una certa forza e ottenne anche molti voti. È un cardinale molto giovane rispetto ad altri, ha origini filippine ed è molto vicino a Francesco. Parolin, invece, è il volto della diplomazia vaticana e ha un ruolo chiave nella gestione dei rapporti internazionali, anche se, storicamente, i Segretari di Stato raramente diventano Papi. Tutto è possibile, ma bisogna considerare anche le dinamiche interne del conclave. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, è vicino alla Comunità di Sant’Egidio e ha una visione molto pastorale e sociale della Chiesa, in linea con alcuni aspetti del pontificato di Francesco. Dall’altro lato, ci sono figure più conservatrici, come il cardinale Robert Sarah, originario della Guinea, che è stato Prefetto della Congregazione per il Culto Divino ed è molto apprezzato dall’ala più tradizionalista della Chiesa. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, è invece un cardinale con una grande esperienza teologica ed è stato per anni una figura di mediazione tra diverse correnti. Infine, Jean-Claude Hollerich, cardinale del Lussemburgo. Ma fare previsioni è sempre complesso. In realtà, il criterio di scelta potrebbe seguire una logica geografica. Dopo un Papa dell’America Latina, potrebbe emergere un candidato dall’Asia o dall’Africa, due continenti in cui il cattolicesimo sta crescendo molto.»

Francesco ha nominato molti cardinali con una visione progressista. Secondo lei è più probabile che si continui con la sua linea o potrebbe esserci invece un’inversione di rotta con un pontificato più conservatore?

«Noi tendiamo spesso a classificare i Papi come progressisti o conservatori, ma nella realtà della Chiesa queste distinzioni sono più sfumate. Anche Papa Francesco, che molti consideravano progressista, ha ribadito con forza alcuni aspetti dottrinali tradizionali della Chiesa, come la difesa della vita e la centralità della famiglia. Ciò che è certo è che i prossimi Pontefici continueranno a seguire le linee guida del Concilio Vaticano II. Si potranno avere variazioni nello stile, nei toni e nelle priorità, ma è difficile immaginare un ritorno totale al passato. Anche Benedetto XVI, pur con uno stile diverso, teorico e più raffinato ha portato avanti molte delle aperture avviate dai suoi predecessori.»

Quali sono le principali eredità del pontificato di Francesco che il suo successore dovrà affrontare?

«Le grandi eredità di Francesco possono essere sintetizzate in tre parole: poveri, misericordia e speranza. Ha posto al centro del suo pontificato l’attenzione agli ultimi, richiamandosi al Patto delle Catacombe firmato alla fine del Concilio Vaticano II. Ha insistito sulla misericordia, promuovendo una Chiesa più accogliente, e sulla speranza, incoraggiando il dialogo con il mondo contemporaneo. Poi c’è la dimensione diplomatica. La Santa Sede ha avuto un ruolo attivo nel conflitto in Ucraina e nei rapporti con la Cina. Il prossimo Papa dovrà gestire la continuità di questi dossier, compreso l’accordo con Pechino sulle nomine dei vescovi. Alla fine, la storia ci insegna che ogni Papa porta avanti qualcosa del suo predecessore. Anche Francesco, con tutte le sue peculiarità, ha ripreso temi già cari a Benedetto XVI, come l’attenzione all’ambiente, la difesa dei poveri e il dialogo interreligioso. Il prossimo Papa, chiunque sarà, dovrà fare altrettanto.»

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Autore
Panorama

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