Il cupo discorso di addio di Biden: “L’oligarchia minaccia la nostra democrazia. Forze potenti contro la lotta alla crisi climatica”

  • Postato il 16 gennaio 2025
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È l’oligarchia la vera, grande minaccia alla democrazia, contro cui Joe Biden mette in guardia nell’ultimo discorso della sua presidenza e della sua carriera politica. Parlando all’America dallo Studio Ovale, in prime time TV, Biden ha detto che “oggi, in America, sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che mette in pericolo l’intera democrazia, i nostri diritti, le nostre libertà fondamentali e una giusta possibilità di avanzamento per tutti”. Il presidente uscente non fa i nomi ma è chiaro contro chi lancia quest’ultimo appello. Donald Trump, Elon Musk, il gruppo di miliardari che sta per arrivare al governo possono corrompere le basi stesse della democrazia e dell’esperimento americano.

Non è stato un discorso d’addio felice, pacificato, quello di Joe Biden. È stato il discorso di un uomo amareggiato, che sente di essere stato estromesso ingiustamente dal potere. È stato il discorso di un politico anziano, che vede crollare attorno a sé il mondo e gli ideali che ha conosciuto per quasi sessant’anni. Biden ha trascorso gli ultimi sei mesi cercando di promuovere i risultati della sua amministrazione in tema di politica estera, economia, diritti. Per il suo addio all’America – una tradizione che ogni presidente USA ha rispettato a partire da George Washington – ha scelto toni molto più cupi e allarmati. La libera stampa è minacciata da un’onda crescente di disinformazione, ha detto Biden. Il complesso “tecnologico-industriale” corrode la verità. La possibilità di sottoporre a verifica l’azione di un presidente appare sempre più debole. E “forze potenti vogliono esercitare la loro influenza incontrollata ed eliminare i passi che abbiamo intrapreso per affrontare la crisi climatica, solo per servire i loro interessi di potere e profitto”. Insomma, è il futuro di tutti, “ma soprattutto dei nostri figli e nipoti”, a essere a rischio.

Alcuni osservatori hanno sottolineato le analogie tra le parole di Biden e quelle pronunciate contro il “complesso militare-industriale” da un altro presidente, Dwight D. Eisenhower, nel suo discorso di addio del 1961, in un altro periodo dunque di forte instabilità e cambiamenti. Se allora ciò che minacciava di destabilizzare il mondo era la folle corsa agli armamenti, oggi è “l’erosione della verità” di social media non controllati e intelligenza artificiale ad aprire la strada agli abusi dei potenti. “Il nostro sistema di separazione dei poteri, controlli ed equilibri, potrebbe non essere perfetto”, ha detto Biden, “ma ha mantenuto la nostra democrazia per quasi 250 anni, più a lungo di qualsiasi altra nazione nella storia che abbia mai tentato un esperimento così audace”. Proprio per limitare abusi e sopraffazione, il presidente uscente ha quindi chiesto modifiche alla Costituzione degli Stati Uniti, “per chiarire che nessun presidente, nessun presidente è esonerato per i crimini che commette mentre è in carica”. Necessario quindi rivedere la recente sentenza della Corte Suprema che concede al presidente un’immunità pressoché totale per le azioni compiute mentre è in carica. Necessario proibire ai membri del Congresso di negoziare azioni. Necessario porre limiti di mandato, e una serie di norme etiche, per i giudici della Corte Suprema. Necessario, insomma, tagliare il nodo tra politica, denaro, potere della tecnologia, che sta strangolando la democrazia americana e i suoi cittadini.

Nelle ultime settimane, Biden è apparso piuttosto deciso nel rivendicare ciò che ha fatto in questi quattro anni alla Casa Bianca. Ha tenuto un discorso di politica estera, in cui ha spiegato di aver mantenuto la dignità e l’influenza degli Stati Uniti nel mondo. Ha detto di essere ancora convinto delle sue possibilità di battere Donald Trump alle elezioni dello scorso novembre. E a chi gli ha chiesto che cosa farà, a partire dal 20 gennaio, ha risposto scherzosamente: “Non sparirò dalla vostra vista e dalle vostre teste”. Il discorso di mercoledì sera è apparso meno determinato, meno ottimista. A un certo punto, Biden è sembrato riconoscere che molte delle sue politiche sono risultate impopolari. “Ci vorrà del tempo per sentire appieno l’impatto di tutto ciò che abbiamo fatto insieme”, ha detto. “Ma i semi sono piantati, cresceranno e fioriranno per decenni a venire”. Poco prima del discorso d’addio, Biden aveva annunciato il raggiungimento dell’intesa per il cessate il fuoco tra Hamas e Israele. Un risultato positivo, che il presidente ha interamente attribuito a sé e al proprio team, “che lo ha sviluppato e negoziato” – risposta implicita a Trump, che ha cercato di appropriarsi politicamente dell’accordo, dando per primo la notizia della “prossima liberazione degli ostaggi”.

Il cessate il fuoco a Gaza è ciò che Biden consegna in extremis all’America e al mondo, nella speranza che la sua eredità non venga infangata dagli oltre 40mila morti della Striscia – “il presidente del genocidio”, lo chiama chi negli Stati Uniti ha contestato le sue politiche verso Israele e i palestinesi. È comunque vero che il viaggio del “bambino balbuziente” di Scranton, Pennsylvania – come si è definito – verso la carica più alta del paese, si conclude su una nota di incertezza, di dubbio angosciato. Quando, alla fine del discorso, Joe Biden ha chiamato davanti alle telecamere la moglie Jill, il figlio Hunter, la famiglia, “gli amori della mia vita e la vita del mio amore”, i suoi accenti sono stati ancora una volta di allarme. “Ora tocca a voi fare la guardia. Che possiate essere i custodi della fiamma. Che possiate mantenere la fede”.

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