“I ricchi americani vivono in media 76 anni, molto meno dei poveri europei. Anche un italiano povero supera gli 80 anni”. Il nuovo studio e l’analisi dell’esperto

  • Postato il 4 maggio 2025
  • Salute
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La correlazione è certa, ma i ricchi non sono tutti uguali: quelli americani vivono meno di quelli europei, e perfino meno degli europei poveri. Sono i risultati di un nuovo studio di economia sanitaria pubblicato a inizio aprile sul New England Journal of Medicine. Una disparità dovuta a vari fattori, tra cui il welfare europeo.

Da una sponda all’altra dell’Atlantico c’è un oceano in mezzo, anche in termini di longevità. Rispetto agli Stati Uniti, nell’Europa nordoccidentale gli individui con età media 65 anni hanno un rischio di morte inferiore del 40%. Stessa differenza tra ricchi e poveri: i primi hanno un tasso di sopravvivenza superiore del 40%. Sono alcune cifre fornite dal recente studio “Association between Wealth and Mortality in the United States and Europe”, che ribalta l’assunto secondo cui i ricchi americani se la cavano meglio degli europei quanto a salute e aspettativa di vita. “I risultati indicano chiaramente che neanche gli americani più ricchi sono al riparo da questioni sistemiche quali ineguaglianza economica o fattori di rischio come stress, dieta o rischi ambientali, che negli USA contribuiscono a un’aspettativa inferiore di vita”, commenta un’autrice dello studio, l’economista della salute Irene Papanicolas della Brown University di Rhode Island.

Un profondo gap- I ricercatori hanno monitorato per 12 anni (2010-2022) 73.838 adulti di età compresa tra 50 e 85 anni e li hanno suddivisi in quattro gruppi (quartili) sulla base della ricchezza, dell’età e dell’appartenenza geografica. L’Europa è stata suddivisa in 3 gruppi: nord e ovest (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia e Svizzera); sud (Italia, Portogallo e Spagna); est (Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria). In ambito europeo, ai due estremi della ricchezza si pongono non sorprendentemente la Svizzera (ricchezza media 157.400 €) e la Polonia con 800 €. I dati esaminati provenivano da due ampie indagini: Health and Retirement Study (HRS) per gli USA, Survey of Health, Ageing, and Retirement per l’Europa (SHARE).

Nel periodo di studio, è emerso che il 25% degli individui più agiati aveva un tasso di mortalità inferiore del 40% rispetto a quelli del gruppo “povero”. Notevoli tuttavia le differenze territoriali: negli Stati Uniti è stato osservato un tasso di mortalità di 6,5 individui su 1000, contro i 2,9 dell’Europa settentrionale e occidentale, i 4,9 dell’Europa meridionale e i 5,8 dell’Europa orientale. In sostanza gli europei nordoccidentali hanno mostrato un tasso di mortalità inferiore del 40% rispetto agli Stati Uniti, contro il 30% degli europei del sud e il 13-20% degli europei orientali. “Se un americano medio può aspettarsi di vivere 76 anni, un europeo medio supera gli 81 anni, e anche un italiano povero supera gli 80 anni”, nota il prof. Lamberto Manzoli, medico epidemiologo e direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Bologna.

Gli autori hanno osservato anche una maggiore disparità nella sopravvivenza tra 50 e 59 anni, segno che il legame diretto tra ricchezza e rischio di mortalità è più forte in quella fascia di età; in altre parole, il miglior accesso alle cure garantisce una transizione più agevole verso la vecchiaia. Dopo i 65 anni, comprensibilmente, il vantaggio finanziario diminuisce gradualmente. Ma prima, cosa interviene a ridurre l’aspettativa di vita?

Il welfare europeo- Fin dagli anni ‘70, ci informa il docente, si sa che la ricchezza favorisce una vita più lunga. Chi ha più soldi ha maggiori risorse per concedersi cibi di qualità, ottime cure mediche e migliori condizioni di vita. Ma per i ricchi americani, evidentemente, non basta. “Risolvere le questioni di salute non è una sfida che solo per i più vulnerabili: anche quelli nel quartile superiore di ricchezza sono interessati”, osserva l’economista della salute Sara Machado della Brown University, prima firmataria dello studio. Effettivamente, il tipo di assistenza sanitaria varia enormemente tra le due sponde dell’oceano, in modo addirittura determinante per gli autori dello studio. Del welfare europeo, ignoto negli States, beneficiano infatti tutti i cittadini, ancor di più quelli disagiati. “Se vogliamo migliorare la salute negli USA, dobbiamo comprendere meglio i fattori sottostanti che contribuiscono a queste differenze, soprattutto tra gruppi socioeconomici simili”, afferma Papanicolas. Ma, come osserva il prof. Manzoli, l’assistenza sanitaria di tipo europeo non può spiegare del tutto la differenza: i ricchi americani le cure se le possono permettere, e pure ottime.

Forti disuguaglianze- “Nell’analisi, i ricercatori hanno utilizzato alcuni aggiustamenti per eventuali fattori di confondimento”. Tra questi, oltre al sesso, all’età e alle condizioni di salute (con l’eventuale presenza di una malattia di lunga durata), sono stati considerati l’istruzione superiore, il matrimonio, il fatto di non fumare – fattori che negli USA sono concentrati nel 25% dei più ricchi mentre in Europa sono più distribuiti. Ma l’analisi, indubbiamente già complessa, non ha tenuto conto di alcuni fattori impattanti. “Il peso corporeo, l’attività fisica, la dieta, il consumo di alcol e il disagio psicologico”, considera Manzoli, sottolineando che i ricchi non sono felici per antonomasia. “Nelle nazioni con grandi disparità economiche non è facile trovare l’equilibrio in una società con tensioni crescenti tra le classi sociali”. Di fatto negli ultimi 60 anni, più che in altre nazioni ad alto reddito, negli USA è aumentata fortemente la disuguaglianza economica anche per la classe media. Come se non bastasse, nello stesso periodo ha iniziato a scendere l’aspettativa di vita in modo più netto rispetto al resto del mondo occidentale.

“Nel complesso si tratta di uno studio molto interessante, che mette in rilievo la clamorosa differenza nell’aspettativa di vita tra ricchi e poveri. Il divario era nell’ordine del 5-15%, qui siamo al 40%, segno di una diseguaglianza in forte crescita”, conclude il prof, Manzoli.

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