Il Genji Monogatari, il romanzo più antico del mondo, diventa manga in Italia
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Panorama
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Quando si parla di letteratura che ha attraversato i secoli, pochi titoli possono vantare una longevità e una risonanza culturale pari a quella di Il Genji monogatari dell’“imperatrice della penna” giapponese, Murasaki Shikibu. Composto all’inizio del XI secolo, durante l’epoca Heian, racconta la vita, gli amori e le insidie nella corte imperiale attraverso gli occhi del brillante e seducente principe Hikaru Genji. Una storia che parla di potere, bellezza, desiderio, ma anche della caducità della vita, della solitudine dietro il trono e della complessità dei sentimenti.
In un’Italia in cui il manga è ormai parte integrante della cultura pop, arriva ora la notizia che l’adattamento fumettistico firmato da Waki Yamato — storica mangaka appassionata di cultura classica – sarà tradotto e pubblicato nel nostro Paese. Un’occasione che vale non solo per gli amanti del fumetto ma anche per chi desidera avvicinarsi a uno dei pilastri della letteratura mondiale con un linguaggio contemporaneo.
Il Genji: storia di un principe che incarna la caducità della bellezza
Hikaru Genji, figlio di un imperatore e della consorte di rango inferiore, viene escluso dalla linea di successione e vive una vita sontuosa ma irregolare: ammaliatore, sensibile, appassionato delle arti e della poesia, il “Principe Splendente” si muove in un ambiente dove estetica e cortesia sono tutto, ma dove le ombre della gelosia, della dipartita e dell’inafferrabilità della felicità serpeggiano dietro ogni veranda e nei giardini ricamati del palazzo. Tra amori proibiti, figli bastardi, esili e ritorni, l’opera esplora non solo la seduzione ma anche la fragilità dell’esistenza, e lo fa con una profondità psicologica che non teme la lentezza, la riflessione, la pena sottilissima.
Con dettagli raffinati, Murasaki Shikibu dipinge ambienti — come il palazzo di Rokujo, i giardini del Palazzo di Suma, le residenze a Kyoto — e cuori: quello di Genji che perde la madre, quello di Fujitsubo che seduce e muore nel silenzio, quello della giovane Murasaki che cresce all’ombra di lui. È un mondo governato dal wabi-sabi della bellezza effimera, in cui “una vita come un sogno leggero” non è solo un verso, ma l’eco di ogni pagina.
Waki Yamato e l’arte di rendere classico il contemporaneo
Quando Waki Yamato, autrice che aveva già esplorato gli intrecci del cuore in forma manga nella stagione d’oro dello shōjo, decide di adattare Il Genji, lo fa con rispetto per il testo originale e con una sensibilità visiva che sa parlare anche al lettore moderno. La sua serie Asaki Yume Mishi (o The Tale of Genji: Dreams at Dawn) fu pubblicata in Giappone tra il 1979 e il 1993 e riprende fedelmente la trama di Murasaki, con circa 13 volumi che coprono prima la vita di Genji e poi quella dei suoi discendenti.
Con linee pulite, sguardi intensi e liane poetiche di capelli lunghi, Yamato trasforma la corte Heian in un teatro visivo: le stanze in tatami, i parati svolazzanti, la musica dei koto, l’attesa di un colpo d’occhio o di un respiro contenuto. Ma al tempo stesso non rinuncia a dare voce interiore ai personaggi: una tecnica tipica dello shōjo manga che fonde pensiero e parola, silenzio e gesto. Così l’amore diventa tensione, il desiderio quell’ombra che scivola tra seta e pergamena.
Importante anche il fatto che l’opera, pur essendo radicata in un’epoca distante, mette al centro la psicologia femminile, le condizioni dei personaggi secondari, la fragilità dietro l’apparente perfezione. Non un Genji-eroe invincibile, ma un uomo vulnerabile. Non dame solo accessorie, ma anime.

Perché oggi, in Italia, è il momento giusto per ritrovare il Genji
L’annuncio della traduzione italiana da parte di una casa editrice (in Italia si parla di Edizioni BD/J-POP che avrebbero annunciato l’edizione al Napoli Comicon 2025) Wikipedia fa capire quanto il pubblico nostrano sia pronto a accogliere un classico reinterpretato in forma manga. Perché? Per diversi motivi.
In primo luogo, perché viviamo in un’epoca in cui il confine tra pop e alto si assottiglia: leggere Genji in cartaceo, con tavole illustrate e dinamiche narrative, rende meno ostico un capolavoro di oltre mille anni. In secondo luogo, perché la sensibilità contemporanea – nei confronti delle storie d’amore, della complessità dei sentimenti e delle identità – trova in Genji un riflesso potente. In terzo luogo, perché il manga offre una porta d’ingresso al mondo della letteratura classica giapponese, all’epoca Heian, alla corte, alla poesia, al “bel mondo” che fu e che da allora ha influenzato ogni racconto di bellezza e raffinata malinconia.
Infine, per chi insegue l’Italia della cultura pop, sapere che Yamato-Genji arriva da noi significa avvicinarsi all’esperienza visiva e narrativa di un testo che è al tempo stesso romantico, tragico, sensuale e filosofico: un monocromo in cui ogni petalo caduto suggella un addio.
Che cosa aspettarsi e come approcciarsi
Per chi si avvicina per la prima volta al Genji (in versione manga o classica), conviene tenere a mente alcune chiavi di lettura: la bellezza non è gioia pura, è consapevolezza della perdita; l’amore non è solo possesso, è accettazione dell’impermanenza; il potere non risiede solo nel trono, ma nella capacità di raccontarsi.
Quando Yamato disegna Genji che contempla un fiore d’albero o una luna che sorge, il lettore di oggi può intuire che quel gesto non è semplice eleganza, ma un addio non pronunciato.
E quindi, mentre teniamo in mano il volume italiano di questo manga, possiamo ricordare che la frase che dà il titolo originale all’opera (あさきゆめみし – Asaki yume mishi, “io ho sognato un sogno leggero”) non è solo poesia: è la chiave per capire che questa storia non parla solo del passato del Giappone, ma del nostro desiderio universale di lasciare una traccia, di amare e quindi di perire.