Iacometti: l'irruenza del manager rischia di vanificare il salvataggio di Mps

  • Postato il 26 novembre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Iacometti: l'irruenza del manager rischia di vanificare il salvataggio di Mps

Berlino, Roma, Milano, Siena. Andrea Orcel, forte della sua robustissima dote di liquidità, ha deciso di giocare a tutto campo fregandosene di pestare qualche piede. Evviva, potrebbe dire qualcuno. Una volta c'erano le cosiddette banche di sistema. Quelle che si dedicavano, disinteressatamente, per carità, al sostegno del Paese. Quelle i cui manager passavano le giornate a fare la spola tra Palazzo Koch e Palazzo Chigi per capire come potevano aiutare e come poter essere aiutati. Meccanismo che ha fatto il suo tempo e provocato i suoi danni. Così come non è da rimpiangere l'epoca in cui finanzieri spregiudicati e rampanti bussavano alle sedi di partito o a quelle di Bankitalia per assaltare istituti di credito senza avere le spalle abbastanza larghe né, a volte, la testa ben piazzata al centro di esse. Di sicuro molto meglio il mercato. Regole chiare definite dalle autorità e libertà di competizione tra chi ha i muscoli più in forma o lo sguardo più lungo.

Detto questo, come in ogni sistema complesso e interconnesso, nel mondo creditizio ci sono degli equilibri da preservare e dei contesti da considerare. E l'ad di Unicredit è persona troppo esperta e capace per non aver messo in conto che il suo doppio blitz nel giro di due settimane sull'asse Italia-Germania potrebbe avere l'effetto del classico elefante nella cristalleria. Risale a poco più di due mesi fa l'affondo che ha fatto saltare sulla sedia Olaf Scholz. Il cancelliere pensava di cedere sul mercato una quota di CommerzBank, per ridurre la partecipazione pubblica acquisita durante una fase di crisi, e si è trovato tra i piedi nientemeno che i mangiaspaghetti, con una Unicredit pronta addirittura a scalare la banca tedesca. Polemiche a non finire, sindacati in rivolta, governo infuriato. Ma da Palazzo Chigi non è uscito un fiato contro l'operazione, considerata anche dalle istituzioni internazionali Bce e Commissione, come una normale operazione transfrontaliera per di più di buon auspicio per la tanto invocata unione bancaria europea. Orcel ha inizialmente forzato la mano (arrivando a detenere, tra possesso diretto e derivati, circa il 21%) e poi ha deposto le armi. Decideremo entro un anno cosa fare di Commerz, ha spiegato qualche settimana fa, ancora prima che esplodesse la crisi nell'esecutivo di Berlino. Ma il manager, evidentemente, non era ancora sazio. E ieri ha deciso di lanciarsi nel secondo blitz. Questa volta l'obiettivo è nazionale. E assai delicato. L'assalto è infatti diretto al Banco Bpm, l'istituto che qualche giorno fa, in occasione di una ulteriore tranche del 15% in mano allo Stato) ha contribuito al successo della straordinaria operazione con cui Giancarlo Giorgetti, in più tappe, è riuscito non solo a dare, dopo quasi dieci anni di odissea e di salassi per azionisti e contribuenti, un futuro ad Mps, ma anche a creare le condizioni per quel terzo polo bancario italiano che, a giudizio di quasi tutti gli osservatori, il mercato attende da tempo come un toccasana per il nostro sistema creditizio. L'operazione del ministro dell'Economia, sicuramente aiutato da una congiuntura positiva e da una efficace gestione manageriale del Montepaschi, è sembrata a molti come un capolavoro finanziario.

Lo Stato è finalmente sceso, dopo anni di tentennamenti e di richieste della Bce, ad una quota dell'11,7%, considerata del tutto accettabile, e in Mps è entrata non solo Bpm, ma anche Anima (la sgr su cui Bpm ha già formalizzato l'offerta di acquisto), Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio. Un “nocciolino duro” di investitori in grado di costruire la terza gamba del nostro sistema bancario. Se l'operazione di Orcel dovesse andare in porto lo scenario cambierebbe radicalmente. Certo, Unciredit diventerebbe la terza banca europea e il campione italiano. Ma nei nostri confini resterebbero, come è da tempo, suscitando critiche e storcimenti di naso, due grandi poli (l'altro è ovviamente Intesa Sanpaolo) e alcune realtà di medie e piccole dimensioni. Il Banco, da pietra angolare di un terzo polo con Anima e Mps (che ieri non a caso ha perso il 2,23%), si tramuterebbe in un mattoncino dell'impero paneuropeo di Orcel. Il manager, che non è nato ieri, ha già messo le mani avanti: «Quando si tocca il sistema bancario ci vuole cautela, quindi, che valuteranno è la risposta corretta che ci aspettavamo».

Ma sa perfettamente che la sua proposta ha già l'effetto di una tenaglia. Dopo il tonfo di ieri di Unicredit (-4,77%) la valutazione del Banco sulla base del concambio offerto scende da 6,66 a 6,35 euro contro i 7 euro a cui il titolo è scambiato a Piazza Affari. La passivity rule, che difende la contendibilità delle società quotate dagli arrocchi del management, lega le mani all'ad Giuseppe Castagna, che dovrà farsi approvare dai soci qualsiasi operazione difensiva, fosse un aumento del prezzo dell'Opa su Anima, come ha sottolineato Orcel, o una fusione con Mps. Insomma, tutto è bloccato. Di qui la plateale irritazione di Giorgetti che, dopo aver ricordato che l'operazione non è stata concordata col governo e che c'è sempre il golden power che può essere messo in campo, citando Von Clausewitz, ha detto: «Il modo più sicuro per perdere una guerra è impegnarsi su due fronti». I prossimi mesi per Orcel non saranno proprio una passeggiata.

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Libero Quotidiano

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