Il legno storto

  • Postato il 20 novembre 2024
  • 0 Copertina
  • Di Il Vostro Giornale
  • 2 Visualizzazioni
Generico novembre 2024

“Il genere umano deve ricordare che la pace non è il dono di Dio alle sue creature; la pace è il dono che ci facciamo gli uni con gli altri.” Sono parole di Elie Wiesel insignito del premio Nobel per la pace nel 1986 quando il Comitato Norvegese per l’assegnazione dei Premi Nobel lo definì il “messaggero per l’umanità”. Nello stesso anno ha inizio l’interminabile guerra civile in Somalia; nel 1999 scoppia il conflitto ceceno (circa 50 mila vittime), nel marzo del 2011 la guerra è in Siria (oltre mezzo milione di morti); il 2014 registra il conflitto in Yemen (quasi 20 mila morti) e in Crimea; non posso elencare gli innumerevoli conflitti che insanguinano l’Africa e non solo, ci basti ricordare le due tragedie più note degli ultimi anni, la prima iniziata il 24 febbraio 2022 quando la Federazione Russa attacca l’Ucraina, la seconda esplosa con i terribili eventi del 7 ottobre 2023, entrambe tuttora in corso con un costo umano insopportabile. Il “dono di Wiesel” non sembra essere oggetto di scambio tra gli uomini, forse l’umanità è destinata a degenerare in un sempre più ampio livello di conflitto globale in nome di quella natura ferina che da Plauto a Hobbes è rappresentata nell’espressione homo homini lupus? Dobbiamo rassegnarci e imparare a convivere in questa condizione belluina? Quali alternative può offrire il coraggio a un pensiero non omologato a ciò che appare come inevitabile? Mi ritornano in mente le parole tragicamente ironiche di John Lennon: “Combattere per la pace è come fare l’amore per la verginità” alle quali mi viene naturale accostare, mi si consenta l’inevitabile rimando filosofico, quanto scrive Emanuele Kant nel 1784 nel suo “Idee di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”: “[…] da un legno storto, come quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente diritto. Solo l’approssimazione a questa idea ci è imposta dalla natura”. Con il grande pensatore tedesco ci troviamo in pieno illuminismo, permeati dall’ottimismo razionalistico e dalla fede cosmopolita, eppure Kant precisa, contro il fanatismo robespierriano, che l’uomo è un “legno storto” e può solo approssimarsi alla rettitudine. La prospettiva irenica che illumina il suo pensiero è pienamente conscia dell’urgenza di una sorta di “diritto internazionale super partes” che possa garantire il suo sogno di “una pace perpetua”.

Se l’ibrido connubio Lennon-Kant ci invita a non ricorrere alla violenza per celebrare la pace, nota che sarebbe interessante comunicare a tutti quelli che la impiegano come espressione del proprio pacifismo, non posso, come esponente delle stortitudini umane, che appellarmi alla funzione mediatrice e pacificatrice dell’ONU che, però, mi sembra essere a dir poco scarsamente efficace ancor più all’interno dei più recenti conflitti. In verità la richiesta dell’Ucraina, del 16 marzo 2022, ha spinto la Corte di giustizia internazionale, diretta espressione dell’ONU, a intimare alla Russia di sospendere la propria azione militare in Ucraina denunciandone la violazione dei principi del diritto internazionale. Allo stesso modo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è espresso con ben quattro risoluzioni nei confronti del conflitto tra Hamas e Israele denunciando le palesi violazioni del diritto internazionale da parte di entrambe anche se, e questo è un problema molto serio, non esiste uno Stato palestinese che possa sedersi e avere voce all’interno dell’ONU. Altra questione rimane il diritto di veto che è appannaggio di soli cinque paesi nel consesso mondiale e che, alla luce dei conflitti tra i cinque, genera una sorta di “veto incrociato” che immobilizza le possibilità di intervento per il Consiglio di Sicurezza che è, di fatto, l’organo rappresentante del potere coercitivo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Senza entrare nei dettagli degli equilibri e degli ingranaggi ONU, non possiamo che constatare l’impotenza di fatto di tale organizzazione, almeno in questi contesti. La domanda si ripropone: come possiamo difendere la pace?

Una delle posizioni classiche è riassumibile nell’espressione latina “si vis pacem, para bellum” che, mi sembra la storia mi sostenga in questa tesi, si presenta come una contraddizione sia etica che pratica, insomma, è una strategia che sicuramente torna a vantaggio dei produttori di armi ma che è stata sempre e comunque foriera di conflitti. La tesi che dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi si sia vissuti in un regime di pace va rivista alla luce dell’incompleto elenco di conflitti che ha aperto queste righe. Insomma: non mi sembra opportuno fondare la pace sul terrore di una guerra, sul potere prevaricante di una forza sull’altra, sull’equilibrio del potere distruttivo, credo sia malato nelle sue radici un sistema che accetta la natura di ogni stato come struttura aggressiva o anche solo come garante di una difesa, la questione va risolta a monte. Potrebbe essere di aiuto un’opera di Erasmo da Rotterdam del 1515, Dulce bellum inexpertis, (dolce la guerra per chi non ne ha mai fatto esperienza diretta), ma sappiamo tutti che le esperienze altrui molto raramente risultano davvero utili, eppure, forse lo studio intelligente della storia potrebbe aiutare. Antica diatriba intorno al magistero della storia, purtroppo molto spesso si è confusa la comprensione di ciò che è accaduto con l’occasione di coltivare rancori e fondare inaccettabili giustificazioni belliche. Può essere una soluzione il cosiddetto “pacifismo assoluto”? Quante volte ho assistito a feroci confronti tra chi si presentava come “utopista ma pacifista sempre e comunque” e chi si dichiarava un “pragmatico” e, pertanto, disposto a vagliare le circostanze, col rischio di sentirsi dare del guerrafondaio. Capisco bene che, per parlare di guerra in senso convenzionale, sia necessario fare riferimento a comunità politiche in conflitto, a stati organizzati che si combattono, ma lo spettacolo dell’aggressività alla quale ho assistito anche solo nei confronti verbali di cui sopra mi ha creato un certo sconforto.

Senza scomodare l’etologia e le ricerche di Lorenz, sappiamo tutti, per esperienza personale, di essere abitati da aggressività; siamo di certo consapevoli che ogni difficoltà può essere interpretata come congiura, che ogni fallimento può divenire padre di una volontà di rivalsa, che ogni torto può trasformarsi in incubatrice di risentimento e che questi sentimenti, forse davvero è della natura dell’animale umano, si traducono in colpevolizzazione dell’altro e in violenza verso questi, ma l’uomo non è solo un “essere naturale”, credo sia soprattutto un “essere culturale”. Certo, è triste dover assistere allo spettacolo dei nostri ragazzi che si danno appuntamento attraverso la rete per dar vita a delle violente serate di sangue senza nemmeno conoscere il “nemico”; oppure registrare come degli adulti, almeno anagraficamente, siano pronti a farsi reciprocamente del male in nome di una squadra di calcio; e ancora, vedersi invasi da violenti verbali nelle trasmissioni televisive, constatare come erudizione e potere mediatico divengano strumenti prevaricanti, che gli eroi di troppi video siano ottusi picchiatori celebrati da innumerevoli like, che i bulli adolescenti siano difesi e compresi nel loro disagio mentre le vittime siano il più delle volte solo commiserate, e potrei proseguire ma credo sia chiaro il senso, insomma, questa orrida quotidianità non lascia grandi speranze. Difficile ipotizzare un uomo nuovo che sia più gandiano e meno belluino, forse diviene indispensabile concepire una radicale rivisitazione della funzione dell’ONU in senso coercitivo, ma ogni organizzazione e ogni legge è amministrata e applicata da un “legno storto” per cui, ancora una volta, ribadisco che la risposta deve essere culturale. Siamo a un bivio e la via dell’ignoranza e dell’arroganza è meno impegnativa di quella della cultura e dell’ascolto, ma questo “legno storto”, ancora lo credo, può imparare a comprendere storture proprie e altrui fino a scoprirne la meravigliosa unicità e chissà che non ne nasca un bosco di inaspettata poesia, sarà bene, però deporre le armi e aprire qualche libro.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

Autore
Il Vostro Giornale

Potrebbero anche piacerti