Il 13 marzo di Papa Francesco: un mese di ricovero nel dodicesimo anniversario del suo pontificato controcorrente e scomodo

  • Postato il 13 marzo 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Qualcuno, ricordando la commovente e drammatica preghiera del 27 marzo 2020, quando da solo Papa Francesco pregò per il mondo intero, mi ha scritto che adesso è il mondo intero che si unisce nella preghiera per lui”. Le parole del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, sono il ritratto più efficace di ciò che è avvenuto in questo mese di ricovero di Bergoglio al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale. Una data, quella della conclusione della quarta settimana di degenza nel “Vaticano 3”, come lo ribattezzò san Giovanni Paolo II, che coincide con il dodicesimo anniversario di pontificato. Un anniversario vissuto in modo assolutamente inedito e con grande trepidazione. Sempre Zuppi ha efficacemente sottolineato che “il popolo cristiano lo ama e siamo colpiti dal fatto che pure non credenti e fedeli di altre religioni si uniscano all’invocazione per la sua salute, considerandolo un apostolo di pace e di spiritualità”.

La voce di Francesco manca. Manca più fuori che dentro la stretta geografia cattolica. È un dato che emerge da questo ricovero, il quarto e il più lungo non solo del suo pontificato, ma in assoluto, perfino di quello di san Giovanni Paolo II al Gemelli dopo l’attentato del 1981. Una voce autorevole di pace, quella di Bergoglio, la cui assenza si sente maggiormente nel momento in cui Washington, Mosca e Kiev stanno tentando di porre fine a una guerra assurda, come il Papa ha ripetuto più volte con gesti e appelli fortissimi. Cosa avrebbe detto e fatto ora Francesco, in questa delicatissima trattativa condotta dalla Casa Bianca, se fosse stato al massimo delle sue forze? “Insieme – ha ripetuto dal Gemelli – continuiamo a invocare il dono della pace, in particolare nella martoriata Ucraina, in Palestina, in Israele, nel Libano e nel Myanmar, in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo”. E ha aggiunto: “Da qui la guerra appare ancora più assurda”. Una ricorrenza, quella del terzo anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, che il Papa, sempre dal Gemelli, ha definito “dolorosa e vergognosa per l’intera umanità”.

Francesco, dunque, continua a far sentire la sua voce, seppure profondamente provato dalla malattia. Eppure, c’è chi, anche, anzi, soprattutto in Vaticano, considera già archiviato il suo pontificato e si adopera per la successione a un Pontefice decisamente scomodo. L’austerità di Bergoglio, infatti, è sempre stata un pugno nello stomaco per quei cardinali e vescovi che non riescono a rinunciare ai privilegi ecclesiastici. Francesco, dal 13 marzo 2013, giorno della sua elezione, ha voltato pagina, offrendo un’immagine di Chiesa completamente diversa: rifiuto del lusso smodato, della vita agiata, dei privilegi, delle comodità di ogni tipo, degli appartamenti immensi, delle suore serve, delle auto enormi, dei paramenti sfarzosi e della mondanità. Una condanna vivente della “carriera ecclesiastica”: “Termine che mi fa schifo e che andrebbe abolito”, parola di Bergoglio.

Accogliendolo alla Casa Bianca, nel 2015, l’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, disse: “Grazie per il grande dono della speranza. Un grazie non solo per il ruolo, ma per le qualità uniche come persona. Nella umiltà, semplicità, nella dolcezza delle parole e la generosità dello spirito vediamo in lei un esempio vivente degli insegnamenti di Gesù. Lei ci ricorda come il più potente messaggio di Dio è la misericordia. E questo significa accogliere lo straniero con empatia e col cuore realmente aperto, che si tratti di rifugiati che fuggono da terre lacerate dalla guerra o immigrati che lasciano la loro casa in cerca di una vita migliore”. Un ritratto autentico del magistero di Francesco che è sempre andato al cuore dei problemi reali della gente.

In un volume che raccoglie tutti i colloqui con i gesuiti in occasione dei suoi viaggi apostolici, intitolato Sii tenero, sii coraggioso (Libreria Editrice Vaticana – Garzanti), il curatore, padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, scrive: “Il linguaggio bergogliano è ricchissimo di metafore, proverbi, idiomi, neologismi e figure retoriche che vengono non dal culto della parola elegante, ma al contrario del gergo, dal porteño, dal parlato di strada assorbito dalla quotidianità o dal rapporto pastorale con i fedeli. Francesco affronta il guazzabuglio del linguaggio e le sue trappole. L’obiettivo è la liberazione dell’energia propria del logos evangelico. Non solo: il linguaggio teologico rischia di diventare un prodotto della debolezza del logos occidentale, per cui la ricerca di un linguaggio che dia ragione della razionalità della fede rischia, alla fine, di condurre lontano rispetto alla questione del reale futuro della fede e del suo compito di annuncio kerygmatico”. E aggiunge: “Tradurre Bergoglio è difficilissimo, più di quanto ingenuamente si possa pensare. Quante cantonate sono state prese da chi ha tradotto credendo di aver capito!”. E, si può aggiungere, quanto cantonate, in buona o in cattiva fede, sono state prese da chi ha cercato di portare Francesco dalla sua parte. Un Papa decisamente scomodo che ha sempre fuggito tutte le strumentalizzazioni.

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Il Fatto Quotidiano

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