Il cofondatore di Wired spiega perché il futuro non è una distopia

  • Postato il 12 dicembre 2024
  • Di Il Foglio
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Il cofondatore di Wired spiega perché il futuro non è una distopia

Pubblichiamo l’estratto di un’intervista sull'impatto delle tecnologie nel mondo digitale rilasciata da Kevin Kelly, studioso di cultura digitale e asiatica, cofondatore della rivista Wired di cui è stato direttore. L’intervista è stata rilasciata nell’ambito del podcast “The Space of a journey”, iniziativa editoriale a cura di Mundys e Codice Edizioni.


Per molti è difficile essere ottimisti oggi, ma dobbiamo provarci. Hollywood propone spesso futuri distopici, ma chi vorrebbe essere ucciso dai robot? È terribile. Per evitarlo, dobbiamo immaginare un futuro diverso, possibile. Non serve prevedere esattamente cosa accadrà, ma aprirci a nuove possibilità. Se riusciamo a immaginare qualcosa, possiamo credere di poterlo realizzare. È difficile pensare a un futuro straordinario senza prima immaginarlo. L’iPhone sembrava impossibile, ma qualcuno lo ha pensato, ci ha creduto e lo ha creato. Lo stesso vale per ogni cosa. Essere ottimisti sul futuro è essenziale. Nel mio lavoro aiuto le persone a immaginare il futuro che desiderano, perché credo sia un passo cruciale. Tra cento anni, la struttura delle città non cambierà molto: gli edifici saranno ancora al loro posto, con qualche esperimento architettonico. La vera trasformazione sarà nel modo di vivere le città. Ci sarà un “mondo specchio”, una versione digitale del mondo fisico. Con occhiali intelligenti, vedremo entrambi i mondi fusi, con città virtuali che a volte coincideranno con la realtà e altre volte saranno diverse. Un esempio di questa fusione è l’uso di proiezioni digitali su edifici per mostrare volti alternativi, permettendo agli avatar di apparire nel mondo reale.

I cambiamenti principali non riguarderanno la struttura fisica delle città, ma l'uso della realtà aumentata. La fisicità resterà, ma vivremo le città in modo diverso grazie alla sovrapposizione del virtuale: potremo navigare, giocare, studiare e incontrarci virtualmente, persino “passeggiare” con qualcuno lontano, percependolo accanto a noi. La mobilità crescerà grazie alle interazioni virtuali, ma la realtà virtuale non potrà mai sostituire l’esperienza fisica, che acquisterà più valore. Prevedo un futuro con frequenti incontri virtuali tridimensionali e un desiderio crescente di esperienze fisiche. L’innovazione nei trasporti renderà i viaggi più facili e accessibili: potrò, ad esempio, venire a Milano e, nello stesso momento, fare una videochiamata con qualcuno in Cina. Prevedo molta innovazione nei trasporti, con soluzioni varie, anche aeree e sopraelevate. Non ci sarà un mezzo dominante, ma tante opzioni. Le città forse vieteranno le auto nei centri, sostituendole con metropolitane, scooter elettrici e tuk-tuk. La novità sarà la diversità di mezzi, tutti elettrici e intelligenti, con le auto a guida autonoma che cambieranno l’uso di strade e parcheggi. Anche tra cento anni ci saranno molti veicoli, ma con alternative come minibus e, forse, auto volanti. Le città avranno mezzi vari, adattati a clima e bisogni locali. La cultura urbana globale si sta uniformando: le città in tutto il mondo diventano simili, distinguibili spesso solo dalle insegne. I giovani, ovunque, vogliono le stesse cose: aria condizionata, acqua corrente, wi-fi, e indossano scarpe e magliette simili.

Penso che le caratteristiche uniche dei luoghi – come parchi nazionali, fiumi e urbanistica distintiva – acquisteranno valore. Le città che conservano un’identità geografica mantengono qualcosa di speciale, mentre altri luoghi diventeranno simili tra loro. Prevedo quindi una maggiore uniformità tra le aree comuni e un aumento di valore per le zone con tratti distintivi, seguendo queste due tendenze. Quindi vedo un futuro in cui ci sarà una maggiore convergenza generale, ma anche una crescente valorizzazione delle differenze locali. Le città che riusciranno a distinguersi saranno quelle in cui le persone vorranno vivere e visitare. La mobilità sarà più semplice, i visti non saranno più un ostacolo, e le persone potranno spostarsi liberamente, andando dove si sentono più a loro agio. La mobilità aumenterà leggermente: le persone si sposteranno verso città e nazioni con popolazione in calo. Le nazioni potrebbero competere per attrarre nuovi abitanti, e ogni città cercherà di distinguersi offrendo incentivi economici o culturali per diventare meta ideale per vivere e lavorare. Credo che in futuro tutta la popolazione vivrà in aree urbane, lasciando il resto del territorio alla natura. L’ideale ecologico è concentrare le persone in città e lasciare il resto selvaggio. Con tecnologia avanzata e robot agricoli, avremo maggiore produzione su meno terra, permettendo a molti terreni di tornare selvaggi. Tra cento anni, le città più concentrate potrebbero significare più natura incontaminata rispetto a oggi.

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Autore
Il Foglio

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