Il caso Acquappesa: sequestrate altre armi e un file con vecchie intercettazioni

  • Postato il 3 agosto 2025
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Il caso Acquappesa: sequestrate altre armi e un file con vecchie intercettazioni

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Si infittisce il caso Acquappesa: Il Gico della Finanza sequestra nello studio balistico sequestra altre armi: 4 fucili, 2 pistole e un file con vecchie intercettazioni relative a una richiesta di aiuto ai clan.


ACQUAPPESA (COSENZA) – L’inchiesta sulla spropositata quantità di armi illegali rinvenuta nello studio balistico che fu del defunto Vincenzo Mancino continua a ramificarsi, assumendo contorni sempre più inquietanti. Dopo i sequestri delle scorse settimane — tra armi da guerra, munizioni in quantità militare, esplosivi e documentazione sospetta — un nuovo tassello si aggiunge all’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Paola. Venerdì 1 agosto, gli investigatori del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro hanno eseguito un ulteriore sequestro di sei armi da fuoco: quattro fucili e due pistole. La particolarità di questo nuovo capitolo risiede nel fatto che le armi sono state dichiarate dallo stesso Fernando Mancino, fratello del defunto Vincenzo e già indagato nell’ambito del procedimento per violazione della legge sulle armi.

Le armi in questione, pur essendo state denunciate come parte di una collezione privata, sono risultate illegali: prive di marchio identificativo e, in alcuni casi, con la matricola abrasa, elemento che le rende di fatto clandestine secondo quanto previsto dalla legge 110/1975. Il sequestro, avvenuto su disposizione del procuratore capo Domenico Fiordalisi, si inserisce nel filone di indagini legato al controllo sull’intero patrimonio armiero riconducibile alla famiglia Mancino, custodito per anni nella mansarda dello studio di via Marina 10 a Cetraro, e distribuito in altri ambienti della stessa proprietà.

ACQUAPPESA: ARMI, TIMBRI FALSI E FILE CON INTERCETTAZIONI ILLECITE

Parallelamente, si consolida un secondo filone investigativo, quello legato ai timbri contraffatti del Comune di Cetraro. Come già emerso nei giorni scorsi, durante una perquisizione erano stati trovati timbri ufficiali del Comune — uno tondo, con il logo dell’ente, e e due rettangolari , utilizzati per la firma di funzionari — insieme a un documento falsificato risalente al 2020. Il documento simulava una concessione marittima per un’imbarcazione intestata a Vincenzo Mancino. Secondo fonti giudiziarie, è stato accertato che quel documento non compare in alcun registro ufficiale dell’ente comunale. Non è mai stato protocollato né risulta presente in alcun archivio cartaceo o digitale dell’Ufficio Demanio. La sua origine è dunque da attribuirsi a una ricostruzione fraudolenta, realizzata proprio con i timbri sequestrati. Resta da chiarire come e perché quei timbri siano finiti nello studio di Mancino, e se vi siano responsabilità riconducibili a figure interne all’amministrazione comunale.

Un altro elemento delicatissimo è emerso da un recente esame forense del computer personale appartenuto a Vincenzo Mancino. Tra i file salvati nel dispositivo sono state trovate intercettazioni telefoniche e ambientali, risalenti a diversi decenni fa, provenienti da un’altra procura italiana e riferibili ad indagini in corso sullo stesso Mancino e su soggetti terzi. In particolare, uno di essi conteneva una richiesta di aiuto, a soggetti vicini alla criminalità organizzata locale, per una vendetta personale per ragioni sentimentali. Il ritrovamento ha lasciato attoniti gli investigatori: come siano finite intercettazioni giudiziarie, coperte da segreto, nel computer privato di un perito balistico, resta una domanda senza risposta certa. L’ipotesi più grave è che vi sia stato un passaggio illecito di atti riservati.

I COLLEGAMENTI CON LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

Tutti questi elementi — dalle armi clandestine ai documenti falsi, passando per l’archivio informatico anomalo — hanno riacceso le attenzioni degli inquirenti sui possibili collegamenti tra lo studio balistico e ambienti della criminalità organizzata. L’ubicazione dello studio, a 300 metri dal centro di Cetraro, non è casuale: il territorio è storicamente considerato sotto l’influenza della cosca Muto, da decenni al centro di indagini per traffici illeciti, compreso quello di armi. La mole di armamenti ritrovata — oltre 200 armi in totale, tra cui mitra, fucili d’assalto AK-47, carabine, pistole, e munizionamento da guerra — ha portato gli inquirenti a ritenere che non tutte le armi potessero essere utilizzate per finalità peritali. Le dichiarazioni di Fernando Mancino, secondo cui le armi si trovavano lì per perizie balistiche in sospeso, non reggono di fronte a quantità e tipologie che superano ampiamente le necessità di un laboratorio tecnico.

LEGGI ANCHE: Le armi di Acquappesa: a chi servivano? Chi era il bersaglio?

Le armi, molte delle quali clandestine, erano stipate in ambienti non protetti, in violazione delle norme sulla custodia, e alcune risultavano modificate o alterate, rendendole particolarmente pericolose. A questo si aggiunge il ritrovamento, nei primi giorni dell’indagine, di oltre 10.000 munizioni, tra cui proiettili calibro 7.62, compatibili con armi da guerra, e diversi caricatori ad alta capacità. Le domande si moltiplicano: a chi servivano tutte quelle armi? Erano solo conservate o anche distribuite? Per conto di chi? E soprattutto: che ruolo ha avuto lo studio balistico nel tempo? Solo tecnico o anche logistico per interessi esterni?

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