Il default della Francia è una mina vagante. L’analisi di D’Anna

  • Postato il 9 settembre 2025
  • Esteri
  • Di Formiche
  • 1 Visualizzazioni

“È come se ci fossero due France, il Paese fondatore di molti diritti e un’altra Francia reazionaria, ancorata ai propri privilegi”, sintetizza la regista Delphine Coulin.

Una sintesi che non spiega perché Parigi si ritrovi sull’orlo del default con un debito pubblico che nel primo trimestre del 2025 ha raggiunto i 3.350 miliardi di euro, pari al 114 per cento del Pil.

Uno tsunami economico finanziario paradossale per la patria degli ecomomisti storici e contemporanei più famosi del mondo: Jean-Baptiste Colbert, Anne Robert Jacques Turgot, Jean-Baptiste Say, Léon Walras, François Quesnay, artefici del mercantilismo, della fisiocrazia e della teoria dell’equilibrio generale e, più recentemente, François Perroux ed Olivier Blanchard i padri della teoria dei poli di sviluppo e della macroeconomia.

La voragine del debito pubblico scaturisce dalla somma di tutti gli scompensi fiscali, finanziari, assistenziali e commerciali, innescati prima dalla pandemia del Covid-19 e poi dall’impatto dell’escalation dei costi energetici provocati invasione russa dell’Ucraina.

Effetti moltiplicatori che dal 97,9 del 2019 hanno fatto schizzare il Pil del 2024 al 113,2% , fino all’attuale 114%, con deficit fiscale in rapporto al Pil pari al 5,8%, ben al di sopra della soglia europea del 3%.

Un buco nero destinato ad espandersi per effetto del marasma politico conseguente alla bocciatura della legge di bilancio del governo Bayrou che prevedeva 44 miliardi di euro di tagli per ridurre l’indebitamento del Paese. Con immediati effetti collaterali per l’Eurozona, della quale la Francia rappresenta, pardon rappresentava, la seconda economia.

Lo stallo politico e la mancanza di interventi correttivi in attesa dell’insediamento del nuovo e per forza di cose fragilissimo governo nominato dal Presidente Macron, oppure per almeno i tre mesi occorrenti per una lacerante e devastante campagna elettorale e poi le elezioni anticipate, stanno già provocando un aumento esponenziale degli oneri degli interessi sul debito, diventati per la prima volta le voci di bilancio più gravose tanto da superare persino gli stanziamenti per l’istruzione e la difesa.

Tradotto in cifre significa che entro il 2025 la Francia dovrà spendere 67 miliardi di euro solo per gli interessi del debito. Un trend che si autoalimenta: tassi di interesse più elevati portano a un debito più elevato, che a sua volta può portare a tassi di interesse ancora più elevati. Una spirale drammatica che non é più solo un problema francese ma una seria minaccia per la stabilità della Germania e dell’intera Unione Europea.

L’aumento dei tassi di interesse, i timori di una svendita dei titoli di Stato francesi e le crescenti preoccupazioni per una nuova, ancora più devastante, crisi dell’euro stanno destabilizzando i mercati finanziari.

Il tutto in un contesto economico internazionale sconvolto dai dazi di Trump, dalle conseguenze delle guerre e dalla subdola penetrazione commerciale ed infrastrutturale cinese.

Gli esperti lanciano un monito urgente: ciò che sta accadendo in Francia è molto di più di una semplice crisi di bilancio nazionale, ma un crash test esistenziale per l’euro e il futuro dell’integrazione europea.

Tutti gli occhi sono puntati sugli inevitabili interventi della Banca Centrale Europea che però si trova in una posizione difficile.

In un contesto politico populista e massimalista, l’estrema destra di Marine le Pen e l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon, strumentalizzano la politica fiscale, come tagli alle tasse o l’aumento della spesa pubblica, solo per ottenere consensi e pretendono che la Bce fornisca all’infinito alla Francia tutti i prestiti di cui ha bisogno.

Il che compromette la stabilità dell’euro e l’affidabilità creditizia dell’Ue. Con il calo del rating creditizio della Francia, diminuisce anche l’affidabilità creditizia dell’Unione Europea stessa. Ciò potrebbe comportare il pagamento di ingenti premi sui tassi di interesse sui mercati finanziari. E poiché l’Ue sta ora assumendo debiti propri, ad esempio attraverso il Fondo di Recupero dell’Ue, l’architettura finanziaria europea sarebbe sottoposta a un’ulteriore pressione non si sa fino a quando sostenibile.

Ma perché, a differenza della Grecia e dell’Italia, la Francia non riesce a uscire dalla spirale del debito? Il problema principale riguarda l’impotenza del suo attuale assetto politico.

Dalle elezioni anticipate dell’estate 2024, quando il presidente Emmanuel Macron sciolse l’Assemblea nazionale dopo la sconfitta alle elezioni europee, né i centristi, né i blocchi di destra o di sinistra riescono a raggiungere una maggioranza e questo ha un effetto nefasto sulla stabilità e la programmazione.

L’unica soluzione è quella del superamento dell’autolesionismo politico. Una sindrome sulla quale ironizzano tutti, tranne i francesi.

“Come si può governare un Paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?”, sosteneva il Generale Presidente Charles de Gaulle, “ e cento salse”, aggiungeva Voltaire.

Autore
Formiche

Potrebbero anche piacerti