Il governo federale degli Stati Uniti è entrato in shutdown: cosa significa e cosa succede adesso
- Postato il 1 ottobre 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente in shutdown, per la mancata approvazione della legge di bilancio. Significa un congelamento di parte dell’amministrazione federale, quella considerata non essenziale, il congedo senza stipendio per circa 750mila dipendenti pubblici, interruzioni dei servizi nella sanità e nei trasporti, chiusura di parchi e musei, a partire dall’iconico Washington Monument sul National Mall, l’obelisco simbolo della capitale federale Usa e meta di turisti. E la Fed privata venerdì prossimo dei dati sull’occupazione, cruciali per decidere su un altro taglio dei tassi di interesse. Non è la prima volta che gli Usa affrontano questa situazione: dal 1981 gli shutdown sono stati 14. Questo è il primo dopo quello di 35 giorni a fine 2018 sempre durante la presidenza Trump, il più lungo degli ultimi decenni. Ma segna una rottura rispetto al passato proprio perché la Casa Bianca minaccia piani di riduzione permanente della forza lavoro. L’impatto politico ed economico dipenderà dalla sua durata. Ma l’incertezza e il conflitto istituzionale aumentano la sfiducia dei cittadini nel governo.
Al Senato si prova un altro giro di voti, dopo i veti incrociati di martedì tra repubblicani e democratici per estendere sino al 21 novembre i finanziamenti al governo federale. Ma il primo tentativo è fallito. Le parti sono ferme nelle loro posizioni e si rinfacciano reciprocamente la responsabilità della paralisi, già pensando alle elezioni di Midterm del prossimo anno. “Credevano di poterci sopraffare senza neanche un minimo di consultazione…sediamoci e proviamo a raggiungere un accordo che protegga il popolo americano”, ha commentato il leader dem al Senato Chuck Schumer, ribadendo le richieste del suo partito: estendere i crediti d’imposta per l’Obamacare, annullare i tagli a Medicaid (l’assistenza sanitaria per i meno abbienti) e ai media pubblici, impedire l’uso da parte di Trump di una “pocket rescission” per ridurre ulteriormente gli aiuti esteri.
Il costo totale di queste disposizioni è previsto intorno a 1.000 miliardi di dollari, mentre circa 10 milioni di persone rischiano di perdere l’assistenza sanitaria a causa dei tagli a Medicaid e dei cambiamenti all’Obamacare. Senza l’estensione dei crediti d’imposta sui premi assicurativi, i prezzi delle polizze sanitarie aumenteranno per circa 20 milioni di persone. “Gruppi di interesse della sinistra radicale e membri democratici della sinistra radicale volevano uno scontro con il presidente, e così i democratici del Senato hanno sacrificato il popolo americano per interessi partigiani”, ha replicato il leader dei repubblicani al Senato John Thune. Il suo partito accusa (falsamente) gli avversari di voler estendere la sanità ai migranti irregolari.
I dem in teoria hanno gioco facile nello scaricabarile perché il Grand Old Party controlla Casa Bianca, Camera e Senato, anche se non ha i numeri legali per approvare la manovra. Ma un sondaggio del New York Times/Siena ha rilevato che solo il 27% degli intervistati ritiene che i democratici debbano optare per lo shutdown. Gli elettori del partito dell’Asinello, peraltro, sono spaccati: il 47% è a favore, il 43% contro, mentre il 59% degli indipendenti è contrario. Secondo un sondaggio Marist, inoltre, il 38% degli elettori darebbe la colpa ai repubblicani ma il 27% ai democratici e il 31% a entrambi i partiti. Anche tra i dem al Congresso crescono i dubbi e alcuni dissidenti hanno votato con i repubblicani nel timore che lo shutdown dia più potere a Trump. Il presidente ha infatti evocato “conseguenze irreversibili” e il licenziamento di “molti” dipendenti federali, mentre l’ufficio budget della Casa Bianca ha chiesto piani a tutte le agenzie governative per licenziamenti di massa di dipendenti legati a programmi ritenuti non essenziali. E ha già bloccato 18 miliardi di finanziamenti per progetti infrastrutturali allo stato (democratico) di New York.
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