Il corto circuito della sinistra mai riparato

  • Postato il 19 dicembre 2025
  • Politica
  • Di Libero Quotidiano
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Il corto circuito della sinistra mai riparato

Sgomberato il club degli intellettuali di Askatasuna, sulla via della sinistra resta un ingombrante problema: il rapporto con i movimenti che praticano la violenza. Il pasticciaccio rosso di Torino è replicato ovunque dove governano il Pd e i suoi alleati. Si offre aiuto materiale (sedi e finanziamenti) e copertura politica a elementi che predicano la lotta di classe (con la spranga), la pace nel mondo (spaccando teste), la casa per tutti (occupando quella degli altri), i diritti universali (pagati da chi lavora). Lo sgombero è arrivato dopo il raid di alcuni giorni fa nella redazione de La Stampa, da quel momento Askatasuna ha perso “l’immunità” e il Viminale ha deciso di intervenire. Le prese di distanza del Pd sono pietosamente tardive, la relazione pericolosa dei dem con il mondo dell’antagonismo è un problema politico che non si cancella con un colpo di penna. Fare oggi i paladini della sicurezza metropolitana, accusare il governo di non saper mantenere l’ordine pubblico, è un’operazione di sciacallaggio della sinistra che svanisce di fronte al riparo offerto dalle giunte progressiste ai circoletti dei rivoluzionari.

Da qualche settimana la sinistra ha scoperto che esiste un problema di criminalità nelle grandi città, ma dimentica due questioni politiche che sono intrecciate: l’immigrazione che ha creato masse di sbandati; l’estremismo politico che ha rialzato la testa quando è scoppiata la guerra in Medio Oriente, innescata dalla strage degli ebrei del 7 ottobre. La cosa surreale è vedere la metamorfosi del tipo radical chic, la mattina gira l’interruttore e fa scattare l’allarme fascismo e la denuncia della repressione, la sera va in un salotto televisivo e attacca a testa bassa l’esecutivo perché ci sono troppi crimini. Il castello di carta casca giù per terra quando ai valorosi compagni si fanno notare le imprese dei soldatini di Askatasuna, il collegamento esponenziale tra crimini e immigrazione, il fenomeno patologico della polizia che arresta e della magistratura che scarcera. A quel punto parte il ritornello sociologico: serve la scuola, l’inclusione, il lavoro, gli assistenti sociali, è colpa del sistema. Askatasuna fa parte di questa parte del racconto, si omettono i problemi con la giustizia, le marachelle da codice penale, e si va dritti con il pilota automatico della soluzione pedagogica. A Torino il rapporto con i bravi ragazzi è stato condotto su questa linea narrativa, ci hanno raccontato che erano tutti degli spiriti liberi, con l’aureola della pace e l’alloro dei poeti in testa, forse ogni tanto un po’ eccitati (la storia offre fatti stupefacenti), ma innocui. Il giornalismo illuminato li ha descritti così, perfino dopo il loro ingresso nella redazione de La Stampa, ho sentito lamenti e letto del dispiacere di alcuni cronisti perché quei «giovani non hanno capito da che parte stiamo, cosa scriviamo».

Perbacco, non lo sapevate come funziona? Quando alimenti l’illusione della Global Intifada, perdi l’orientamento e ti ritrovi l’amico con la kefiah che diventa il tuo nemico. Si capisce tutto benissimo, lo scenario è cristallino, la parabola degli antagonisti a Milano e Torino è esemplare: mentre quella del Leoncavallo è una storia di reduci e rottami ideologici del passato, un circolo di nostalgici con la birretta in mano, quella dei falchi di Askatasuna è una storia che sta bruciando, è viva, affilata, pericolosa. Andavano a braccetto, la sinistra elegante, colta, il giornalismo democratico, cosmopolita, con le posate d’argento. È andata che tutti insieme, appassionatamente, sono finiti dalla parte sbagliata della storia.

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Autore
Libero Quotidiano

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