Il capo della Fao (cinese) chiede più potere. Ecco come

  • Postato il 21 novembre 2024
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  • Di Formiche
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L’ex viceministro cinese Qu Dongyu, il cui secondo mandato da direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) è stato rinnovato di altri quattro anni a luglio 2023, vuole più potere e più soldi.

La riforma proposta

Secondo una proposta redatta dall’ufficio legale della Fao, estendere il mandato passando da otto (quattro più quattro) a dieci (sei più quattro) renderebbe l’incarico “più attraente per i candidati altamente qualificati che hanno la visione necessaria per guidare il lavoro dell’Organizzazione in modo da soddisfare le esigenze in evoluzione dei membri”. Allineare il mandato del direttore generale della Fao con quello dei vertici esecutivi di Nazioni Unite, Organizzazione internazionale del lavoro e Organizzazione mondiale della sanità permetterebbe inoltre di “affermare la statura della Fao come una delle organizzazioni più importanti del sistema Onu”, si legge ancora.

La discussione a dicembre

La proposta di riforma della Fao è contenuta in un documento, visionato da Formiche.net, che verrà discusso in via preliminare in occasione della 176ª sessione del Consiglio della Fao, composto da 49 Stati membri, che si riunirà a Roma dal 2 al 6 dicembre. La proposta dovrebbe poi arrivare alla conferenza plenaria in programma tra giugno e luglio per la discussione tra tutti e 194 gli Stati membri. Non è escluso – anzi, sembra proprio quello su cui punta Qu – che durante la discussione preliminare uno o più Stati membri propongano una modifica che renda retroattiva la riforma permettendo anche al direttore generale in carica di estendere a dieci anni il suo mandato.

Le mire sul Wfp

Nella proposta è previsto anche un aumento dello stipendio per il direttore generale (oggi quello annuo lordo è pari a 265.910 dollari, più 50.000 dollari di indennità di rappresentanza) per “riflettere la complessità del ruolo”. Anche perché è previsto un consolidamento dei suoi compiti riguardanti il Programma alimentare mondiale (Wfp), agenzia – autonoma – delle Nazioni Unite costituita negli anni Sessanta dalla Fao. Si legge nella proposta: il rapporto tra Fao e Wfp “non è semplicemente quello di due agenzie sorelle con sede a Roma. Il rapporto implica doveri e obblighi per il direttore generale della Fao derivanti dalle operazioni del Pam. Le responsabilità del direttore generale della Fao nei confronti di due grandi entità del sistema delle Nazioni Unite, a differenza dei direttori generali di altre agenzie specializzate che sono responsabili di un’unica organizzazione, supportano l’aumento del pacchetto retributivo assegnato al direttore generale della Fao”. Termini con cui il direttore generale della Fao rafforzerebbe i suoi poteri sul Wfp. Recentemente, tra il Wfp (che dal 1992 è guidato da un americano) e la Fao si è creata una forte competizione. E il budget della prima agenzia è ben più alto di quello della seconda. Infatti, il Wfp ha raccolto 8,3 miliardi di dollari nel 2023, mentre la Fao ha pianificato un budget per il biennio 2022-2023 di 3,25 miliardi di dollari.

Le omissioni sulla Russia

La Fao stabilisce gli standard internazionali per la sicurezza alimentare e animale e svolge un ruolo chiave nell’elaborazione delle risposte internazionali alla fame nel mondo, ai cambiamenti climatici causati dalla produzione alimentare mondiale e alle priorità delle industrie agricole globali. Un ruolo sempre più importante considerato il contesto globale attuale segnato da due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente. A tal proposito, nell’aprile 2022, ovvero due mesi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la rivista americana Foreign Policy notava che, a sentire Qu, “non si direbbe mai che la Russia ha bombardato le fattorie e i granai ucraini, imponendo un blocco marittimo alle esportazioni di grano dell’Ucraina e accelerando in generale un’emergenza alimentare globale che rischia di gettare decine di milioni di persone in più verso una grave emergenza alimentare”. Sono passati due anni e mezzo e non sembra essere cambiato molto, considerato che nella nota diffusa dopo l’incontro tra Qu e il ministro ucraino Vitaly Koval a ottobre si parla di “guerra” e non di invasione, né tantomeno si menziona l’aggressore.

Il rinascimento (cinese) della Fao

La proposta di riforma sembra rientrare nelle riforme volute da Qu per l’anno in corso. Dopo l’anno della Fao “digitale”, quello della Fao “straordinaria” e quello della Fao “eccellente”, il 2024 doveva essere, come spiegato spesso da Qu nei suoi discorsi, l’anno in cui lavorare per “ricostruire, rinnovare e riformare per un rinascimento della Fao”. Un motto in linea con i suoi sforzi per ristrutturare l’organizzazione in una fase internazionale piuttosto complessa, secondo alcune inchieste giornalistiche piegandola agli interessi della Cina.

L’elezione di Qu nel 2019

Nel 2019 la sua elezione fu accompagnata dai sospetti di voto di scambio: Pechino, per esempio, annullò un debito di 80 miliardi di dollari al Camerun, che ritirò il proprio candidato. Ma anche dalle divergenze transatlantiche che portarono l’Unione europea e gli Stati Uniti a sostenere due candidati diversi. L’Italia, probabilmente – perché il voto è segreto –, si distinse da entrambi, appoggiando il candidato cinese nelle urne aperte pochi mesi dopo l’adesione alla Via della Seta (era il governo gialloverde di Giuseppe Conte). La sua rielezione nel 2023, invece, è filata piuttosto liscia, considerato che tutti i rivali si erano già ritirati mesi prima del voto. Ma alla viglia dell’apertura dei lavori della conferenza annuale un’inchiesta delle emittenti radiotelevisive tedesche “Ard” e “Rbb” aveva accusato Qu di aver piegato l’agenzia agli interessi del Partito comunista cinese, con mosse sui pesticidi vietati e la presenza di diversi spie cinesi tra i funzionari.

Le mani di Pechino sulle Nazioni Unite

Qualcosa è cambiato, però, nel frattempo. Oggi, infatti, la Fao è l’unica tra le 15 principali agenzie delle Nazioni Unite a essere guidata da un cinese. Erano ben quattro soltanto tre anni fa. Da allora, però, Pechino non ha più la guida dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao), dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido) e dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu). Conserva, comunque, un certo peso nelle varie agenzie grazie anche ai rapporti con gli Stati, in particolare quelli del cosiddetto Sud globale, che esprimono il direttore generale.

Autore
Formiche

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