I salari reali italiani restano sotto i livelli del 2021. A settembre 5,6 milioni di dipendenti con il contratto scaduto

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La maggioranza esulta perché “i salari continuano a crescere”. E ci mancherebbe. Ma la verità è che i dati Istat sulle retribuzioni contrattuali tra luglio e settembre dicono altro. Prima di tutto, che a quasi quattro anni dall’inizio della fiammata inflazionistica che ha divorato il potere d’acquisto di famiglie e lavoratori gli stipendi italiani non si sono ancora ripresi: a settembre 2025 le retribuzioni contrattuali in termini reali restano inferiori dell’8,8% rispetto a gennaio 2021. Nel terzo trimestre dell’anno il progresso dei salari ha persino rallentato, pur mantenendosi al di sopra dell’inflazione. Se la corsa dei prezzi si è fermata, gli stipendi restano al palo. Solo dieci giorni fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato che “alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali, mentre risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni fra i dirigenti”.

L’indice delle retribuzioni orarie a settembre, dicono i dati dell’istituto di statistica, è rimasto invariato rispetto ad agosto e salito solo del 2,6% su base annua, con un +3,3% nel pubblico impiego e aumenti più contenuti nell’industria (+2,3%) e nei servizi privati (+2,4%). I rialzi maggiori – ministeri (+7,2%), militari-difesa (+6,9%) e vigili del fuoco (+6,8%) – derivano da rinnovi recenti nella Pubblica amministrazione. In media, nei primi nove mesi dell’anno le retribuzioni sono aumentate del 3,3% rispetto al 2024, ma il rallentamento dell’industria e la sostanziale stagnazione dei servizi hanno smorzato l’effetto positivo dell’indennità di vacanza contrattuale che ha spinto i salari pubblici.

A fine settembre i 46 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 56,9% dei dipendenti – circa 7,5 milioni – e corrispondono al 54,6% del monte retributivo. Vale a dire che 5,6 milioni di lavoratori, il 43% del totale, sono in attesa di rinnovo. I ccnl scaduti sono 29. E il tempo medio di attesa per un rinnovo ha raggiunto 27,9 mesi, più di due anni. Numeri che danno la misura di un sistema di contrattazione in ritardo cronico rispetto all’economia reale.

Il governo Meloni ha bocciato la proposta di salario minimo legale presentata dalle opposizioni e ha preferito muoversi tagliando il cuneo contributivo e stabilizzando poi la misura attraverso un pacchetto di interventi fiscali. L’Italia è, tra i grandi Paesi Ue, quello che ha registrato la perdita maggiore in termini di salari reali rispetto all’inizio del 2021, e non è ancora riuscita a recuperare il terreno perduto

Per il presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona, “il governo dovrebbe proseguire con il taglio del cuneo per i redditi bassi e ripristinare un meccanismo di adeguamento automatico dei salari al costo della vita, almeno per chi guadagna meno di 35mila euro. Non certo ridurre le tasse a chi ne guadagna 50mila”.

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