Il dialogo tra la critica d’arte femminista Carla Lonzi e il suo compagno artista Pietro Consagra torna in libreria
- Postato il 18 dicembre 2025
- Arti Visive
- Di Artribune
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Già nella tragedia classica, in particolare in Antigone di Sofocle, troviamo un’analogia con il dialogo fallito tra Carla Lonzi e il suo compagno Pietro Consagra. Tra uomini e donne, tra Creonte e Antigone, c’è uno sbarramento insuperabile: non c’è comprensione reciproca, non ci sono parole di speranza. Antigone ha il suo Paradiso nel “condividere amore”, una ragione per cui è nata. Ma Creonte non capisce e dunque lei deve, alla fine, arrendersi all’incomunicabilità profonda. “Dei tuoi discorsi nulla mi è accetto, né mai possa essermi accetto; e così i miei sono per te naturalmente sgraditi.”

Vai pure, lo scambio tra Lonzi e Consagra
L’andamento dello scambio tra Carla Lonzi e Pietro Consagra, nelle quattro giornate di registrazione di un dialogo continuamente inceppato per l’incomprensione, ha qualcosa di tragico: sembra che Carla Lonzi voglia a tutti i costi scongiurare l’impossibilità di comunicare profondamente con il compagno che dovrà congedare con il “vai pure” che chiude l’esperimento, liberando Consagra dallo sfinimento di una trasformazione impossibile del loro rapporto.
Dopo aver praticato l’autocoscienza relazionale con Carla Accardi e gli amici artisti convocati per Autoritratto, dopo averla praticata e perfezionata con le compagne di Rivolta Femminile (Vai pure viene pubblicato per la prima volta nei “Prototipi” delle edizioni di Rivolta Femminile nel 1980, ndr), Carla Lonzi si trova a un bivio: approfondire fino all’estremo questa pratica trasformatrice mettendola alla prova con il suo amato compagno, oppure proseguire in silenzio una relazione di coppia che si sta riempiendo di zone oscure, e forse di non detti. Per una pensatrice radicale, è stato impossibile scegliere la seconda opzione. Dunque, ecco il sofferto tentativo di esplorare il limite della relazione tra un uomo e una donna, in autocoscienza. Cosa vuole Carla Lonzi? Cosa vuole una donna? Vuole il riconoscimento radicale della sua differenza, dei suoi desideri, della sua capacità di amare, volendo essere amata non solo sessualmente, non solo ammirata per la sua genialità che, comunque, può tornare utile al suo compagno.
Il femminismo e Carla Lonzi
Vuole una fedeltà amorosa che sappia resistere alle differenze, vuole la comprensione della sua impresa: elevare i rapporti umani allo “stato d’amore”. Non ottiene questo riconoscimento da Pietro Consagra che pure l’ama, ma di un amore troppo dipendente dal sesso, troppo sessualizzato, troppo poco erotizzato. Carla Lonzi non si sente veramente capita, anche se il compagno continua a sostenere di capire quello che lei dice, ma lo intende razionalmente, come si capisce quello che dice una persona se parla in lingua italiana. Ovvio. Non è questo che chiede Carla Lonzi. Vorrebbe essere tranquillizzata dal compagno sentendogli dire che le rimarrà accanto anima e corpo, nonostante la differenza tra loro. Dopo quattro lunghissime giornate, lei congeda Pietro Consagra con quel “vai pure” in cui è racchiusa la rinuncia, la sofferenza, l’angoscia per la solitudine interiore, ma anche il rispetto dell’alterità granitica dell’uomo. Lei non ha “sentito” la vicinanza, non ha trovato l’esperienza dei “cuori concordi” che significano la perfezione dell’amore, del reciproco profondo riconoscimento. Per Hegel il riconoscimento reciproco è tra servo e padrone, a rischio della morte di entrambi. Ma questo non vale per Carla Lonzi che ha “sputato” fuori da sé Hegel, per la salvezza di tutte noi.
Eppure, come accade a molte di noi, a molte donne di sempre, senza mai rinnegare o abbandonare l’altro, ha dovuto accettare l’impossibile accesso al Paradiso attraverso il dialogo trasformatore della relazione tra un uomo e una donna. Carla Lonzi avrebbe voluto portare Consagra in questo Paradiso (Annarosa Buttarelli).
Le cose si svolgono sempre attraverso un dialogo
Aristotele asseriva che la Meraviglia fosse la scintilla prima della conoscenza: l’uomo desidera com-prendere, conoscere, approfondire, prendere-con-sé ciò che lo sorprende. L’Uomo, appunto. Non la Donna. Nella visione aristotelica – profondamente conservatrice – alla donna infatti non appartiene nessuna di queste prerogative: solo l’Uomo può essere considerato un essere umano “completo” che, grazie alla sua superiore intelligenza, può dominare nella società. “Nella relazione del maschio verso la femmina l’uno è per natura superiore, l’altra (inferiore) è comandata, ed è necessario che fra tutti gli uomini sia proprio in questo modo”. Questo semplice esempio che ci arriva dall’antichità, da uno dei giganti del pensiero (la posizione di Platone era più sfumata laddove riconosceva parità di condizione all’uomo e alla donna, senza però mai indicare una progettualità “generativa” in grado di valorizzare la differenza femminile), mette in chiaro un pregiudizio radicato nei millenni e che ritroviamo profondamente “agito” nell’immaginario collettivo ancora oggi. Il mondo maschile è compiuto, completo e quindi inevitabilmente autoreferenziale, mentre quello femminile è aperto, imperfetto, inevitabilmente più debole e automaticamente inferiore.
La relazione tra Lonzi e Consagra
In molti casi nel nostro mondo questa postura diventa riflesso condizionato, ancora più difficile da individuare e sradicare proprio perché spesso inconsapevole, non manifesto né manifestato, anche nelle dimensioni apparentemente meno “allineate” al pensiero corrente, come quello artistico. Ed è su questo punto che il confronto estenuante tra Carla Lonzi e il suo compagno Pietro Consagra, registrato nel 1980 in 4 lunghi giorni di auto-coscienza e riportati nella pubblicazione Vai pure edito da La Tartaruga, costituisce un esempio emblematico. Lonzi sollecita il suo compagno verso la soglia di una “sensibilità ulteriore”, extra-artistica, che si manifesta nella capacità di dialogo, intervenendo su un piano di insoddisfazione che incide nella loro relazione interpersonale e nel contesto più ampio della loro attività, tra artista e curatrice d’arte: ma lui non comprende, non reagisce, non regge il confronto, sfugge, semplicemente non ci sta, perché non ce la fa.
Per Consagra la relazione è infatti prima di tutto con l’oggetto d’arte, nel quale identifica la sua realizzazione, impermeabile a qualsiasi contributo “in opera”. La visione artistica e la creatività fuori dagli schemi, si concentrano su un’istanza che lui stesso definisce “graziosità intorno all’arte”, diventando un ricostituente per rigenerare il DNA della propria autostima sfibrata, continuamente messa alla prova, alla ricerca di continue conferme in una società “diffidente” nei confronti della “differenza” che l’arte è in grado di garantire. A un certo punto Consagra riconosce candidamente: “Non posso lavorare senza desiderare che ci siano persone che mi vengano a dire BRAVO”. Attorno a questo “gigante monolitico” rappresentato dall’IO dell’artista e dall’oggetto della sua Opera, si produce nella sua testa una danza secondo lo schema tutto maschile della guerra, della dinamica amico-nemico, che non si apre mai alle logiche del ri-conoscimento, della reale corrispondenza con il mondo, della relazione con la propria compagna che ama e lo ama, ma anche dall’intero sistema di relazioni che accompagnano la sua attività.
La rivoluzione culturale in Carla Lonzi
Lonzi si affanna a proporre invece quello che lei chiama un rivoluzionamento del campo culturale che incrocia l’arte, nel quale l’identità dell’artista e del suo oggetto diventino “una coscienza”, in grado di rilevare, risuonare, riconoscere: in ultima analisi di produrre riconoscimento e riconoscenza invece che graziosità, dando un respiro nuovo alla loro relazione, e alla relazione di lui con il mondo. Consagra non capisce che da un’unicità implicita (l’oggetto del suo lavoro), il portato di umanità della sua opera potrebbe rafforzarsi attraverso il dialogo, diventando esplicito.
A distanza di 45 anni da questo confronto a tratti commovente – tanto sterile da risolversi in un disarmante Vai pure – che si limita a riconoscere l’impermeabilità maschile alla dimensione del dialogo, emerge con forza la linea di forza delle nuove sfide (dell’arte e della società) che sembrano invece attestare l’assoluta necessità di una corrispondenza (che non è solo ascolto e risposta, ma capacità proattiva di decisione comune) che rimane il filo sottile che speriamo possa reggere il destino rischioso di una convivenza dell’umanità che – come vediamo ogni giorno – danza sull’orlo di una rottura irreparabile (Francesco Morace).
Annarosa Buttarelli e Francesco Morace
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